Vedi Singapore dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Singapore si trova all’estremità meridionale della penisola malese e, oltre all’isola più grande, comprende una cinquantina di isole minori. Questa sorta di città stato è uno dei paesi più ricchi al mondo per la sua posizione strategica sullo Stretto di Malacca, al centro delle più importanti rotte fra Oceano Indiano e Pacifico.
Singapore porta avanti una politica estera che, per necessità, guarda sia all’ottica regionale sia ai maggiori attori mondiali. In ambito locale, l’isola intrattiene rapporti con Indonesia e Malaysia. Con la Malaysia sono ancora aperti contenziosi che derivano dalle differenti dimensioni dei due stati e dai dissidi storici che hanno portato all’indipendenza di Singapore. La ‘Guerra della sabbia’ è stata una delle vertenze più delicate. A questa eredità si aggiunge l’atteggiamento ostile della minoranza malese di Singapore. Negli ultimi anni, tuttavia, i due paesi hanno visto migliorare le relazioni bilaterali sia in campo diplomatico sia economico: gli arbitrati internazionali del 2003 e del 2008 sulle questioni di sovranità territoriale, infatti, si sono pronunciati favorevoli alle ragioni del piccolo stato insulare e la controparte malese ha accettato entrambe le sentenze. Una volta messe da parte le questioni politiche, la reciproca dipendenza economica, fattore di competizione oltreché di cooperazione, potrebbe costituire la base per significativi sviluppi in ambito finanziario ed economico. Malaysia e Singapore hanno annunciato la costruzione di una rete ferroviaria che colleghi l’isola con Kuala Lumpur.
Singapore è membro dell’Asean, un’importante organizzazione regionale che riunisce i paesi del Sud-Est asiatico e promuove lo sviluppo e la cooperazione economica nell’area. Tuttavia, con molti di questi paesi, i buoni rapporti sono condizionati dalle rivendicazioni sulle zone potenzialmente ricche di risorse energetiche nel Mar Cinese Meridionale. In ambito internazionale, la politica di Singapore è strettamente connessa ai legami economici instaurati con il mondo occidentale in termini di investimenti, e alla garanzia di sicurezza offerta dagli Stati Uniti. Il governo singaporiano ha inoltre concluso diversi accordi bilaterali, prevalentemente di natura commerciale, con i più importanti attori regionali come Giappone, India e Australia. Anche con la Cina sono stati conclusi recentemente accordi economici che dovrebbero incrementare significativamente gli scambi dei prossimi anni. In particolare, l’accordo di libero scambio firmato nel 2008 ha permesso l’abbattimento delle tariffe doganali per l’85% delle esportazioni. A dispetto del crescente ruolo di Pechino, però, la volontà di mantenere legami con gli Usa e, quindi, di sostenerne l’iniziativa in Asia, costituisce un fattore pregiudiziale per i rapporti bilaterali.
Singapore è una repubblica parlamentare, con una struttura legislativa unicamerale eletta ogni cinque anni. Dall’anno dell’indipendenza, il maggior partito del paese è il People’s Action Party (Pap), di cui faceva parte il primo ministro Lee Kuan Yew, che ha governato dal 1965 al 1990. Dal 2004 il capo del governo è il figlio maggiore, Lee Hsien Loong. I partiti di opposizione non sono mai riusciti a organizzarsi in modo tale da poter mettere in discussione la predominanza del Pap, il quale, ancora nelle elezioni del settembre 2015, ha conquistato 83 seggi su 89, riguadagnando le percentuali che aveva perso nelle precedenti votazioni.
Singapore si è ripetutamente confrontato con la difficile gestione di una rapida crescita demografica all’interno di un territorio limitato. Per far fronte a tale problema, nei decenni passati il governo ha adottato una politica di controllo e limitazione dell’espansione demografica, proibendo alle famiglie di avere più di due figli (la cosiddetta politica ‘stop at two’). Negli ultimi anni, tuttavia, il tasso di crescita demografico è diminuito, con un declino dei tassi di fecondità. Questo ha indotto il governo a rovesciare le politiche demografiche, incentivando le famiglie a fare più figli (con quella che è stata rinominata la politica del ‘go for three’). Ciò è dovuto soprattutto alle preoccupazioni circa la possibile carenza di una forza lavoro in grado di sostenere nel medio e lungo periodo la crescita economica del paese.
La maggior parte della popolazione è di etnia cinese (circa il 77%), ma vi sono importanti minoranze malesi (14%) e indiane (8%). Ciò implica, dal punto di vista religioso, la presenza maggioritaria della fede buddhista, con minoranze musulmane (circa il 14%, corrispondente alla comunità malese), cristiane e indù. La popolazione locale è costituita per il 42% da stranieri, mentre circa la metà della forza lavoro non ha la cittadinanza. Singapore ha quattro lingue ufficiali: inglese, malese, cinese mandarino e tamil. A livello educativo, il paese, il cui sistema è uno dei più efficienti della regione, promuove una politica di bilinguismo. Quasi l’80% della popolazione parla inglese.
