SIN (sumerico Suen, scritto ideogrammaticamente en.zu "signore della saggezza"; accadico Sīn)
Divinità lunare venerata in Mesopotamia particolarmente dai Semiti; la sua figura si confonde con quella del dio sumerico lunare Nanna (o Nannar).
È incerto se il nome S. debba essere considerato originariamente sumerico ovvero adattamento sumerico di una forma semitica; esso appare comunque fin dalla metà del III millennio a. C. (liste di divinità da Shuruppak, v.). S. è detto figlio primogenito di Enlil (v.), "signore del mese", fissa i destini degli uomini ed amministra la giustizia unitamente a suo figlio Shamash (v.); l'altra sua figlia è Ishtar (v.), sua moglie è Ningal, la "grande signora". Il culto del dio lunare da Ur, la sede più antica, dov'era il tempio é-kish-nu-gal "casa della grande luce", fondato da Ur-Nammu alla fine del III millennio a. C., si diffonde a Harran, nell'alta Mesopotamia, e di lì in Siria e Palestina. Un altro tempio fu eretto a S. in Ḥarrān detto é-khul-khul "casa di gioia", ad opera di Salmanasar III (858-824 a. C.). In età medio-assira, ad Assur, un tempio doppio era stato innalzato, a somiglianza di quello di Anu e Adad, a S. e a Shamash per volere di Ashshur-nirāri (1516-1491 a. C.).
Le rappresentazioni di S. sono assai rare in tutta l'arte mesopotamica, giacché il dio non sembra esser stato caratterizzato da attributi specifici: quello più comunemente ricorrente, il crescente lunare, è applicato in modo indiscriminato a più di una figura divina. Le rappresentazioni sicure del dio risalgono ad epoca assai arcaica ovvero molto tarda. Una placca in rilievo, forata al centro, proveniente da Ur e di età presargonide (inizio del III millennio) mostra nel registro superiore una scena di libazione compiuta davanti a Nannar: il dio seduto in trono, di aspetto assai primitivo, col busto di faccia e i piedi di profilo, ha una lunga veste, la barba e la tiara cornuta, un piccolo vaso nelle due mani.
Più alto livello artistico raggiunge una analoga scena di libazione, nel secondo registro della stele di Ur-Nammu, pure da Ur, ora al museo di Filadelfia. Il dio doveva apparire anche nel registro più alto della stele, commemorante la costruzione di un complesso templare ad opera del re; ma rimangono scarsissimi frammenti (la figura di S. era sormontata dal crescente lunare, mentre nel campo si librava una dea con un vaso d'acqua zampillante); inoltre Nannar precedeva il re, recando sulle spalle gli strumenti da muratore per l'erigenda ziqqurat, nel terzo registro, e si scorge ancora la sua testa barbata, con l'alta tiara multicorne. La sua figura completa appare solo nella seconda zona a bassorilievo: il dio lunare ha una veste a falde che lascia scoperta una spalla, la lunga barba, la tiara con la quadruplice fila di corna: tiene in una mano un'ascia serrata contro il petto, nell'altra il bastone e l'anello, simboli del potere, e una corda arrotolata, evidentemente per la misurazione dell'edificio da costruire.
La glittica offre, soprattutto nel periodo antico-babilonese, numerose "scene di presentazione", nelle quali la divinità assisa in trono, al cui cospetto un altro dio introduce un fedele, è sormontata dal crescente lunare, da solo o unito al disco raggiato di Shamash, oppure è accompagnata da un uomo-toro che regge l'emblema astrale infisso su un palo. Soltanto in un caso sembrano venir meno le riserve causate dalla genericità di applicazione del crescente lunare: un sigillo da Ur, dell'inizio del II millennio (Louvre, n. A. 274), mostra la consueta figura divina seduta in trono, cui viene presentato un fedele da una dea intercedente; poiché l'iscrizione menziona esplicitamente S. e Ningal, è probabile che sia da vedere il dio lunare nella divinità in trono, col copricapo a calotta tipico dell'epoca di Hammurapi, una lunga barba, e un oggetto non identificato in una mano, l'altra alzata in gesto benevolo verso l'adorante. Il dubbio si affaccia di nuovo a proposito di una serie di sigilli del I millennio, nei quali un dio barbuto, con la tiara, è eretto nel centro di un crescente lunare; talora ha un bastone in mano, talora è accompagnato da un fedele, in piedi, ma a un livello più basso (referenze in E. D. van Buren, Symbols, cit. nella bibl., p. 64): non abbiamo l'assoluta certezza che si tratti di S., anche se alcuni testi fanno riferimento alla "barca celeste" del dio, suggerita dalla forma della luna nella sua prima fase, e che sembra rappresentata proprio su questi sigilli.
Sempre in età neo-assira, S. compare nella processione rupestre di Maltaya, insieme ad altre divinità; come queste, il dio ha l'alta tiara e la lunga veste, il bastone e l'anello e un oggetto sinuoso, di difficile interpretazione, nelle mani: è eretto su un toro alato, che è anche l'animaleattributo di Adad, confermando una volta di più la mancanza di elementi caratterizzanti connessi alla sua persona. Per ultimo, un frammento di bassorilievo, conservato al Museo Nazionale Siriano di Aleppo, mostra il dio eretto fra due altari e due aste sormontate dal crescente lunare; S. ha la lunga veste e l'alta tiara con la mezzaluna sulla sommità, solleva una mano in gesto benevolo mentre stringe nell'altra un emblema che è la replica esatta, in proporzioni minori, dei crescenti infissi sulle due aste, le quali suggeriscono che la scena si svolge in un tempio; l'elsa di una spada (?) spunta dal fianco del dio.
Bibl.: A. Jeremias, in Roscher, IV, 1909-15, c. 883-921, s. v.; K. Frank, Bilder und Symbole babylonisch-assyrischer Götter, Lipsia 1906, pp. 12-14; E. Unger, in Reallexikon der vorgeschichte, IV, 2, Berlino 1926, p. 425, s. v. Götterbild; G. Furlani, La religione babilonese e assira, I, Bologna 1928, pp. 153-62; E. Dhorme, Abraham dans le cadre de l'histoire, in Revue biblique, XXXVII, 1928, pp. 367-85, 481-511; id., Les religions de Babilonie et d'Assyrie2, Parigi 1949, pp. 54-60; 83-6; S. Kirst, Sin, Yerah und Jahwe, in Forschungen und Fortschritte, XXXII, 1958, pp. 213-9. Sugli emblemi di S.: E. D. van Buren, Symbols of the Gods in Mesopotamian Art, Roma 1945, pp. 60-7. Sull'iconografia: placca di Ur: G. Contenau, Manuel d'archéologie orientale, I, Parigi 1927, pp. 481, 486, fig. 356; stele di Ur-Nammu: G. Contenau, ibid., II, Parigi 1931, p. 775 ss., fig. 545; A. Parrot, I Sumeri, Milano 1960, p. 226 ss., figg. 279-282; sigilli: L. Delaporte, Catalogue des cylindres orientaux du Musée du Louvre, II, Parigi 1923, p. 121, n. A. 274, tav. LXXVII, fig. 19; rilievo di Maltaya: F. Thureau-Dangin, Les sculptures rupestres de Maltaï, in Revue d'Assyriologie, XXI, 1924, p. 192 ss.; rilievo di Aleppo: A. Bisi, Un bassorilievo di Aleppo e l'iconografia di Sin, in Oriens Antiquus, II, 1963, p. 215 ss.