ORDELAFFI, Sinibaldo
ORDELAFFI, Sinibaldo. – Nacque a Forlì, negli anni Trenta del Trecento, da Francesco (II) Ordelaffi, signore di Forlì, Cesena e Forlimpopoli, e da Marzia degli Ubaldini di Susinana, detta Cia.
Fu quasi certamente il minore dei figli maschi di Francesco e, a differenza dei fratelli Giovanni e Ludovico, non fu coinvolto dal padre nella gestione del potere. Insieme ai nipoti Tebaldo e Giovanni, figli di Ludovico, era con la madre Cia Ubaldini quando nell’aprile 1357 scoppiò un tumulto nella città di Cesena, che Francesco aveva affidato alla moglie. I rivoltosi furono presto soccorsi dall’esercito del legato apostolico Egidio de Albornoz; gli Ordelaffi, rifugiatisi prima nella Murata, e poi nella rocca, il 21 giugno furono infine costretti ad arrendersi. Cia, il figlio e i nipoti, fatti prigionieri dal cardinale, furono liberati nel luglio 1359, quando Francesco si arrese ad Albornoz consentendogli di entrare in Forlì e rinunciando alla signoria sulla città.
Francesco (II) trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita prestando servizio come condottiero per i Visconti e per Venezia, mentre degli altri membri della famiglia si perdono le tracce nelle fonti. Si ritrova Sinibaldo citato da Matteo Villani (Cronica, XI, 44) tra gli uomini che combattevano al seguito di Bernabò Visconti nell’aprile 1363, quando l’esercito visconteo fu sconfitto nel Modenese dalle forze filopapali. Ordelaffi fu preso prigioniero insieme a numerosi cavalieri appartenenti a famiglie nobili dell’Italia centrosettentrionale, variamente coinvolte nelle lotte di fazione interne alle rispettive città. Anche Sinibaldo, quindi, dopo che la sua famiglia aveva perso la signoria su Forlì, si era dedicato alla vita militare, legandosi in particolare ai Visconti con quello status ambivalente, tra l’alleato e il soldato di professione, che era stato in varie occasioni anche del padre. Egli, tra l’altro, era l’unico figlio maschio di Francesco (II) ancora in vita, essendo Giovanni e Ludovico morti tra il 1356 e il 1357.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta Albornoz era riuscito nell’impresa di riportare all’ordine la turbolenta area romagnola: aveva posto fine alle signorie dei Manfredi su Faenza e degli Ordelaffi su Forlì e Cesena – a metà del secolo le due famiglie avevano guidato la resistenza antipapale nella regione – e infine aveva ottenuto l’importante risultato di sottrarre Bologna alle mire dei Visconti: le tre città erano passate sotto il controllo diretto della Chiesa. Nell’estate del 1375 le tensioni da tempo latenti tra Firenze e il papato sfociarono nella cosiddetta guerra degli Otto santi: nel luglio di quell’anno i fiorentini strinsero una lega in funzione antipapale con il nemico di sempre, Bernabò Visconti. Nei mesi successivi scoppiarono rivolte in quasi tutte le città soggette alla Chiesa. Le ribellioni furono determinate dalla debolezza del papato, che portò allo scoperto le locali fazioni antipontificie, ma furono anche sollecitate e istigate dai fiorentini, con promesse di appoggio economico e militare, e soprattutto attraverso una pressante propaganda incentrata sul tema della libertà e dell’opposizione alla tirannide. Le stesse parole d’ordine, cioè, fino a quel momento utilizzate in funzione antiviscontea: la tirannide, ora, era quella esercitata dalla Chiesa sulle popolazioni soggette. A orchestrare la campagna era anche il nuovo cancelliere della Repubblica, l’umanista Coluccio Salutati, entrato in carica nell’aprile 1375. A Bologna la rivolta fu seguita da una vera e propria rifondazione del Comune di popolo, sancita da un nuovo statuto pubblicato nel 1376. È dunque in questo contesto generale che è necessario inquadrare gli avvenimenti forlivesi.
