Simulazione del reale
La simulazione del mondo fisico, nota oggi come realtà virtuale, è un ambito tecnico-scientifico in cui, avvalendosi dell’informatica, dell’interfaccia uomo-macchina (HMI, Human Machine Interface) e di altre scienze applicate, un essere umano interagisce in prima persona, in modo naturale, con un ambiente tridimensionale di sintesi completamente ricreato dal computer. La realtà virtuale è conosciuta con diversi sinonimi che ne sottendono i concetti e le tecniche di base, come ambienti virtuali (virtual environments), realtà artificiale (artificial reality), ambienti generati al computer (computer generated environments), ambienti simulati al computer (computer simulated environments), ambienti di sintesi (synthetic environments), immersione spaziale (spatial immersion), cyberspazio o spazio cibernetico (cyberspace), mondi virtuali (virtual worlds), presenza virtuale (virtual presence).
La ricerca sulla realtà virtuale iniziò nella seconda metà degli anni Ottanta del 20° sec. con l’attuazione di alcuni esperimenti e con la realizzazione presso la NASA (National Aeronautics and Space Administration) dei primi dispositivi d’interfacciamento (VPL DataGlove; VIVED, VIrtual Visual Environment Display). Già dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta, pionieri della computer graphics avevano gettato le basi con studi e prototipi di display che consentivano una visualizzazione immersiva con copertura fino al 100% del campo visivo. Gli studi degli anni Settanta e Ottanta, invece, contribuirono alla possibilità di alimentare i display immersivi di contenuti tridimensionali graficamente sempre più ricchi e realistici.
Particolarmente importante nella realtà virtuale è il senso d’immersione della persona nell’ambiente virtuale e quello d’intuitività delle attività che è possibile condurvi e che si possono ottenere agendo sul piano sensoriale e su quello psicologico allo scopo di innalzare, illusoriamente, il senso di ‘presenza’ (being there). Per facilitare la percezione e l’interazione, la realtà virtuale si avvale di una riproduzione visivamente realistica dell’ambiente tridimensionale, della naturalezza nell’interazione sia visiva sia di manipolazione, della fedeltà alla realtà nella riproduzione dei comportamenti degli oggetti dell’ambiente e delle leggi della fisica che li regolano; mentre, dal punto di vista strettamente tecnico, mira a ottenere una frequenza di aggiornamento (update rate o refresh rate) dell’intero sistema di simulazione sufficientemente alta, in modo che esso risponda con ritardo impercettibile agli stimoli dell’utente. Ulteriori stimoli sensoriali, oltre a quello visivo, vengono forniti dalla riproduzione dei suoni e dei rumori dell’ambiente e dal trasferimento alla persona di sensazioni di forza e resistenza materiale degli oggetti manipolati (force feedback, retroazione di forza): entrambi questi elementi, se opportunamente implementati, forniscono un contributo decisivo al completamento dell’esperienza percettiva virtuale e a elevare l’attendibilità dei risultati di un’applicazione di realtà virtuale (Burdea, Coiffet 20032; Vince 2004).
Dal momento che con la realtà virtuale si punta all’ambizioso obiettivo di introdurre un essere umano con i suoi sensi in un ambiente che, per la durata della simulazione, diventerà per lui quello reale, si deve necessariamente tenere presente che le sue aspettative nei confronti del realismo e nella rispondenza alla realtà saranno, naturalmente, elevate. Di conseguenza se, nell’applicazione che gli si sottopone, alcuni degli aspetti citati non dovessero raggiungere un livello minimo di credibilità o di prestazioni, la persona-utente finirebbe ben presto per rifiutare l’esperienza virtuale rendendo privi di valore i relativi risultati.
Coniata con gli obiettivi primari appena esposti, l’espressione realtà virtuale (o virtual reality, VR) è, ai giorni nostri, impiegata comunemente come sinonimo di simulazione e di visualizzazione tridimensionale, in virtù del fatto che l’aggettivo virtuale si presta a qualificare qualcosa che non esiste nella realtà e di cui si simula almeno qualche aspetto come, per es., l’apparenza visiva. L’elemento d’interazione diretta della persona con l’ambiente di sintesi è divenuto progressivamente meno vincolante, lasciando il posto alla più accessibile possibilità d’interagirvi per esplorarlo visivamente o per navigarvi in 3D. L’avvento di Internet, con la possibilità d’investigare ambienti tridimensionali in cui fare acquisti e incontrare altre persone (Second life, 2008), e la diffusione di videogiochi tridimensionali multigiocatore, ancora una volta basati sulla comunicazione in rete ad alta velocità, hanno definitivamente affrancato la realtà virtuale dal mondo dei laboratori e dalle applicazioni di nicchia per portarla, sia pure in forme meno complete e rigorose, in impieghi dal largo impatto sociale e mediatico.
