Particolare intesa che può accompagnare la conclusione di un contratto, mediante la quale le parti interessate convengono che il contratto concluso non debba avere effetto alcuno (simulazione assoluta) ovvero debba avere effetto diverso da quello suo proprio (simulazione relativa). Il fenomeno giuridico della simulazione vede affiancati e sostanzialmente connessi due negozi, quello simulato o apparente (normalmente un negozio tipico) e quello qualificato dalla causa simulandi, diretto a estinguere puramente e semplicemente il primo nella simulazione assoluta ovvero a sostituirgli quello dissimulato, voluto contestualmente all’intesa simulatoria, nella simulazione relativa. Caratteri della simulazione sono l’esistenza di un negozio apparente, una finalità particolare che renda necessaria od opportuna detta apparenza, partecipazione volontaria alla simulazione di tutte le parti interessate: non sono suscettibili di simulazione i negozi unilaterali non recettizi. Più o meno netta è la distinzione tra la simulazione e i fenomeni della riserva mentale, dello scherzo, della fiducia, dei negozi indiretti, degli atti in frode alla legge e ai creditori. Un caso di simulazione relativa è costituito dall’interposizione fittizia di persona. Tra i soggetti partecipanti alla simulazione, il negozio simulato non ha nessuna efficacia, essendo stato tra i medesimi concluso un accordo precisamente in tal senso e ciò sia nella simulazione assoluta sia in quella relativa. Efficace è, invece, quello dissimulato in quanto effettivamente voluto (nella simulazione relativa), purché ovviamente ne sussistano i requisiti sostanziali e formali (art. 1414 c.c.): per es., se sia simulata una vendita, ma le parti abbiano voluto dar vita a una donazione, quest’ultima potrà essere efficace solo se sussista il requisito dell’atto pubblico richiesto ad substantiam per la donazione. Naturalmente il negozio dissimulato deve essere lecito, diversamente non può essere ritenuto valido. Nei confronti dei terzi, in ragione del principio dell’affidamento, la simulazione non ha efficacia, purché gli stessi non ne fossero a conoscenza: in proposito si suol dire che la simulazione non è opponibile ai terzi. In generale i terzi, se pregiudicati nei loro diritti dalla simulazione, possono farne dichiarare l’inefficacia (art. 1416 c.c., co. 2). In particolare, poi, i terzi che, fondandosi sull’apparente situazione derivata dalla simulazione, abbiano acquistato diritti dal titolare apparente, godono di piena protezione, poiché ai medesimi, se in buona fede, non è opponibile la simulazione né dai soggetti che hanno partecipato all’intesa simulatoria, né dai loro aventi causa, né dai creditori dell’alienante simulato: in questo caso l’unica eccezione può essere determinata dalla trascrizione della domanda diretta a far dichiarare la simulazione (art. 1415 c.c., co. 1). Per quanto concerne i creditori delle parti e i criteri per la risoluzione degli eventuali conflitti tra loro, è da osservare che i creditori del titolare apparente, che in buona fede abbiano compiuto atti esecutivi sui beni che furono oggetto del contratto simulato, non subiscono la simulazione, mentre i creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti e sono preferiti ai creditori del simulato acquirente, bastando che il loro credito sia anteriore all’atto simulato (art. 1416 c.c.). La prova della simulazione incombe su colui che ne deduce l’esistenza. Tuttavia la legge stabilisce dei limiti quando chi debba provare sia uno dei partecipanti alla simulazione contro l’altro o gli altri: infatti la prova testimoniale è ammessa entro i limiti di cui all’art. 2721 c.c., purché non si tratti di provare l’illiceità del contratto dissimulato. La prova per testi non incontra limiti se la domanda è proposta da creditori e da terzi (art. 1417 c.c.).