Sinone
Personaggio di un famoso episodio dell'Eneide (II 57-198), in cui la sua perfida abilità di mentitore spergiuro viene descritta lungamente e con dovizia di particolari: abbandonato a bella posta dalle armate greche (quando finsero di rinunciare definitivamente al troppo lungo assedio), S. si fece catturare dai Troiani e riuscì a indurli, con un falso racconto dove diede fondo alla sua consumata arte di simulatore, a introdurre entro le mura della loro città il cavallo fatale.
D., memore dell'episodio virgiliano, pone S. in Malebolge (If XXX 91-148), tra i falsatori di parole (decima bolgia), accanto alla moglie di Putifarre.
Questi peccatori sono condannati a essere in preda a un'altissima febbre, per cui fumman come man bagnate 'l verno e puzzano fieramente, del mal odore proprio dell'unto arso (v. FALSARI). La presentazione di S. (che avviene durante il dialogo tra D. e il falsatore di monete mastro Adamo, a opera di quest'ultimo su richiesta del poeta), ponendo subito in primo piano la spiacevolissima pena, rivela un atteggiamento dell'autore polemico e disgustato, di dichiarata antipatia, che trova riscontro anche nei termini sprezzanti con i quali l'idropico mastro Adamo indica il suo vicino, il falso Sinon greco di Troia: dove falso è rincalzato da greco (inutile ricordare la fama dei Greci, astuti e menzogneri, avallata proprio anche da quel racconto virgiliano: cfr. Aen. II 65-66 " Accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno / disce omnis "; v. 106 " ignari scelerum tantorum artisque Pelasgae "; v. 152 [Sinon] " dolis instructus et arte Pelasga "), mentre la precisazione di Troia, se dall'un lato serve a una più immediata identificazione del personaggio, dall'altro viene pungentemente a ricordare come S. fosse stato benevolmente accolto dai Troiani e il re Priamo, commosso dalle finte lagrime di S., avesse voluto che egli potesse considerarsi uno di loro (Aen. Il 149 " noster eris "); ancor più spregevole dunque la falsità di S., aggravata anche dallo spergiuro (cfr. Aen. Il 195), come ricorda poco dopo lo stesso mastro Adamo.
Tra l'idropico e S. (che si recò a noia / forse d'esser nomato sì oscuro, vv. 100-101) nasce un alterco, vivacissimo nello scambio di percosse e d'ingiurie e nel pronto rinfacciarsi spietatamente l'un l'altro le rispettive colpe, ritmato dalle ritorsioni verbali e da vocaboli dal suono aspro e plebeo, specie in rima. La degradazione animalesca di questi dannati, che trova espressione visiva nei corpi deformati dalle malattie, si manifesta altresì proprio in questi alterchi che li oppongono l'uno all'altro. Nonostante la vivacità di reazione di mastro Adamo, che nelle prime battute pare conservare il brio dell'ingegno, ne rimane al lettore l'impressione di una volgarità repellente, che è sancita dal conclusivo irato intervento di Virgilio. Questo rimprovera con inusitata asprezza D. perché lo vede assistere con un certo interesse a quella scena disgustosa; e il poeta, comprendendo le giuste ragioni del maestro, pentito, prova vergogna. Il sigillo conclusivo all'episodio è posto da uno di quei versi di rara forza epigrafica ai quali l'autore suole affidare il proprio sentimento di più vivo disprezzo, e destinati perciò a passare in proverbio: ché voler ciò udire è bassa voglia (v. 148). Vedi ADAMO, MAESTRO.
Bibl. - Tra le letture del canto XXX dell'Inferno si vedano in particolare quelle di F. Torraca, in " Giorn. d. " XIII (1905) 4-13; M. Porena, La mia " lectura Dantis ", Napoli 1932, 113-139; G. Contini, Sul XXX dell'Inferno, in " Paragone " 44 (1953) 3-13 (rist. in Varianti e altra linguistica, Torino 1970, 447-458); E. Bigi, Il canto XXX dell'Inferno, in Lect. Scaligera 1061-1086; e inoltre: P. Renucci, D. disciple et juge du monde grécolatin, Parigi 1954, 252-253; E. Sanguineti, Interpretazione di Malebolge, Firenze 1961, 349-354.