Realtà virtuale con interfacciamento immersivo
Il modo di stimolare sensorialmente la persona e di rilevarne i movimenti affinché gli stimoli siano coerenti con questi è affidato a dispositivi, detti di interfacciamento in realtà virtuale (VR interface devices), che possono essere di input (dall’essere umano al computer) e di output (dal computer all’essere umano). Un sistema completo prevede l’impiego di cinque tipologie di dispositivi d’interfacciamento: i guanti digitali, un sistema di tracciamento del movimento della testa, delle mani o di tutto il corpo, un display per la visualizzazione, un sistema di riproduzione audio e di sensazioni vibroacustiche e, in opzione, uno strumento per trasferire sensazioni di forza.
Guanti digitali
I guanti digitali impiegati nella realtà virtuale (VR gloves) rilevano il movimento delle parti delle mani e lo trasmettono al computer in termini di angoli tra le varie parti in cui è articolata la mano (falangi, palmo), in modo da pilotare un modello digitale tridimensionale della mano che permette la manipolazione nell’ambiente virtuale. I guanti digitali possono essere equipaggiati con un minimo di cinque sensori, ciascuno dei quali è destinato a rilevare la curvatura globale di un dito, fino a un massimo di oltre venti sensori, che catturano gli angoli relativi tra ogni coppia di falangi, tra le falangi prossimali e il palmo, i movimenti di abduzione delle dita e gli angoli di polso che la mano forma con l’avambraccio. L’impiego di semplici ed economici guanti a cinque sensori è sufficiente per molti scopi applicativi in quanto adeguato a cogliere il movimento manuale più comune, quello di afferrare un oggetto (grasping). Le versioni con un maggior numero di sensori, proporzionalmente più costose e pertanto destinate ai laboratori specializzati, consentono sofisticate analisi di postura nell’ambito di valutazioni ergonomiche di usabilità di prodotti.
Tracciamento
Ai sistemi di tracciamento (tracking) è affidato il compito di rilevare la posizione e l’orientamento di un certo numero di punti chiave del corpo della persona che esegue la simulazione, principalmente la testa e le mani. In un sistema di realtà virtuale immersiva, al sensore che segue la testa è asservita la telecamera virtuale che visualizzerà, attraverso il display, la scena di sintesi mentre ai sensori delle mani verranno fatti corrispondere i movimenti delle controparti virtuali delle braccia e delle mani per consentire l’interazione manuale e la manipolazione.
I sistemi di tracciamento si basano su tecnologie elettromagnetiche, ultrasonore ed elettroottiche (telecamere). Essi possono rilevare la sola posizione, il solo orientamento (tre gradi di libertà) o entrambi (sei gradi di libertà), in volumi di spazio di qualche decina di metri cubi (per es., 3×3×3 m3). La maggior parte dei sistemi di tracciamento si basa sulla trasmissione di qualche tipo di segnale tra i sensori fissi, da disporre stabilmente per coprire l’area interessata, e quelli mobili da indossare. Nei sistemi wireless, i sensori mobili senza fili, che rivestono solitamente il ruolo di trasmettitori, non sono collegati da alcun filo a unità fisse in modo da non intralciare il movimento della persona. I sistemi elettroottici, basati sull’impiego di telecamere e su sofisticati algoritmi di visione artificiale, ricorrono, invece, a markers passivi da indossare sulla testa e sulle mani con il compito di riflettere la luce di una determinata lunghezza d’onda trasmessa dagli illuminatori delle telecamere, solitamente l’infrarosso.
Tra i principali parametri di un sistema di tracciamento vanno annoverati la latenza (il ritardo con cui viene reso disponibile il dato di posizione), la precisione (la differenza tra la misura e il dato reale), la risoluzione (la distanza minima tra due punti affinché essi siano visti come separati), la portata (range, l’area o il volume coperto dal tracciamento), la sensibilità alle interferenze (in particolare nei sistemi elettromagnetici, dovute a masse metalliche nell’ambiente).
Visualizzazione
La vista è sicuramente lo stimolo sensoriale su cui più si è concentrata l’attenzione della ricerca nella realtà virtuale, perché quella da cui maggiormente dipende l’illusione d’immersione nel mondo simulato. Dal momento che larga parte della sensazione di essere in un mondo tridimensionale è legata alla visione binoculare e alla derivante percezione della profondità, i sistemi di visualizzazione (display) impiegati nella realtà virtuale quando sia richiesto un certo grado d’immersione visiva sono di tipo stereoscopico. Attraverso la stereoscopia si presentano ai due occhi due rappresentazioni della stessa scena leggermente diverse, riprese (nel caso della fotografia e della cinematografia) o proiettate (nel caso della computer graphics tridimensionale) da due telecamere che giocano il ruolo degli occhi in termini di posizione e di direzione di vista. L’illusione di percepire gli oggetti come posti a diversa distanza dall’osservatore è dovuta alla differente parallasse in base alla quale i due occhi percepiscono gli stessi punti (punti omologhi) nelle due immagini. La fusione delle due immagini che si formano sulle retine in posizioni diverse, a carico del cervello, porta alla stereopsi, ossia alla visione tridimensionale.