Alla fine di dicembre 1375 infatti anche Forlì si ribellò, e anche qui fu instaurato un Comune popolare («regimen ad populum» nelle parole degli Annales Forolivienses, p. 69). Gli Ordelaffi, tuttavia, ovvero Sinibaldo e i nipoti Pino, Cecco e Tebaldo, si erano portati nei pressi della città e cercavano di riorganizzare la rete dei loro sostenitori. All’inizio di gennaio il nuovo governo popolare inviò una lettera ai fiorentini; dall’evasiva risposta di questi si apprende che i forlivesi li accusavano di avere concesso agli Ordelaffi il permesso di rientrare a Forlì e di avere addirittura sostenuto Sinibaldo e i suoi parenti con l’invio di truppe (Gherardi, 1868, p. 162, doc. 143). I fiorentini negavano l’aiuto militare, ma ammettevano di avere dato il consenso al rientro degli Ordelaffi e si giustificavano affermando che alcuni nunzi, millantando di giungere per conto dei forlivesi, avevano assicurato che questo era il desiderio dei cittadini.
Appare chiaro, insomma, che i fiorentini, se proprio non lo appoggiavano attivamente, perlomeno non si opponevano al progetto dei sostenitori degli Ordelaffi di riportare al potere la famiglia signorile, nonostante il Comune popolare di Forlì avesse sperato di trovare una sponda nella potente Repubblica, che in passato si era spesso presentata come la protettrice dei regimi di popolo contro i tiranni. È probabile del resto che in questo senso premesse Bernabò Visconti, ora alleato di Firenze, che con gli Ordelaffi aveva da tempo uno stretto rapporto. Comunque sia, il 6 gennaio 1376 Sinibaldo e i nipoti entrarono a Forlì, e Sinibaldo divenne signore. Gli Annales forolivienses (p. 69) affermano che ciò avvenne per acclamazione popolare («per universum populum»), ma che in realtà il tutto era stato orchestrato dai principali fautori degli Ordelaffi. Subito dopo furono allontanati dalla città il rappresentante papale e molti sostenitori della Chiesa. Quest’ultima notazione fa ritenere che il regime popolare fosse nato in qualche modo da un compromesso con le forze filopontificie, che aveva probabilmente comportato l’emarginazione della fazione più accesamente antipapale, vicina agli Ordelaffi.
L’8 gennaio i fiorentini scrivevano a Sinibaldo per complimentarsi (Gherardi 1868, p. 163, doc. 145), insistendo sul fatto che il ritorno al potere degli Ordelaffi era avvenuto in un clima di concordia, e che l’instaurazione della Signoria poggiava sul consenso del popolo. La Repubblica tutelava la propria immagine: Sinibaldo non era un tiranno, altrimenti non avrebbe goduto dell’amicizia dei difensori della libertà. In linea con questa lettura, i fiorentini gli raccomandavano appunto la libertà dei forlivesi e lo invitavano, velatamente, a non accanirsi contro i suoi oppositori: esortazione inutile, dal momento che questi ultimi erano già stati allontanati dalla città.
A livello regionale, uno dei primi impegni di Sinibaldo fu l’appoggio ad Astorgio Manfredi – figlio di Giovanni, che era stato il grande alleato del padre di Sinibaldo, Francesco (II) – nel suo tentativo di restaurare la signoria dei Manfredi su Faenza. L’obiettivo fu raggiunto grazie all’aiuto di Bernabò Visconti e del condottiero Giovanni Acuto.
Il 1379 fu un anno cruciale per il consolidamento del potere di Sinibaldo. Sposò Paola Bianca, figlia del defunto Pandolfo (II) Malatesta, che era stato signore di Pesaro. L’accordo matrimoniale fu concluso con il potente Galeotto Malatesta, che nella guerra degli Otto santi aveva assunto la guida delle forze papali contro la lega tra Firenze e i Visconti e aveva avuto un ruolo di primissimo piano nelle trattative che, nel 1378, avevano posto fine al conflitto. Grazie a questo illustre mediatore Sinibaldo concluse una pace con papa Urbano VI, il quale gli concesse il vicariato apostolico su Forlì, Forlimpopoli, Sarsina, Oriolo e tutti i possessi familiari per 12 anni. L’attribuzione del vicariato segna una tappa cruciale nella storia della signoria degli Ordelaffi. Da quel momento la famiglia abbandonò la sua lunga e a suo modo prestigiosa tradizione di nemica della Chiesa, che aveva prodotto figure celebri ai propri tempi, come l’ultraghibellino Scarpetta e Francesco (II) «perfido cane patarino» (Vita di Cola di Rienzo, 1991, p. 255), e resse Forlì attraverso il titolo vicariale, dunque per delega formale del papato.
