SINAI (o Arabia Petrea; A. T., 115)
Vasta penisola di forma triangolare, posta tra l'Asia e l'Africa, lunga da Rās Moḥammed all'estremità orientale della Sabkhet el-Bardawīl 400 km. circa e larga circa 210 km., facente parte politicamente dell'Egitto e delimitata a N. dal Mediterraneo, a SO. dal Golfo di Suez, a SE. dal Golfo di el-‛Aqabah, ambedue dipendenti dal Mar Rosso. A ponente la penisola si salda all'Africa, dalla quale la separa il Canale di Suez costruito, come si sa, in modo da congiungere una serie di depressioni naturali: la laguna el-Manzalah, i laghi el-Ballāḥ ed et-Timsāḥ, i Laghi amari. Sul canale esistono tre centri importanti, tutti dalla parte egiziana: Porto Said, Ismailia e Suez; un quarto punto notevole è el-Qánṭarah, dove il canale è scavalcato da un ponte e dalla ferrovia. A levante la Penisola del Sinai si salda all'Asia: il limite segue una linea quasi retta dalle vicinanze di el-‛Aqabah, press'a poco al fondo del golfo omonimo, fino alla località di Rafaḥ sul Mediterraneo, e costituisce, per l'accordo del 1906, il confine politico tra l'Egitto e la Palestina.
Il nome. - La penisola deve il suo nome al gruppo montagnoso del Sinai (ebraico Sīnai; gr. Συνᾶ; arabo Ṭūr Sīnā), che sorge nella parte meridionale di essa. Nella Bibbia questo monte (per la questione se il Sinai della Bibbia vada identificato col gruppo montuoso che oggi porta questo nome, v. appresso) è chiamato anche Oreb e i due termini appaiono quasi sempre come perfettamente sinonimi. E probabile che il nome vero del gruppo montagnoso sia Oreb, ma non è altrettanto probabile l'opinione di alcuni che Sinai sia un appellativo sorto dal fatto che in quella zona ricevesse un culto speciale il dio lunare Sin: la Bibbia chiama anche "deserto di Sin" (Esodo, XVI, 1; Num., XXXIII, 11) il settore da Elim in giù verso il Sinai. Qualche studioso recente ha pensato di derivare l'appellativo Sinai dall'ebraico sĕneh "roveto", riferendosi all'episodio in cui Dio appare a Mosè nel roveto ardente (Esodo, III, 2 segg.); ma l'opinione non ha trovato seguito, poiché dal racconto biblico appare chiaramente che l'appellativo era assai più antico di quell'episodio. Il nome rimane pertanto di etimologia oscura.
Geologia e morfologia. - Geologicamente, il Sinai, al pari della Palestina e dell'Arabia, cui è strettamente connesso, fa parte del tavolato africano e del massiccio cristallino dell'Etbāi, smembrato in epoca non molto remota dai grandi sprofondamenti tettonici che diedero origine alla depressione del Mar Morto, al Golfo di el-‛Aqabah e al Mar Rosso, mentre il Golfo di Suez pare serbi nel suo fondo le tracce di un'origine valliva. Il nucleo di terreni più antichi affiora lungo la costa occidentale del Golfo di el-‛Aqabah e nella parte centro-meridionale della penisola, e culmina nelle montagne granitiche del Gebel Kātherīn (m. 2602) del Gebel Umm Shōmer (m.2575) e del Gebel Mūsā - o monte di Mosè (m. 2244).