Il dispositivo di elezione della visione nella realtà virtuale è il casco per la visualizzazione stereoscopica immersiva (HMD, Head-Mounted Display). Esso colloca davanti agli occhi due piccoli visori che convogliano verso ciascun occhio l’immagine a esso destinata, e chiude con raccordi anatomici il rimanente campo visivo in modo che ciascun occhio possa vedere solo l’immagine riprodotta dal proprio visore. L’immersione visuale, che si può ottenere con un casco per la visualizzazione stereoscopica con tracciamento dei movimenti della testa, è il paradigma che più si adatta alla realtà virtuale perché esalta la sensazione di ‘essere al centro del mondo’ e di poterlo esplorare visivamente ‘guardandosi intorno’ con movimenti naturali della testa. Tale approccio è contrapposto a quello tipico in cui si osserva una scena tridimensionale guardando lo schermo del computer o una sua qualsiasi altra proiezione piana come se questo fosse una finestra sul mondo (paradigma out-of-the-window o through-the-window).
I sistemi di proiezione stereoscopici permettono, a differenza del casco che è un tipico display da singolo utente, di allargare l’esperienza percettiva visuale a più persone. In essi le immagini sono proiettate su grandi schermi ai quali, per offrire un certo grado d’immersione visiva, è data solitamente una forma semicircolare intorno alla zona centrale dove si trovano gli spettatori, approssimata attraverso più schermi piani affiancati per offrire continuità dell’immagine, o chiusi intorno agli spettatori come le pareti di una stanza, o cave (Cruz-Neira, Sandin, DeFanti 1993) con la possibilità, in quest’ultimo caso, di completare la copertura visiva attraverso la proiezione sul soffitto e sul pavimento (cave a sei pareti). Naturalmente la proiezione stereoscopica ha bisogno di speciali occhiali per la separazione delle immagini distinte destinate all’occhio sinistro e a quello destro i quali, secondo la tecnica impiegata (stereo attivo o passivo), contengono filtri attivi basati su otturatori a cristalli liquidi o filtri passivi realizzati con pellicole che polarizzano la luce in modo lineare o circolare, accoppiate ai corrispondenti filtri dal lato dei proiettori.
I monitor per computer, con opportuni dispositivi addizionali, possono fornire un primo approccio alla visualizzazione di scene tridimensionali con percezione della profondità. I più costosi monitor autostereoscopici offrono l’opportunità di un’efficace visione stereoscopica senza l’uso di alcun occhiale, a condizione di rimanere con gli occhi non distanti da un punto per il quale è ottimizzata la visione.
Per tutti i sistemi di visualizzazione i parametri importanti sono il campo visivo (field of view) coperto dal dispositivo e la risoluzione in pixel che, distribuita sul campo visivo, indica quanto dettagliata potrà essere la rappresentazione grafica. I caschi soffrono di limitazioni al campo visivo, ma usufruiscono della possibilità offerta dal tracciamento per orientare il campo visivo con l’intuitivo movimento di rotazione della testa.
Riproduzione sonora
Anche i feedback sonori dell’ambiente virtuale rivestono un ruolo importantissimo per le sollecitazioni interattive dell’utente, soprattutto a conferma di quanto percepito visivamente (Shilling, Shinn-Cunningham, in Handbook of virtual environments, 2002). I più comuni suoni di un ambiente virtuale sono i rumori degli urti tra oggetti in movimento, ma altri suoni possono essere riprodotti grazie all’attivazione di qualche meccanismo o per rappresentare funzionalità.
Considerato che i suoni sono localizzati nello spazio tridimensionale in corrispondenza del fenomeno che li genera, un loro impiego proficuo per l’aumento del senso di presenza virtuale è legato alla capacità di riprodurli in maniera spaziale nell’ambiente reale. La scelta del casco per la visualizzazione immersiva conduce a quella di riprodurre i suoni attraverso una cuffia stereofonica, spesso integrata nel casco stesso. Compatibile con l’impiego del casco, ma adatta soprattutto agli ambienti di proiezione è, invece, la riproduzione del suono spazializzato attraverso sistemi a più diffusori sonori disposti in punti opportuni dell’ambiente, ognuno con un ruolo specifico, per ricreare opportunamente il fronte sonoro sul piano orizzontale. I sistemi audio surround 5+1 distribuiscono due diffusori sonori frontalmente agli ascoltatori e due posteriormente, con un altoparlante centrale destinato ai toni del parlato e un subwoofer per i toni molto bassi, non direzionali, che può essere sistemato ovunque nell’ambiente. I sistemi 7+1 aggiungono due diffusori laterali per fornire una più precisa localizzazione delle sorgenti sonore sul piano orizzontale. La sezione audio del sistema di realtà virtuale gestisce il pilotaggio dei diffusori con specifici interventi sui segnali (intensità, filtraggio dei toni e ritardi), in modo da riprodurre i suoni in maniera spazialmente credibile attraverso i diffusori disponibili, anche in cuffia.
