Guinness, Sir Alec
Attore teatrale e cinematografico inglese, nato a Marylebone (Londra) il 2 aprile 1914 e morto a Midhurst (Sussex) il 5 agosto 2000. Nella molteplice diversità dei ruoli ricoperti lo caratterizzarono sempre una straordinaria qualità di misura e discrezione e una naturalezza, libera da tecniche e artifici, che gli consentirono di valorizzare il lato umano dei personaggi, ma anche una capacità mimetica, spesso risolta attraverso un uso peculiare del trucco e del travestimento. A tutto ciò si accompagnò costantemente uno stile recitativo sommesso, introverso e antiretorico, capace di rendere tormenti psicologici o enigmatiche implicazioni e insieme un'ironica impassibilità. Nel 1958 vinse l'Oscar come miglior attore protagonista con il ruolo dell'integerrimo e pateticamente inflessibile colonnello Nicholson in The bridge on the river Kwai (1957; Il ponte sul fiume Kwai) di David Lean; nel 1980 vide consacrata la propria carriera con uno speciale Oscar onorario.Poco si conosce della sua famiglia d'origine, se non che trascorse un'infanzia povera con la madre, semplice cameriera, in giro per l'Inghilterra in pensioni a buon mercato, e non conobbe mai il padre, un uomo ricco che si occupò di fornirgli a distanza una somma per l'educazione scolastica. Seguì gli studi in varie località come Southborne e Roborough, dove ancora ragazzo si cimentò nel suo primo Shakespeare in una recita scolastica del Macbeth, nel ruolo del messaggero. La passione 'di essere un altro', il piacere istintivo per il gioco mimico e per il travestimento si accesero in lui fin da allora. Quando, a quindici anni, fu costretto a lasciare gli studi e a cercare un lavoro per sopravvivere, si impiegò in un'agenzia pubblicitaria. Si iscrisse, inoltre, dapprima alla scuola di recitazione tenuta da una celebre attrice, Martita Hunt, e in seguito al Fay Compton Studio of Dramatic Art, dove ottenne una borsa di studio; si mise quindi sotto la protezione di un illustre attore come John Gielgud e debuttò finalmente, nel 1934, in una piccola parte della commedia di E. Wool, Libel, al Piccadilly Theatre. Fu l'inizio di una carriera teatrale che lo vide agli esordi accanto ai mostri sacri della scena inglese come lo stesso Gielgud, Tyrone Guthrie, Laurence Olivier, recitando, a partire dal 1936, per il glorioso teatro Old Vic, e quindi interpretare nel 1938 il primo grande personaggio shakespeariano: un Hamlet in abiti moderni messo in scena da Guthrie. Nello stesso periodo sposò Merula Salaman, anch'essa attrice, e ridusse per la scena Great expectations di Ch. Dickens, riservandosi la parte minore di Herbert Pocket, l'amico leale e di buon cuore di Pip. Fu in questa occasione che lo vide e lo apprezzò Lean, un regista con cui G. avrebbe stabilito un fruttuoso sodalizio cinematografico, iniziato proprio nel segno di Dickens.
Dal 1941 e durante tutta la Seconda guerra mondiale fu ufficiale nella Royal Navy e quando, a trentadue anni, ritornò in patria, riprese a fatica la carriera teatrale lavorando con Peter Brook, prima in un adattamento, cui collaborò, dei Fratelli Karamazov dostoevskiani, dove fu un inquietante e glaciale Mytia, poi nel dramma Huis Clos di J.P. Sartre e proseguendo le stagioni all'Old Vic. I due film che segnarono il suo esordio di attore cinematografico furono Great expectations (1946; Grandi speranze), nello stesso ruolo ricoperto in teatro, e Oliver Twist (1948; Le avventure di Oliver Twist), entrambi di Lean. Fu proprio quest'ultimo film che gli diede la possibilità di mettersi definitivamente in luce. Dietro un perfetto trucco, marcato a renderlo una 'icona' fosca e pittoricamente bizzarra, G. seppe conferire all'ebreo Fagin tratti interiori complessi e intriganti, laddove i dettagli mobili del volto, il luccicchio degli occhi rapaci, le movenze che trasudano infida malignità, lungi dall'appiattire il personaggio in una caricatura, ne amplificano la potenza. Questo gioco raffinato e 'wildiano' della 'verità delle maschere' continuò in Kind hearts and coronets (1949; Sangue blu) di Robert Hamer, in cui G. interpreta una galleria di otto personaggi diversi, compresa una nobildonna: sono i componenti dell'aristocratica ed eccentrica famiglia inglese dei D'Ascoynes, sistematicamente sterminati dal protagonista nell'impietosa satira, percorsa da humour nero, nei confronti di un'intera classe sociale. Il film trova nel camaleontismo di G. una orchestrazione virtuosisticamente musicale nella resa del carattere britannico in mille piccoli 'tic' e dettagli gestuali, in sottilissime sfumature recitative impagabili e pregne di sottile osservazione critica, e segnò l'inizio della sua collaborazione con gli Ealing Studios per le Ealing comedies, che compendiarono, con grande