Su questo nucleo cristallino si adagiano le rocce sedimentarie: sono anzitutto delle arenarie, che nella loro parte inferiore contengono intercalazioni fossilifere del Carbonico, mentre più in alto assumono, verso sud, il carattere delle arenarie nubiane (v. egitto: Geologia) e debbono così essere attribuite a varie età del Mesozoico, fino a includere una parte del Cretacico. Verso N. invece i varî piani del Giurassico e della Creta inferiore sono rappresentate da formazioni marine fossilifere (Gebel el-Maghārah, m. 735); piegate in anticlinali. Il Cretacico superiore è dappertutto costituito da calcari marini; questi formano il grande tavolato centrale (Bādiy et-Tīh) che spinge la sua fronte meridionale (Geb. et-Tīh, Geb. el-‛Oǵmā, m. 1225) contro ai fianchi del massiccio cristallino, e di qui digrada verso N., sormontato in parte (Gebel Baḍī‛, m. 1076; Gebel er-Rāḥah) da formazioni eoceniche e mioceniche, calcaree, e attraversato in qualche punto da rocce eruttive. Più a N. ancora queste formazioni mesozoiche e cenozoiche scompaiono sotto una coltre sabbiosa desertica, ondulata in un infinito mare di dune, che dànno luogo alla loro volta a una fascia litoranea. Mentre le due costiere del Golfo di el-‛Aqabah e del Golfo di Suez sono a picco, orlate alla base da una fascia di depositi pliocenici coralligeni e corrono quasi rettilinee, il litorale mediterraneo, fra Porto Said e Rafaḥ è basso e sabbioso e forma prima una larghissima insenatura la Baia di eṭ-Ṭīnah in corrispondenza dell'antico ramo nilotico di Pelusium, poi una prominenza, la cosiddetta Penisola di Bardawīl, orlata da un esile cordone litorale, che sottende la vasta laguna omonima (Lago Sirbonico) e finalmente, a oriente di quella, forma un'altra debole insenatura, presso al limite indeciso della quale, allo sbocco del wādī omonimo, è la città di el-‛Arīsh, a breve distanza dal confine palestinese.
Idrografia. - Il reticolato idrografico apparisce molto complesso. Lo spartiacque tra il bacino mediterraneo e quello eritreo si spinge fino al 29° parallelo col Gebel et-Tīh e di qui corre lungo il ciglio del tavolato calcareo cretaceo ed eocenico, o presso di esso, e quindi quasi parallelamente alle coste SE. e SO. Un piccolo lembo della regione è drenato verso il Mar Morto per il wādī el-Gerāfī. La parte centrale della penisola rimane così tributaria del Mediterraneo per mezzo dell'importantissimo wādī el-‛Arīsh; questo ha inizio appunto dall'et-Tīh, corre fino all'oasi di Nakhl, e ricevuti molti affluenti, tra cui principali wādī el-Barūk da sinistra e i wādī el-‛Aqābah, el-Qurayyah ed el-Mehashsham da destra, finisce col metter foce in mare appunto a el-‛Arīsh. Però questo grosso sistema idrografico, al pari dei minori sistemi marginali, tributarî del golfo di Suez, come i wādī Sadr, Ba‛ba‛ah, el-Ḥomr, es-Sidrah, al cui bacino appartiene il wādī el-Mukattab o valle coperta di scritture (cosiddetta per i numerosi graffiti sui quali v. più avanti), ecc., o del golfo di el-‛Aqabah, come il wādī en-Naṣb, che è alimentato dal Gebel Kātherīn e sfocia presso Dahab, o come il wādī el-Keid, non è rappresentato che da torrenti temporanei, attivi solo qualche giorno dell'anno, e spesso senza continuità, talché le loro acque si perdono senza raggiungere il mare. Ciò specie nella parte NO che è un vero e proprio deserto sabbioso e nella Piana di el-Qā‛ah presso eṭ-Ṭōr, fra il massiccio cristallino e la costa del Mar Rosso, pure colma di sabbia derivante dalle arenarie nubiane. Il tavolato interno calcareo ha piuttosto il carattere di deserto pietroso o meglio di steppa arida, con qua e là magri cespugli che permettono un po' di pascolo, e nel fondo dei wādī tamerici e acacie: quivi si concentrano generalmente anche le culture arboree (palma da dattero, mandorlo, melagrano, albicocco, olivo, fico, carrubo) associate a cereali (orzo, grano, dura) a fagioli, zucche, un po' di tabacco, ecc. Le oasi principali sono quella di Feirān a ovest e quella di Nakhl al centro. Feirān sarebbe la Raphidim dell'Esodo.