Retroazione di forza
I sistemi a retroazione di forza sono destinati a trasmettere alla persona la sensazione di resistenza fisica degli oggetti agli urti, al tocco e alla manipolazione, e contribuiscono in modo decisivo a completare l’esperienza percettiva dell’utente nell’ambiente virtuale. La semplice sensazione di aver toccato un oggetto può essere fornita attraverso una stimolazione vibrotattile ai polpastrelli mediante piccoli motorini inseriti nei guanti che fanno vibrare una massa eccentrica. La sensazione di resistenza all’atto di afferrare e stringere un oggetto virtuale può essere, invece, trasferita alle mani impedendo alle dita di stringersi attraverso tiranti, o altri impedimenti meccanici azionati dal computer, in grado di trattenere le dita con una forza uguale e contraria a quella esercitata. In maniera progressivamente più completa si può equipaggiare la persona di bracci esoscheletrici articolati in grado di fare altrettanto al palmo della mano e/o al sistema braccio-avambraccio, in questo caso pilotati non soltanto con un valore d’intensità di forza ma anche con la direzione di applicazione, in modo da impedire, selettivamente, il movimento in certe direzioni, corrispondenti a ostacoli fissi o a oggetti che, con la loro massa, oppongono resistenza meccanica, prima tra tutte la forza peso. La possibilità di controllare parametri come la rigidezza (stiffness) e lo smorzamento (damping) nell’azione di trasferimento della forza attraverso questi dispositivi consente efficaci test di materiali e proprietà elastiche degli oggetti con cui s’interagisce.
Locomozione
In particolari applicazioni di realtà virtuale come, per es., l’addestramento di soldati in ambienti urbani, si ha la necessità di muoversi per distanze superiori all’area coperta dai sistemi di tracciamento, che solitamente non supera qualche decina di metri quadrati. Questa problematica, conosciuta come locomozione (locomotion), spinge i ricercatori a trovare soluzioni alternative alle tecniche di tracciamento tradizionali che presentino la migliore relazione tra l’efficacia della sensazione illusoria di aver percorso fisicamente la distanza attesa e il costo e la complessità delle apparecchiature che la realizzano.
La virtusphere (Medina, Fruland, Weghorst 2008) è una struttura sferica rigida di qualche metro di diametro poggiata su una base costituita da rotelle che consentono un movimento di rotazione di 360° lungo due assi in emulazione al rotolamento. L’utente entra nella sfera, che viene richiusa alle sue spalle, indossando un casco per la visione immersiva in collegamento senza fili con il generatore di immagini e un tracker di orientamento della testa. Il movimento dell’utente al suo interno corrisponde alla rotazione in senso opposto della sfera e la misurazione dell’entità delle rotazioni consente di ricavarne l’equivalente spostamento lineare per alimentare, al pari di un sistema di tracciamento, lo spostamento della telecamera virtuale. La virtusphere completa, così, il senso d’immersione fornito dal casco con l’illusione di superare le limitazioni che il mondo reale impone sulla capacità delle persone di muoversi liberamente in ogni direzione dell’ambiente simulato.
Un approccio alternativo è quello del tappeto mobile omnidirezionale (omni-directional treadmill) basato su tappeti a scorrimento continuo composti da microrulli disposti su due livelli sovrapposti lungo direzioni ortogonali. Su di esso la persona cammina in una direzione qualsiasi senza spostarsi troppo da una posizione centrale e, attraverso la rilevazione della rotazione dei singoli microelementi, se ne evince la direzione del moto.
Realtà aumentata
Con la realtà aumentata (AR, Augmented Reality) si aggiungono informazioni alla scena reale. Questa tecnica è realizzabile attraverso piccoli visori sostenuti, come i caschi immersivi, da supporti montati sulla testa che permettono di vedere la scena reale attraverso lo schermo semitrasparente del visore (see-through), utilizzato anche per mostrare grafica e testi generati dal computer. Applicazioni di elezione della realtà aumentata sono tutte quelle situazioni in cui è necessario un supporto manualistico contestuale alle operazioni effettuate, in cui devono essere fornite indicazioni nel luogo e al momento opportuni, come, per es., nel caso della manutenzione oppure dell’assemblaggio in una catena di montaggio e così via (Feiner 2002).
Nella sua espressione più completa un sistema di realtà aumentata acquisisce continuamente la scena osservata attraverso una telecamera solidale con il visore e ne analizza il contenuto con algoritmi di visione artificiale per determinare il punto di vista dell’osservatore rispetto a essa (registrazione reale-virtuale o pose estimation). Questo dato permette di proiettare, attraverso il visore, la grafica di arricchimento della realtà (frecce, indicazioni, testi, modelli tridimensionali di parti in sovrapposizione a quelle reali ecc.) in modo da collimare perfettamente nel sistema occhio-scena e fornire così le indicazioni ‘agganciate’ alla posizione cui si riferiscono indipendentemente, entro certi limiti, dal punto di osservazione.
Attualmente i sistemi di realtà aumentata ricorrono a una premarcatura della scena in esame con figure che, riconosciute, ne costituiscono precisi riferimenti spaziali (fiducials), oppure si servono di immagini di riferimento preacquisite limitando così la sovrapposizione a superfici piane (matching planare), comunque orientate nello spazio. La sfida della ricerca è sviluppare algoritmi sempre più sofisticati che permettano la corretta sovrapposizione spaziale in 3D senza la necessità di premarcatura della scena, improponibile nella maggior parte dei contesti applicativi.