successo popolare, la rappresentazione più sapida e divertente del cosiddetto carattere British. In questo senso G. fu il più 'inglese' degli attori inglesi per quella capacità di elegante e ironica dissimulazione, di essere 'comune', di essere l'uomo che assomiglia a tutti gli altri e di dispiegare questa abilità in esemplari interpretazioni tutte giocate sull'arte di 'non far niente', tutte ripiegate in una stupefacente resa del paradosso britannico di incidere ed eccellere 'nel passare inosservati', e in ciò modellare caratteri indimenticabili. Così avvenne per il metodico, solerte e insospettabile impiegato di banca che sogna e mette a punto il grande furto di lingotti d'oro in The Lavender hill mob (1951; L'incredibile avventura di Mr Holland) di Charles Chrichton, così per l'impassibile stravaganza venata di malinconia del chimico-inventore in The man in the white suit (1951; Lo scandalo del vestito bianco) e per l'aguzza e infida caratterizzazione della mente criminale di The ladykillers (1955; La signora omicidi), il perfido e mellifluo Professor Marcus, entrambi di Alexander Mackendrick. G. avrebbe riversato quella stessa vena malinconica un po' beffarda ma densa di umori e patetismi profondamente umani in altri suoi personaggi: l'impiegato con l'eccentrica vocazione di pittore geniale di The horse's mouth (1958; La bocca della verità) di Ronald Neame, interpretazione che gli valse la Coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia, il rappresentante di aspirapolvere, costretto a improvvisarsi indolente e confusionario agente segreto, di Our man in Havana (1959; Il nostro agente all'Avana), che Carol Reed trasse dal romanzo di G. Green, il colonnello ubriacone sanguigno e irruento di Tunes of glory (1960; Whisky e gloria) di Neame.G. era diventato, tra il 1951 e il 1957, una 'sicurezza' per i botteghini inglesi; lo status di star di successo, quanto mai alieno dal suo carattere schivo, culminò poi nell'Oscar per The bridge on the River Kwai, dove risultò fondamentale il lavoro di scavo psicologico nel carattere tragico del colonnello Nicholson, travolto fino al delirio dal suo ferreo senso dell'onore e della disciplina. Nel 1956 G. si era convertito al cattolicesimo e ciò non fu estraneo al senso di pietas già dispiegato nel tratteggio dell'avventura umana del cardinale Mindszenty, perseguitato dal regime nell'Ungheria alla vigilia della rivolta del 1956, adombrato nel protagonista di The prisoner (1955; Il prigioniero) di Peter Glenville, o alla paradossale 'carità' applicata alla mite e sorniona intelligenza investigativa di un personaggio come il chestertoniano Father Brown (1954; Uno strano detective, padre Brown) di R. Hamer. Dopo essere diventato Sir per volere della regina Elisabetta II nel 1959, la carriera di G., negli anni Sessanta e Settanta, parve confinarsi nell'interpretazione di personaggi storici per grandi produzioni di film in costume: dal Principe Feisal in Lawrence of Arabia (1962; Lawrence d'Arabia) di Lean, a Marco Aurelio in The fall of the Roman empire (1964; La caduta dell'Impero Romano) di Anthony Mann, da Carlo I in Cromwell (1970) di Ken Hughes, ad Adolf Hitler in Hitler: the last ten days (1973; Gli ultimi dieci giorni di Hitler) di Ennio De Concini.
G. aveva comunque ritrovato una sottigliezza e una sommessa intensità, che riconducevano a quella misteriosa ambiguità contenuta nelle sue prove migliori, ancora diretto da Lean nelle piccole ma significative parti del funzionario militare comunista, fratello del protagonista, in Doctor Zhivago (1965; Il dottor Zivago) e soprattutto dell'enigmatico filosofo e asceta di A passage to India (1984; Passaggio in India), ma anche del commerciante d'armi implicato in un gioco pirandelliano in The comedians (1967; I commedianti) di Glenville. Si dedicò ancora al lavoro di palcoscenico impersonando fra l'altro un memorabile Dylan Thomas nella commedia Dylan di Sidney Michaels e interpretò perfettamente la spia per eccellenza di J. Le Carré, George Smiley, per una serie televisiva. Suggellando infine un modo di essere attore permeato di fantasmatica inafferrabilità, diede vita al personaggio di Ben/Obi-Wan Kenobi, ultimo cavaliere Yedi della saga fantasy ideata da George Lucas con Star Wars (1977; Guerre stellari), per cui ottenne una nomination all'Oscar nel 1978, e riapparve poi negli episodi usciti successivamente The empire strikes back (1980; L'impero colpisce ancora) e Return of the Yedi (1983; Il ritorno dello Yedi) diretti rispettivamente da Irvin Keshner e da Richard Marquand.
K. Tynan, Alec Guinness, New York 1953.
A. Hunter, Alec Guinness on screen, Glasgow 1982.
R. Baldocci, Alec Guinness: la vita, il mito, i film, Milano 1991.
G. O'Connor, Alec Guinnes, New York 2002.