Il massiccio cristallino del Sinai propriamente detto ha invece ricche sorgenti perenni, le cui acque si perdono poi più a valle, ed è coperto di lussureggiante vegetazione, né mancano quivi piccole coltivazioni, disposte in terrazze e artificialmente irrigate.
Ciò è naturalmente in rapporto con le precipitazioni, la cui entità varia soprattutto con l'altitudine.
Clima. - In complesso il clima può definirsi temperato o caldo e arido, assai salubre. Le piogge sono invernali: sulle montagne del sud abbondanti e accompagnate da neve, da venti freddi, da ghiaccio, da temporali; sui tavolati, nei poggi e nel cosiddetto Deserto dell'Istmo, come pure nelle zone litorali del Golfo di Suez e del Golfo di el-‛Aqabah le precipitazioni sono rare, scarse, saltuarie, sebbene in qualche caso eccezionalmente abbondanti e tali da generare improvvise piene nei torrenti.
Flora. - Dal punto di vista floristico la Penisola del Sinai si riconnette alla regione mediterranea; la parte montagnosa specialmente ha copiosi elementi di questa provenienza (cipresso, pino, ecc.). La fauna è piuttosto povera e non molto varia, gli Uccelli scarseggiano, abbondano invece i Rettili, tra i Mammiferi si contano gazzelle, lepri, conigli e in montagna, uno stambecco; rari, all'infuori dello sciacallo e della iena, i grossi Carnivori; si allevano cammelli, pecore e capre.
Condizioni economiche. - I principali prodotti sono quelli della pastorizia e della scarsa agricoltura: tra i minerali sono segnalati estesi depositi di ferro e manganese nei calcari carbonici di Umm Bogma, di Gebel Umm Rinnah, ecc.; nella regione occidentale giacimenti cupriferi; nella parte orientale del massiccio sinaitico, verso il Golfo di el-‛Aqabah, giacimenti di turchesi, ormai generalmente esauriti. Tracce d'idrocarburi furono segnalate con perforazioni profonde in varî punti della regione occidentale (specialmente a Tanea) e a varî livelli, specialmente nell'Eocene medio e superiore, e al contatto fra il Cretacico medio e le arenarie nubiane.
Etnografia. - Par certo che fin dal tempo della prima occupazione semitica della regione siro-palestinese anche la Penisola Sinaitica sia stata abitata da stirpi semitiche. La natura montuosa e impervia, l'estensione di zone desertiche pietrose e la povertà di pascoli devono tuttavia avere ostacolato lo sviluppo di una civiltà sedentaria: la penetrazione egiziana nel Sinai, che è segnalata fin dal principio della III dinastia (principio del IV millennio a. C.), deve aver avuto per unico scopo il possesso e lo sfruttamento delle miniere di rame e di turchesi che si trovano in varie località della penisola, e specialmente nel wādī al-Maghārah ("wādī della caverna"), che deve appunto il suo nome attuale alla presenza di antichissimi avanzi di gallerie minerarie.
Il Sinai è abitato oggi da genti arabe, nomadi o seminomadi, tutti pastori e carovanieri, secondariamente agricoltori.
Divisione amministrativa, centri abitati. - Il governatorato del Sinai è diviso in tre distretti: el-‛Arīsh, Nakhl e eṭ-Ṭōr. L'unico Centro abitato che assuma qualche maggiore importanza è però el-‛Arīsh, allo sbocco del wādī omonimo nel Mediterraneo, in grazia della sua situazione presso la frontiera palestinese, sulla ferrovia che collega il Cairo con Gerusalemme. Nakhl, posta al centro in un'oasi, sulla strada tradizionale dei pellegrini diretti ai luoghi santi dell'Islām, è più che altro un caravanserraglio e una stazione militare; eṭ-Ṭōr sulla costa occidentale è un porticciolo con un ciuffo di palme, ma ha grandissima importanza per il lazzaretto o stazione di quarantena di carattere internazionale, stabilito colà dal governo egiziano per i pellegrini che ritornano dalla Mecca.