Di grande interesse per l’AR è la possibilità di impiegare apparecchi di mobile computing di grande diffusione, come i tablet PC, i compatti UMPC (Ultra Mobile Personal Computer), e anche dispositivi di convergenza con la telefonia mobile come iPad, iPhone, o altri del genere equipaggiati di telecamera che punti dal lato opposto al display, oltre a sistemi di geolocalizzazione e di orientamento locale (GPS, accelerometri e così via).
La combinazione reale-virtuale in optical see-through avviene attraverso display semitrasparenti, ma questa tecnica introduce la problematica di dover considerare anche la posizione dell’occhio dell’osservatore per la corretta collimazione. Più semplicemente, invece, in video see-through si sceglie di riprodurre come background dell’applicazione il video acquisito in tempo reale dalla telecamera, su cui è sovrapposta la grafica di annotazione view-dependent.
Realtà virtuale e simulazione
La realtà virtuale risulta efficacemente applicabile in tutti quei casi in cui l’esperienza reale non è possibile o è da evitare per motivi di sicurezza e/o economici. Nel caso del design e della progettazione, quando l’ambiente con cui si vuole interagire non esiste ancora: per es., un nuovo progetto di interni di cui si vogliano valutare preventivamente gli aspetti ergonomici o un nuovo motore di cui si desideri misurare le possibilità di essere manutenuto prima di realizzarlo. Il perimetro applicativo della realtà virtuale è stato delineato nel 1991 da Myron Krueger non tanto come la riproduzione oppure la modificazione del mondo reale, quanto come l’opportunità di creare realtà di sintesi senza precedenti reali.
Un ambiente virtuale può efficacemente rappresentarne uno reale di cui è improponibile la realizzazione per costo, complessità, tempo e per i rischi all’incolumità delle persone (per es., nelle esercitazioni militari), oppure quando condurvi l’esperienza reale può essere rischioso prima di aver maturato la necessaria competenza (per es., nell’addestramento al volo o nelle operazioni di pressa in una fonderia), oppure, infine, quando l’ambiente reale è inaccessibile per la persona ma non per un veicolo o un robot (teleoperabilità, telepresenza). Nel caso della manutenzione aeronautica, richiedere appositamente il fermo di un aeromobile in hangar per l’addestramento del personale, ritardandone il rientro in servizio, risulta anche antieconomico. I moderni videogiochi costituiscono la summa delle motivazioni e delle capacità di creazione degli ambienti reali simulati.
Gli impieghi applicativi della realtà virtuale si rivolgono a tre tipologie di obiettivi: addestramento, indagine e valutazione, intrattenimento. Essi poi abbracciano settori anche molto diversi tra loro in ambiti industriali, sociali e ludico-ricreativi, di tipo sia civile sia militare: ingegneria e architettura (progettazione, sviluppo e supporto), videogiochi, insegnamento e ricerca scientifica, medicina (chirurgia e salute mentale), marketing, archeologia, arte e beni culturali, guerra e peace-keeping.
Ingegneria e progettazione
Nell’ambito del processo di produzione industriale, ogni nuovo prodotto viene sottoposto al medesimo ciclo di base in cui prima si progetta, successivamente si costruisce un prototipo e lo si prova, si modifica il progetto iniziale, si aggiorna il prototipo e si ottengono le impressioni per una nuova iterazione. Tale processo standard è generalmente lento e, richiedendo la costruzione dei prototipi fisici, risulta costoso. Ma, ancora più importante e meno evidente, questo modo di lavorare ha una seria conseguenza: si esiterà sempre molto prima di progettare qualcosa di completamente nuovo. Cambiare troppo un progetto significa assumersi il rischio di riportarlo interamente al tavolo da disegno dopo approfondite prove pratiche, con conseguenze drastiche sui costi e sui tempi di progettazione.
La prototipazione virtuale (virtual prototyping) rappresenta una soluzione consolidata a questi problemi. Ambienti di lavoro virtuali offrono strumenti di progettazione innovativi e permettono la simulazione e la visualizzazione interattiva del prodotto già dalle fasi preliminari del suo sviluppo, offrendo, in tal modo, un’attraente prospettiva di ottimizzazione di tempi e costi e di innalzamento della qualità. Ambienti virtuali immersivi basati su grandi sistemi di proiezione permettono di estendere la progettazione e la valutazione a gruppi di lavoro diversi con approccio collaborativo interdisciplinare; in seguito, gli stessi strumenti possono essere impiegati per la presentazione interattiva del prodotto ai clienti, coinvolgendoli fin dalle fasi iniziali dello sviluppo, al fine di verificare il rispetto delle loro richieste specifiche o di riceverne feedback valutativi prima ancora di avere prototipi fisici del prodotto stesso da sottoporre loro (Caputo, Di Gironimo 2007).
