SINERGISMO (dal gr. συνεργέω "collaboro")
Con questa parola fu definito l'atteggiamento di Melantone di fronte al problema, della funzione che possono esercitare il libero arbitrio e le opere nell'economia della salvezza individuale. Caposaldo della predicazione luterana era stata l'idea dell'assoluta gratuità della grazia operante "monoergeticamente" per la salvezza dell'uomo indipendentemente dalle opere. Ma, ancora vivente Lutero, Melantone aveva chiaramente mostrato la tendenza a ovviare i pericoli insiti nel proposito di generalizzare un'esperienza individuale di salvezza che non era accompagnata dalla consapevolezza degli stretti legami correnti fra il merito del bene operare e le leggi elementari della vita associata. La stessa necessità pratica e pedagogica di prevenire i pericoli che comportava, sul terreno morale, l'accettazione integrale da parte di una massa incolta dell'idea della giustizia imputata, spinsero Melantone, dopo la morte di Lutero, ad affermare sempre più chiaramente che il libero arbitrio umano doveva entrare, a fianco della grazia del Verbo, come elemento attivo nell'economia della salvezza e a far sua la formula erasmiana "liberum arbitrium facultatem esse applicandi se ad gratiam". La reazione contro questo atteggiamento di Melantone da parte dei più intransigenti seguaci delle idee luterane, rappresenta la cosiddetta "controversia sinergistica" durante la quale le idee di Melantone furono difese soprattutto dai suoi due discepoli Giorgio Major e Vittorino Strigel rispettivamente contro Nicola Amsdorf e Mattia Flacio Illirico. Un contemperamento delle due tendenze è rappresentato dalla cosiddetta "formula di concordia" (dal 1577), nella quale era affermata la necessità delle opere buone, pur precisando che esse non hanno alcun rapporto causale con l'effettuazione della giustizia intima e della beatitudine finale.
Bibl.: Oltre quella citata da G. Kaseran, Synergismus, in Realencyklopädie für protestanstiche Theologie und Kirche, XIX, Tubinga 1907, pp. 229-235, v.: E. Buonaiuti, Lutero e la Riforma in Germania, Bologna 1926, pp. 420-435.