V. tavv. CLVII e CLVIII.
Il Sinai nell'Antico Testamento. - La Bibbia (Esodo, XIX, 1; Numeri, X, 11) ricorda che gli Ebrei, tre mesi dopo la loro uscita dall'Egitto, giunsero a un monte chiamato Sinai (detto anche Oreb, v. sopra), dove rimasero circa un anno e dove il loro condottiero Mosè ricevette la legislazione di Dio.
La questione storico-topografica circa l'identificazione di questo celebre monte ha offerto occasione in tempi recenti a molte ipotesi, che si allontanano più o meno dall'identificazione tradizionale, secondo cui il Sinai è situato nella parte meridionale della Penisola Sinaitica. Di dette ipotesi, invece, una lo colloca a oriente del Golfo Elanitico o di el-‛Aqabah, ov'è una catena di monti vulcanici che nell'antichità poterono essere attivi; un'altra, nel Ḥigiāz settentrionale; un'altra, nelle vicinanze di Cades a nord della Penisola Sinaitica, e altre ancora altrove: è da dire però che tutte queste ipotesi, suggerite più da ragioni d'interpretazione soggettiva del racconto biblico che da dati di fatto, non sono riuscite ad affermarsi neppur mediocremente di fronte all'identificazione tradizionale.
Questa tradizione, al contrario, mentre è rappresentata da testi scritti (Flavio Giuseppe; la Peregrinatio di Eteria [v. itinerarî, XX, p. 4], ecc.), da monumenti locali (convento di S. Caterina) e dalla trasmissione toponomastica (Gebel Mūsā, "monte di Mosè"), trova importanti conferme nell'identificazione dell'itinerario seguito dagli Ebrei dopo la loro uscita dall'Egitto. Essi, oltrepassato l'istmo di Suez verso i Laghi amari, s'inoltrarono verso il sud seguendo un'antica pista carovaniera che fiancheggiava la riva orientale del Golfo di Suez ed era già praticata dagli Egiziani per recarsi a Sarābīṭ el-Khādim e alle circostanti miniere di turchese; le loro prime soste lungo questa pista furono a Marah, ove trovarono acqua salmastra, e poi a Elim, ove erano 12 fonti (Esodo, XV, 23-27); e anche oggi negli stessi paraggi, da ‛Uyūn Mūsā ("fonti di Mosè") verso sud, si trovano sorgenti più o meno salmastre. Più a sud di Elim gli Ebrei abbandonando la pista che conduceva a Sarābīṭ el-Khādim volgendosi nel retroterra, s'inoltrarono ancora lungo la costa, e fecero la sosta detta del "Mar Rosso" (Numeri, XXXIII, 10); piegarono allora verso il retrotetra e fecero la sosta di Dophqah (Num., XXXIII, 12; cfr. l'egiziano malkat "turchese"), quindi quelle di Alush e di Raphidim (ivi, 14), la quale ultima sembra ben corrispondere all'odierno Feirān; dopo di essa entrarono nella regione del Sinai (ivi, 15). Ora, questo itinerario identificato con approssimativa certezza, conduce appunto alla località ove l'antica tradizione colloca il Sinai degli Ebrei e di Mosè.
Più che un monte isolato, il complesso della narrazione biblica ha in vista l'intero sistema montagnoso situato nella regione dove terminò l'itinerario degli Ebrei visto sopra. Questo nucleo montagnoso fu certamente lo scenario dei fatti degli Ebrei e di Mosè. Una tradizione, confermata dal confronto dei luoghi, vuole che l'altipiano di ar-Rāḥah, ai piedi del Gebel Mūsā, sia quello dove il popolo ebraico assistette alla taumaturgica proclamazione della Legge; un'altra tradizione locale, molto meno autorevole, afferma che delle due cime del Gebel Mūsā quella meridionale sia il vero Sinai, e quella settentrionale (Rās aṣ-Ṣafṣāf) sia l'Oreb (v.).