La fase economicamente più onerosa nell’ingegneria di prodotto, quella della costruzione dei prototipi fisici, viene così rimpiazzata dai prototipi virtuali (virtual mockups), corrispondenti digitali dei simulacri fisici ma, a differenza di questi, basati interamente su modelli tridimensionali CAD (Computer-Aided Design), sistemi software di disegno tecnico e progettazione, e su altri dati di progetto memorizzati dai tecnici nella banca dati aziendale (PDMS, Prod;uct Data Management Systems; PLMS, Product Lifecycle Management Systems), relativamente allo specifico progetto, durante il lavoro di ideazione e di progettazione. A seconda della fase di sviluppo di un prodotto, il relativo prototipo serve a valutare specifici aspetti (estetici, funzionali, d’integrazione tra i diversi sistemi componenti ecc.), con importanza crescente all’avanzare del progetto in quanto eventuali modifiche da apportare sono tanto più costose quanto più avanti nel tempo ne nasce l’esigenza. L’impiego di prototipi virtuali risulta quindi vantaggioso rispetto alla controparte fisica per diversi motivi: è più veloce e meno costoso da realizzare perché si basa sulla raccolta e presentazione tridimensionale di dati digitali e non richiede costruzioni di parti fisiche; consente valutazioni tecniche più approfondite con evidenziazione automatica di eventuali problemi (per es., interferenze tra parti di sottosistemi differenti all’atto della loro integrazione) e rinvio alle parti del progetto digitale da modificare; supporta la collaborazione a distanza tra team di progettazione lontani geograficamente; permette di valutare quasi istantaneamente la ‘fotografia’ di un progetto (configurazione) in base ai dati in quel momento disponibili nel data-base aziendale, rispetto alle settimane o ai mesi richiesti dalla costruzione di un prototipo fisico.
Tra le valutazioni che si possono condurre in virtuale vi sono aspetti di estetica (per es., i centri stile nell’industria automobilistica e gli interni dei velivoli passeggeri in quella aeronautica), ergonomia (raggiungibilità manuale e usabilità di comandi in cockpit aeronautici o plance di autovetture, visibilità interna ed esterna, usabilità di elettrodomestici e così via), integrazione di sistemi (problematiche legate alla necessità di unire sottosistemi diversi come, per es., la struttura, l’impianto idraulico e quello elettrico in un velivolo, progettati da team diversi), assemblaggio manuale e automatizzato (la fabbrica virtuale per la pianificazione e l’ottimizzazione della produzione).
Manutenibilità e addestramento alla manutenzione
Quando un sistema è progettato senza tenere conto delle necessarie operazioni di manutenzione che dovrà subire, i tempi e i costi a esse relativi si accrescono notevolmente. Le attività di manutenzione, infatti, spesso incidono per oltre il 60-70% del costo del ciclo di vita di un prodotto: dove possibile, sin dalle prime fasi dell’attività di progettazione è di basilare importanza, al fine di ridurre tale incidenza, l’impiego di metodologie di analisi delle caratteristiche di smontabilità, accessibilità e manipolabilità; inoltre, ciò costituisce un vantaggio competitivo sempre più rilevante a causa dell’aumento del costo/ora di manodopera specializzata. Nel caso di insiemi complessi come, per es., quelli aeronautici, navali, ferroviari o automobilistici, per i quali sicurezza e affidabilità sono requisiti indispensabili in fase di esercizio, le analisi di manutenibilità sono fondamentali, anche se particolarmente onerose a causa dell’elevato numero di componenti.
Condurre verifiche di manutenibilità in realtà virtuale consente di portare nel progetto, o negli interventi migliorativi, la capacità di curarne i successivi sviluppi. Per portare l’uomo nel progetto, si può scegliere tra l’impiego di un manichino virtuale e l’interazione manuale diretta in realtà virtuale.
L’impiego di modelli umani digitali permette di simulare i diversi ambienti di lavoro, le macchine e i sistemi da manutenere e di riprodurre, virtualmente, tutte le attività di manutenzione (per es., operazioni di accesso, manipolazione, smontaggio, riparazione e montaggio) prendendo in considerazione le caratteristiche antropometriche e fisiologiche degli operatori e consentendo, così, di stabilire se i movimenti previsti per lo svolgimento dell’attività siano realmente eseguibili. L’impiego dei modelli umani digitali consente, inoltre, di valutare la visibilità dei componenti, la loro raggiungibilità nonché le modalità per afferrarli durante le fasi di assemblaggio e disassemblaggio. I software permettono anche di calcolare i tempi e gli sforzi necessari per l’esecuzione dell’operazione, di prevedere la capacità dei lavoratori di sopportarne le conseguenti sollecitazioni (sulla base delle loro caratteristiche antropometriche soggettive), di eseguire analisi ergonomiche delle posture assunte durante l’attività manutentiva, fino a evidenziare possibili rischi di danneggiamento alla colonna vertebrale durante un’azione di sollevamento. Valore aggiuntivo all’analisi così svolta deriva dalla possibilità, intrinseca nella simulazione virtuale dell’attività manutentiva, di essere standardizzata usando appropriati modelli umani, rendendo più generali e oggettivi i risultati conseguiti.