Singapore, nonostante un sistema economico liberale e una struttura politico-istituzionale considerata poco corrotta (anche se nel 2014 più di 2000 cittadini son scesi in piazza contro la mancanza di trasparenza nella gestione del fondo pensioni pubblico), ha un regime politico che limita sensibilmente le libertà di espressione, di associazione e di manifestazione. Alcuni provvedimenti legali impediscono di fatto ai movimenti di opposizione di esercitare un’azione politica di contrasto al partito di governo, come dimostrato dai ripetuti arresti subiti dal leader del Singapore Democratic Party, Chee Soon Juan, colpevole, per esempio, di avere violato il divieto di tenere discorsi pubblici senza autorizzazione. Anche il sistema dei media risulta essere poco libero, poiché i due maggiori network mediatici, Singapore Press Holding e Media Corporation, sono di proprietà statale e lasciano poco spazio alle opposizioni. Naturalmente, i controlli comprendono anche Internet: nel maggio 2013, per esempio, una sentenza dell’authority locale ha stabilito la necessità di una licenza e di un deposito di 50.000 dollari per i siti che si occupano della situazione politica interna. Nonostante ciò, molti osservatori riconoscono che durante l’ultima campagna elettorale il governo abbia assunto un atteggiamento più permissivo e che l’opposizione abbia avuto adeguati spazi per promuovere il proprio programma politico, anche se questo non è bastato a scalfire la predominanza del Pap.
Il particolare rapporto popolazione/territorio ha avallato decisioni in senso spiccatamente ‘conservatore’ sulle politiche di immigrazione. La preferenza rivolta a lavoratori che accettano un salario sempre più basso ha determinato un ampio divario fra gli stipendi degli abitanti della piccola città stato. Il paese si trova oggi di fronte ad un dilemma: da un lato la crescente domanda di manodopera e la diminuzione della fertilità portano ad un maggiore afflusso di immigrati, dall’altro l’esaurimento dello spazio abitabile ha reso l’opinione pubblica sempre più favorevole ad una restrizione delle politiche migratorie, soprattutto alla luce del documento prodotto nel 2013, in cui si faceva riferimento a una previsione di crescita fino a quasi 7 milioni entro il 2030. Tale previsione ha scatenato la protesta della popolazione nel 2013.
Il settore secondario è un’importante fonte di occupazione per i cittadini singaporiani, nonostante siano i servizi a contribuire in misura maggiore al pil nazionale. L’industria è sviluppata soprattutto per l’elettronica, che costituisce una grande fetta delle esportazioni verso i paesi sviluppati, e per il settore farmaceutico. Date le sue dimensioni, Singapore ha investito nella sua posizione allo sbocco orientale dello Stretto di Malacca: le esportazioni, che sono spesso ri-esportazioni, costituiscono una delle due voci cruciali fra i fattori che incidono sul pil. Concorrono a questo dato le ottime infrastrutture, fra le quali il porto di Singapore, il secondo al mondo per traffico merci, e l’aeroporto internazionale Changi, uno dei maggiori al mondo per numero di passeggeri.
La seconda voce nell’economia di Singapore è la sua attrattiva come centro finanziario. Vero e proprio hub commerciale asiatico, lo stato insulare presenta condizioni vantaggiose non soltanto per il moderato regime tributario e gli incentivi statali ma anche per l’efficiente sistema giuridico e il buon livello di segretezza bancaria. Pur risentendo della crisi del 2008-09, l’area ha ripreso a crescere nel 2010 con un aumento del pil del 15,2%. La crescita si è assestata tra il 3,3% e il 4,3% tra il 2012 e il 2013, per poi registrare un nuovo calo nel 2014 e nel 2015 (2,2%). Il governo punta a sfruttare una leva finanziaria basata sugli scambi di valuta piuttosto che sui guadagni netti derivanti dai tassi di interesse. È da sottolineare come il contributo di Singapore alla Banca mondiale, oggi uno fra i più consistenti, sia stato aumentato nel 2014 a 672 milioni di dollari con un sostanziale apporto al fondo per la ricostruzione e lo sviluppo. Nella sua versione aggiornata al 2015, la classifica Doing Business, redatta dalla Banca Mondiale, ha confermato Singapore al primo posto. In particolare, il paese si distingue per la protezione degli investimenti e per le possibilità di commercio transnazionale. Un esempio è dato dalla riattivazione della partnership economica con Kuala Lumpur, attraverso la creazione di una zona di cooperazione comune a Johor, nel sud della Malesia.