Al Sinai gli Ebrei giunsero e s'accamparono tre mesi dopo la loro uscita dall'Egitto (Esodo, XIX,1). Dopo una preparazione di tre giorni, in cui fu emanata a tutto il popolo la proibizione di avvicinarsi al monte sotto pena di morte, avvenne tra lampi, tuoni e squilli altissimi la prima teofania a Mosè, in cui fra altre leggi fu promulgato il decalogo (v.). Altre volte in seguito Mosè salì sul Sinai, sia accompagnato da suo fratello Aronne e altri personaggi, sia da solo; rimanendovi in questa circostanza quaranta giorni, nel frattempo avvenne tra il popolo rimasto alle falde l'episodio dell'idolatrico vitello d'oro (Esodo, XXXII, 1 segg.). Più tardi fu fabbricata ivi stesso l'Arca dell'alleanza (v.) e il tabernacolo (v.). Dopo circa un anno di permanenza ai piedi del Sinai, il popolo si rimise in cammino sotto la guida di Mosè verso la Palestina.
Il nuovo itinerario era il più diretto, puntando su Cades, che è quasi 80 km. da Bersabea, estremo limite meridionale della Palestina, e anche questo itinerario conferma l'ubicazione tradizionale del Sinai. Secondo il Deuteronomio, I, 2, dal Sinai a Cades esisteva una distanza di undici giorni di cammino, e anche questa misura è stata controllata da studiosi recenti che hanno compiuto lo stesso viaggio attraverso il deserto at-Tīh in un tempo uguale; pure alcune soste di questo itinerario, le più vicine al Sinai, sono state verosimilmente identificate.
Allontanatisi gli Ebrei dal Sinai, il ricordo della montagna ove essi avevano ricevuto il nucleo della loro legislazione e costruito l'arca e il tabernacolo rimase grandioso nelle loro tradizioni, ma con la sacra montagna non risulta che fossero conservate relazioni; l'unica eccezione è l'oscuro episodio del profeta Elia (v.), che con un cammino di quaranta giorni si reca a "Oreb monte di Dio" (I [III], XIX, 8 segg.).
Il Sinai e il cristianesimo. - Il cristianesimo diede nuova vita alla regione del Sinai, che per devozione alle memorie di Mosè e di Elia si popolò di anacoreti. Già nel sec. IV la valle ai piedi del monte albergava numerose celle monastiche, e sul monte erano state costruite due cappelle in onore di Mosè ed Elia. Ai tempi di Giustiniano, verso il 550, fu costruita l'attuale basilica, attorniata da potenti fortificazioni per protezione contro le razzie dei beduini, e ivi si raccolsero gli sparsi anacoreti; più tardi ancora la leggenda di S. Caterina di Alessandria invase il monastero e tutta la località, imponendo il suo nome e richiamando numerosi pellegrini cristiani al luogo dove gli angeli avevano trasportato il corpo della martire (v. caterina d'alessandria, santa).
Le iscrizioni del Sinai. - Nel già ricordato Wādī al-Maghārah e specialmente nella località montuosa detta Sarābīṭ al-khādim ("cunicoli dello schiavo"), si trovano tracce cospicue di antichi lavori minerarî, nonché un santuario della dea egiziana Hathor, con numerose iscrizioni geroglifiche attestanti il culto della dea a partire dalla XII dinastia (circa 2500 a. C.) e per un lungo periodo posteriore a quest'epoca. Ma la celebrità cui assurse questa località in tempi recenti è dovuta a un altro tipo di iscrizioni, 17 in tutto, incise rozzamente su un materiale molto scabro (il che ne rende difficile la lettura), le quali presentano una scrittura che appare a prima vista dipendente da quella geroglifiea, ma che si differenzia da essa e non si riesce a interpretare in lingua egiziana (v. l'elenco dei caratteri alla voce alfabeto).