Viceversa, l’interazione manuale diretta in realtà virtuale si propone di mettere in grado l’utente-progettista d’interagire in prima persona con le parti del manufatto che sta progettando, al fine di condurre interattivamente, attraverso il movimento delle mani e, di conseguenza, delle braccia, le verifiche sopra descritte relative agli aspetti di manutenibilità. Dispositivi tipici dell’interazione in realtà virtuale, come i guanti digitali (con sensori dei movimenti delle dita) e il tracker di posizione e orientamento delle mani, rilevano posizione e movimenti delle mani dell’operatore e determinano la posizione e l’azione di un corrispondente modello 3D che può essere fatto muovere nell’ambiente virtuale e interagire con i modelli 3D delle parti del manufatto ospitati al suo interno. Verifiche di accessibilità, smontabilità e manipolabilità possono così consentire al progettista di diventare il protagonista delle azioni di analisi, che non vengono, come nel caso del manichino virtuale, mediate da un soggetto cui è comandato di raggiungere una posizione o di afferrare un oggetto, ma eseguite direttamente. Dal momento, quindi, che l’utente ha la possibilità di interagire con la scena virtuale in maniera completamente immersiva, sentendosi in contatto con gli oggetti, afferrandoli e muovendoli così come avviene nel mondo reale, la fattibilità delle operazioni da analizzare può essere verificata con molta semplicità e le necessarie modifiche di progetto possono essere effettuate in modo assai precoce, abbattendo significativamente i costi di riprogettazione.
Per la formazione del personale addetto alla manutenzione (meccanici, tecnici), l’impiego di un simulatore deve essere inserito a valle della primissima fase dell’addestramento, basata su strumenti CBT (Computer-Based Training) e sulla manualistica di manutenzione, e a monte dell’addestramento sul campo con affiancamento del personale di manutenzione esperto. Questa sistemazione permette di far seguire all’addestramento passivo fornito dalla manualistica e/o dai sistemi CBT un addestramento in cui il manutentore può già operare in prima persona attraverso un’interazione manuale diretta con oggetti e parti del velivolo che, seppur virtuali, ne evochino, dai punti di vista visivo e comportamentale, le controparti reali.
Architettura
In architettura è molto sentita l’esigenza di un’anteprima del progetto per valutare aspetti quali l’estetica, la funzionalità, l’impatto ambientale. La costruzione del plastico rappresentante un progetto è, al pari dei mockups dell’ingegneria industriale, un lavoro lungo e costoso, con piccoli margini di modifica a fronte di variazioni del progetto, e, quindi, mal si presta a iterazioni all’interno del ciclo progettazione-costruzione-valutazione. L’impiego ormai sistematico di strumenti di progettazione al computer (sistemi CAD) ha permesso alla realtà virtuale di giocare un ruolo preminente in questo settore. Al pari della prototipazione virtuale in ambiti ingegneristici, la presentazione di un progetto di appartamenti, edifici, parchi, quartieri o intere città può, oggi, avvenire in modo veramente realistico in termini di passeggiate virtuali (virtual walkthroughs) realizzate mediante visualizzazioni grafiche (renderings) real-time o precalcolate e proposte all’audience committente attraverso accattivanti strumenti di proiezione semimmersivi, spesso in visualizzazione stereoscopica. Il rendering di tipo real-time viene, appunto, generato direttamente durante l’esecuzione della visualizzazione interattiva e, pur richiedendo computer per la grafica 3D di elevate prestazioni, presenta un duplice vantaggio: infatti, è possibile navigare senza impedimenti nell’ambiente progettato, anche in base alle indicazioni del cliente, che può così effettuare direttamente verifiche localizzate; inoltre, è possibile presentare soluzioni alternative a quelle proposte nel progetto base passando dall’una all’altra con semplici comandi (come, per es., l’utilizzo di diverse stoffe o materiali per certi rivestimenti, differenti tipi di legno per i mobili ecc.) e mettere il cliente in grado di scegliere con consapevolezza e in modo veloce e flessibile, permettendogli perfino di modificare interattivamente taluni aspetti. Il rendering precalcolato viene, invece, preparato prima definendo un percorso di navigazione 3D nel progetto e realizzando un filmato del walkthrough che sarà proiettato alla presentazione. Seppur di qualità, anche fotorealistica, molto più elevata rispetto a quello real-time, il percorso effettuato, la scaletta delle cose presentate e le soluzioni alternative mostrate non sono, però, modificabili e non permettono una presentazione altrettanto flessibile nei confronti delle esigenze valutative dei clienti.
Simulazioni militari e serious games
Esiste un’ampia gamma di interessi militari nella tecnologia di realtà virtuale, tra cui la messa a punto di strategie di combattimento in ambienti urbani (dismounted infantries) e il relativo addestramento delle truppe, le prove di missioni per operazioni speciali (mission rehearsals), le simulazioni di campi e di scenari di battaglia per messa a punto di strategie, la simulazione per addestramento alla guida/pilotaggio di veicoli militari (navi, sottomarini, aerei, carri armati e altri veicoli terrestri), la telerobotica.
Gli ambienti virtuali offrono opportunità di addestramento con un vantaggioso rapporto costo/efficacia, non possibili nel mondo reale, specialmente nel caso delle moderne armi intelligenti. Inoltre, l’addestramento virtuale militare si presta particolarmente all’esecuzione di compiti di pilotaggio rischiosi e di missioni pericolose per gli addestrandi e per la popolazione, e a situazioni climatico-ambientali difficili, non preventivabili o difficilmente riproducibili (come, per es., l’esercitazione a manovrare una nave in condizioni di tempo avverso).