Singapore guarda poi con grande interesse al generale incremento dell’integrazione economica in tutto il continente, grazie anche al suo ruolo determinante per l’Asean, nel quale costituisce uno dei pochi paesi non ‘in via di sviluppo’. Lo stato insulare ha infatti promosso da sempre un abbattimento delle tariffe e un abbandono delle politiche protezionistiche, ma la lenta applicazione di questi accordi in Asia ha spinto Singapore a far valere il suo peso orientandosi spesso al di fuori del suo contesto regionale. L’accordo di libero scambio del 2000 con la Nuova Zelanda, ad esempio, è stato integrato nel 2005 da un accordo di partnership che ha incluso anche Cile e Brunei, costituendo il punto di partenza della Trans-Pacific Partnership, firmata nel 2015 con un ampio numero di paesi dell’area (Stati Uniti e Giappone inclusi).
L’attenzione del governo singaporiano per le politiche ecologiche risale agli inizi degli anni Novanta con il primo National Green Plan del 1992, volto a limitare l’emissione di gas nocivi e a incrementare il sistema di riciclaggio dei rifiuti. La regolamentazione è stata aggiornata nel 1996 e nel 2006: sono state introdotte, fra le altre, normative per l’utilizzo sostenibile delle risorse idriche e per il rispetto degli standard minimi di conservazione dei paesaggi naturali. L’attenzione al tema generale della sostenibilità è stato poi confermato dall’adozione nel 2009 del Singapore Sustainable Blueprint, con una nuova pubblicazione nel 2015.
Non essendo ancora del tutto chiuse le questioni territoriali con la Malaysia (nonostante un netto miglioramento nei rapporti tra i due paesi), Singapore spende il 3,3% del pil nella difesa, un tasso molto alto in considerazione delle dimensioni del paese: significativo il fatto che un quinto della superficie dell’isola sia occupato dalle installazioni militari. Con ciò punta principalmente a un aggiornamento della tecnologia per mantenere un livello avanzato nella difesa militare e per offrire al proprio esercito un margine di superiorità rispetto ai paesi confinanti, per quanto le dimensioni numeriche dell’esercito e la dipendenza della sua operatività dall’andamento dell’economia nazionale costituiscano seri punti di debolezza in un’eventuale ottica di generale instabilità regionale. Forti si rivelano i legami fra il Pap e l’esercito: lo stesso Lee Kuan Yew, ex primo ministro e considerato padre della patria, faceva parte dell’esercito e, più in generale, è elevato il numero di ministri scelti tra le fila delle forze armate.
Singapore coopera con altri rilevanti attori regionali, come l’India, e attua operazioni militari congiunte con altri paesi del Five-Power Defence Agreement (Australia, Malaysia, Nuova Zelanda e Regno Unito). La posizione strategica nello Stretto di Malacca comporta anche necessità di controllo e prevenzione degli atti di pirateria. Si tratta di una necessità che avvicina lo stato insulare ai paesi confinanti ponendo le sue unità navali in operazioni congiunte a carattere internazionale. Queste non si svolgono soltanto nell’area del Sud-Est asiatico ma anche, per esempio, nel golfo di Aden.
Nonostante la flotta abbia goduto recentemente di sostanziosi investimenti, Singapore non è coinvolta nelle dispute nel Mar Cinese Meridionale, dimostrando l’intenzione di mantenere buoni rapporti con tutte le parti. La scelta strategica di sostenere lo statunitense Pacific pivot ha però posto i termini per possibili dissidi con la Cina.
Singapore è uno dei paesi firmatari della Trans-Pacific Partnership promossa da Washington. È tuttavia un dato di fatto che l’80% del petrolio cinese e il 90% del greggio giapponese passino attraverso lo stretto di Malacca. La gestione di Singapore risulta peraltro essenziale in termini di sicurezza vista la capacità di gruppi isolati, alcuni collegati al terrorismo internazionale, di operare attacchi su vasta scala.
Le dimensioni territoriali di Singapore hanno spinto i governi, dagli anni Sessanta in poi, ad attuare una politica di drenaggio per recuperare terra dal mare, anche attraverso l’aggiunta di sabbie. Il territorio del piccolo Stato, in questo modo, è arrivato ad ampliarsi di circa il 20%. Così si è trovato spazio per lo sviluppo delle infrastrutture e per la popolazione che, nonostante le politiche di controllo delle nascite, tendeva ad aumentare. Singapore è stata accusata dai paesi vicini, specialmente Indonesia e Malaysia, di utilizzare per i propri scopi sabbia sottratta indebitamente dalle spiagge dei rispettivi paesi. In seguito a queste vicende, alcuni stati confinanti (Malaysia, Indonesia, Cambogia e Vietnam) hanno deciso di vietare l’esportazione della sabbia dalle proprie coste. La pratica, fra l’altro, arreca danni ai patrimoni naturalistici nazionali. Migliaia di tonnellate di sabbia, però, vengono comunque esportate di contrabbando e questo tipo di attività ha contribuito a rendere più tesi i rapporti fra Singapore e i paesi vicini.