Le iscrizioni stesse furono scoperte dalla missione Flinders Petrie nella campagna di scavi del 1904-5 (una di esse era già stata veduta e disegnata dall'esploratore Palmer fino dal 1869), ma non vennero pubblicate se non nel 1917 da A.H. Gardiner e T.E. Peet (The Inscriptions of Sinai, parte 1ª, Londra 1917). Al primo di questi due egittologi non sfuggirono due caratteristiche dei nuovi testi, per la maggior parte assai brevi: il numero relativamente piccolo dei caratteri, tale da rendere facile la supposizione che si trattasse di un sistema di scrittura alfabetica, e la loro forma, risultante evidentemente da una semplificazione dei geroglifici. Ricordando che l'alfabeto fenicio reca tracce evidenti di un'origine pittografico-ideografica e si fonda sul principio dell'acrofonia (ossia il suono espresso da ogni segno è la consonante iniziale dell'oggetto rappresentato pittograficamente), principio che si trova già nel sistema di scrittura geroglifica, benché non generalizzato né esclusivo, il Gardiner tentò la decifrazione delle iscrizioni di Sārābīṭ al-khādim sulla base dell'acrofonia, supponendo che le iscrizioni stesse dovessero essere scritte in lingua semitica: il segno, per es., che appariva una semplificazione dell'ideogramma egiziano dell'occhio era letto da lui ‛ (consonante iniziale della parola semitica ‛ain "occhio"); a quello che appariva la semplificazione dell'ideogramma della casa assegnava il valore di b (iniziale di bait "casa"), ecc. Con tale sistema egli riscontrò che un gruppo di quattro segni spesso ripetuti in ordine costante si poteva leggere b‛lt, le consonanti del nome Bah ‛alat "signora", che si poteva intendere riferito appunto alla dea Hathor, attestata dalle iscrizioni in lingua egiziana trovate nello stesso luogo. Per questa via, in cui il Gardiner fu seguito da A. Cowley, K. Sethe e altri (un ingegnoso tentativo di H. Bauer di decifrare i caratteri col metodo combinatorio non ebbe fortuna), si credette di aver trovato nella scrittura "sinaitica" il prototipo dell'alfabeto semitico: i Semiti stanziati nel Sinai, addetti come operai nelle miniere del Wādī al-Maghārah, avendo avuto notizia della scrittura geroglifica egiziana, l'avrebbero adattata alla propria lingua, semplificandone i caratteri e applicando in maniera rigorosa il principio dell'acrofonia; l'alfabeto così creato avrebbe avuto larga diffusione e si sarebbe fissato definitivamente nella forma che poi gli avrebbero dato i Fenici: rimaneva aperta la questione se l'alfabeto dell'Arabia meridionale, alla cui diretta derivazione dal fenicio si oppongono varie difficoltà, non provenisse invece, indipendentemente, da quello sinaitico.
Questa teoria, che avrebbe risolto il dibattuto problema dell'origine dell'alfabeto, ebbe larghissima risonanza e trovò nel geniale, ma soverchiamente fantastico semitista H. Grimme un convinto assertore (v. specialmente Althebräische Inschriften vom Sinai, Darmstadt-Gotha 1923; Die altsinaitischen Buchstabeninschriften, Berlino 1929), il quale non solo credette di poter decifrare per intero le iscrizioni, ma vi trovò addirittura la menzione di Mosè, che sarebbe stato il capo degli operai addetti all'estrazione delle turchesi, mettendo così in relazione l'invenzione dell'alfabeto con le origini religiose e politiche degli Ebrei.