Gli anni successivi furono caratterizzati da una relativa tranquillità, tanto nella vita interna alla città quanto nei rapporti di Sinibaldo con le potenze esterne. Il 13 dicembre 1385, tuttavia, Sinibaldo fu destituito da una congiura ordita dai due nipoti Cecco (Francesco III) e Pino, figli di Giovanni di Francesco (II). È probabile che la sua posizione si fosse indebolita in seguito alla morte, all’inizio del 1385, del suo protettore Galeotto Malatesta.
Gli Annales Forolivienses elencano i nomi di 40 cittadini che avrebbero partecipato al complotto. È interessante notare che solo alcuni di essi appartenevano alla nobiltà di Forlì. Molti avevano un’estrazione sociale mediobassa: si contano per esempio tre pellai, un aromatarius, un fabbro, un mugnaio, oltre a vari magistri senza altra specificazione. Nell’elenco compare anche l’abate del monastero di S. Mercuriale. La cospirazione, dunque, fu certo il primo atto di una lunga serie di lotte familiari che avrebbero reso instabile il dominio degli Ordelaffi per tutto il Quattrocento e tuttavia sembra che essa non fosse maturata esclusivamente nell’ambiente di corte, ma avesse in qualche modo coinvolto altre componenti politiche e sociali cittadine. Come mostrano le vicende precedenti e anche quelle successive esisteva del resto a Forlì un fronte piuttosto ampio, espresso forse in particolare dal mondo delle arti, che non aveva rinunciato del tutto all’idea di ristabilire un governo comunale autonomo. Non è quindi impossibile che anche in occasione della congiura contro Sinibaldo vi fossero settori della società cittadina che speravano in un cambiamento politico di rilievo. Un cambiamento che non venne, dal momento che il potere signorile passò nelle mani di Cecco e Pino Ordelaffi, i quali si videro confermare il vicariato nel 1390.
Sinibaldo, intanto, era morto nel novembre 1386, prigioniero nella rocca di Ravaldino.
Fonti e Bibl.: Annales Forolivienses ab origine urbis ad a. 1473, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXII, 2, pp. 68-73; Giovanni di maestro Pedrino depintore, Cronica del suo tempo, a cura di G. Borghezio - M. Vattasso, Città del Vaticano 1934, II, App. II, pp. 430, 439 s., 466 s.; Cronica. Vita di Cola di Rienzo, a cura di E. Mazzali, Milano 1991, p. 255; Matteo Villani, Cronica, con la continuazione di Filippo Villani, ed. critica a cura di G. Porta, Parma 1995, XI, 44; Annales Caesenates, a cura di E. Angiolini, Roma 2003 («Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates», 21), pp. 192-194; Lettere di stato di Coluccio Salutati: cancellierato fiorentino (1375-1406), a cura di A. Nuzzo, Roma 2008, ad ind. Si vedano: P. Bonoli, Storia di Forlì, II, Forlì 1826, pp. 9 s.; A. Gherardi, La guerra dei fiorentini con papa Gregorio XI detta la guerra degli Otto Santi, Firenze 1868, pp. 29-31, 162 s. (docc. 143, 145); E. Balzani Maltoni, La famiglia degli O. dall’origine alla signoria, in Studi romagnoli, XI (1960), pp. 247-272; Id., La signoria di Francesco O., ibidem, XV (1964), pp. 233-276; J. Larner, Signorie di Romagna. La società romagnola e l’origine delle Signorie, Bologna 1972, ad ind.; G. Pecci, Gli O. con testo riveduto, note, aggiunte e appendice di M. Tabanelli, Faenza 1974, ad ind.; A. Calandrini - G. M. Fusconi, Forlì e i suoi vescovi. Appunti e documentazione per una storia della chiesa di Forlì, Forlì 1985, ad ind.; Storia di Forlì, II, Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1990, pp. 172 s.; A. Falcioni, voce Malatesta, Galeotto, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVIII, Roma 2007, pp. 40-44; I. Lazzarini, voce Manfredi, Astorgio (I), ibid., pp. 656-658.