A parte questa fantastica costruzione (che naturalmente ebbe scarso credito), gravi difficoltà si oppongono all'accettazione della teoria dell'origine dell'alfabeto semitico dalle iscrizioni sinaitiche. Anzitutto l'impossibilità di giungere, per mezzo di essa, a letture soddisfacenti del testo delle iscrizioni stesse, sicché non è mancato chi, negando a queste ogni carattere di semitismo, ha tentato di interpretarle mediante l'egiziano, di cui rappresenterebbero una varietà dialettale. In secondo luogo l'inverosimiglianza che da un ambiente di cultura non certo molto sviluppata, quale quello degli operai delle miniere del Sinai, e da una località appartata e isolata si diffondesse un nuovo tipo di scrittura, mentre la storia della diffusione di questa mostra che essa ha costantemente seguito le vie dell'espansione economica e culturale. D'altra parte la scoperta dell'alfabeto di Rās Shamrah ha mostrato come nell'Oriente anteriore si siano avuti, nella seconda metà del II millennio a. C., svariati tentativi di semplificare i sistemi di scrittura fino allora in uso. Le iscrizioni sinaitiche rappresenterebbero uno di questi sistemi, ma non quello donde si è sviluppato più tardi l'alfabeto fenicio. Rimane tuttavia insoluto il problema della decifrazione.
Per "iscrizioni sinaitiche" s'intendevano, fino alla scoperta di quelle di Sarābīṭ al-khādim (le quali, appunto per distinguerle dalle altre, si sogliono chiamare "paleosinaitiche"), altre iscrizioni di tutt'altro tipo ed età, che si ritrovano, numerosissime, sulle pendici petrose delle vallate che salgono, nella regione SO. della penisola, verso gli attuali conventi del Gebel Mūsā e del Gebel Kātherīn, specialmente nel Wādī Feirān. Esse sono graffite con caratteri strettamente connessi con quelli nabatei (v.), ma che presentano un tipo ancor più corsivo di essi; la loro lingua è anch'essa la nabatea, ma con forte influsso dell'arabo: gli autori di esse erano infatti etnicamente e linguisticamente Arabi, e si servivano del nabateo soltanto per la mancanza di una propria lingua letteraria. La maggior parte delle iscrizioni (che ammontano a parecchie centinaia), sono assai brevi e contengono soltanto nomi proprî (quasi tutti arabi), accompagnati da brevi formule di saluto e di augurio; talvolta si hanno anche rozze rappresentazioni figurate, specialmente di cammelli. Dopo che tali iscrizioni furono per lungo tempo ritenute opera di tribù nomadi stanziate nel Sinai, B. Moritz ha dimostrato che esse sono senza alcun dubbio dovute a pellegrini nabatei recantisi agli antichi santuarî del Sinai, e che sono da collocarsi tra il sec. I e III d. C. Queste iscrizioni furono notate dal viaggiatore e cosmografo bizantino Cosma Indicopleuste (v.), verso la metà del sec. VI, il quale le attribuì agli Ebrei usciti all'Egitto sotto la guida di Mosè.
Bibl.: Per il Sinai nella Bibbia, oltre ai commenti all'Esodo, v. M.-J. Lagrange, Le Sinaï biblique, in Revue Biblique, 1899, pp. 369-392; R. Weill, La presqu'île de Sinaï, Parigi 1908; H. J. Ll. Beadwell, The wilderness of Sinai. A record of two years' recent exploration, Londra 1928; F.-M. Abel, Géographie de la Palestine, I, Parigi 1933. Per le iscrizioni paleosinaitiche, oltre agli scritti citati nel testo, bibliografia fino al 1929 di J. Leibovitch, in Zeitschr. d. deutschen morgenl. Gesellschaft, LXXXIV, 1930, 1-14. Per le iscrizioni nabatee, B. Moritz, Der Sinaikult in heidnischer Zeit, in Abhandl. d. Gesell. d. Wissenschaften zu Göttingen (Phil.-hist. Kl.), XVI, 2, Berlino 1916.