Un importante fattore nella valutazione di ambienti virtuali in ambiti militari è il grado di verosimiglianza e d’immersività, da cui consegue la sensazione, del tutto soggettiva, di presenza dell’utente nell’ambiente di sintesi. A esso, infatti, è legato il realismo dell’addestramento in virtuale cui, a sua volta, è legato il grado di coinvolgimento della persona nell’operazione simulata. Un elevato coinvolgimento incrementa la prestazione relativamente all’apprendimento e facilita il trasferimento al mondo reale delle competenze apprese nell’ambiente virtuale (The capability of virtual reality to meet military requirements, 2000).
Una peculiarità delle applicazioni virtuali militari è la possibilità di impiegare agenti autonomi per migliorare l’addestramento in virtuale. Gli agenti autonomi possono sostituire attori umani reali in scenari di training dove sia necessaria la presenza di altre persone oltre agli addestrandi. Dal punto di vista tecnico un agente autonomo è animato da un software in cui viene codificato il comportamento di una persona nel ruolo richiesto, con la possibilità di adottare anche modelli cognitivi evoluti, tipici di un essere umano, che tengano conto dell’influenza dell’ambiente ricreato dalla simulazione (per es., lo stress del combattimento, la fatica, il pericolo, la sollecitazione legata al fattore tempo) e delle reazioni umane conseguenti. Oltre a muoversi con naturalezza, un agente software può essere reso credibilmente ‘intelligente’ riguardo a specifici obiettivi o circostanze: nella simulazione di una battaglia in ambiente urbano esso può, per es., nascondersi dietro un muro se ‘sente’ degli spari nella sua direzione, o seguire il percorso più breve verso un obiettivo osservando criteri di prudenza per ‘salvarsi la vita’. Lo scopo è quello di rendere la simulazione virtuale più realistica potendo inserire decine o centinaia di agenti autonomi, collaboratori e nemici, che si comportano in modo credibile rispetto ai partecipanti umani in addestramento.
In un’era di spese ridotte da dedicare alla difesa, le risorse per mettere in piedi scenari realistici di addestramento militari sono sempre più limitate. Negli anni Ottanta del 20° sec. gli eserciti della coalizione NATO (North Atlantic Treaty Organization) iniziarono a considerare gli ambienti di sintesi (synthetic environments) per un realistico addestramento collettivo in scenari di battaglia. Alla fine del decennio, il DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) statunitense promosse un importante progetto di simulazione, chiamato SIMNET (SIMulation NETwork), che rappresentò il primo passo verso la migrazione da simulatori di specifici compiti a una rete di simulatori, ciascuno a basso costo, cooperanti per la realizzazione completa di un campo di battaglia virtuale. Il modello di distribuzione non era centralizzato ma basato su scambio di messaggi di stato tra le entità individuali distribuite. In totale, vennero dispiegati 247 simulatori SIMNET tra Stati Uniti, Germania e Repubblica di Corea, ma fu presto riconosciuto che tale sistema aveva severe limitazioni, in particolare in termini di fedeltà della visualizzazione, di disponibilità dei data-base di terreno, di varietà di veicoli simulati e, in generale, di potenza di calcolo.
Il sistema SIMNET fu sostituito dal CCTT (Close Combat Tactical Trainer), un prodotto elaborato dallo STRICOM (Simulation Training and Instrumentation COMmand) dell’esercito statunitense, che permise di addestrare battaglioni di fanteria in compiti collettivi. Gli elementi di questo sistema si combinano per creare un campo di battaglia di sintesi altamente complesso in cui i soldati possono condurre l’addestramento in una situazione di eserciti cooperanti, in varie condizioni ambientali (giorno, notte, con nebbia ecc.). Il sistema CCTT contiene generatori di agenti autonomi con la capacità di simulare una grande varietà di forze nemiche e amiche (umani e veicoli, e diversi ruoli) sul campo di battaglia contro cui, o con cui, addestrarsi.
Dall’inizio del 21° sec. le aree urbane sono diventate sempre più spesso il luogo di ambientazione dei conflitti in diverse parti del mondo. La complessità del contesto cittadino, a causa delle restrizioni del campo di vista dovute all’elevata densità di edifici e per la presenza di civili, richiede un addestramento speciale e l’adozione di nuove tecnologie. Le più recenti sessioni di addestramento virtuale in campi di battaglia urbani sono state condotte dai soldati americani prima dell’inizio della guerra in ῾Irāq. Ideato nel 2003, il MOUT (Military Operations on Urban Terrain) è un aggregato componibile di singole unità, ciascuna della trasportabilità e delle dimensioni di un container, che replica scenari urbani di battaglia molto verosimili. Esso fornisce la possibilità di un feedback immediato all’addestramento attraverso un sistema di comunicazioni digitali in dotazione ai soldati e registra un’intera sessione in termini di audio e video per la successiva valutazione tra soldati e comandanti. Un’unità MOUT ha pareti mobili per una riconfigurazione alla dimensione e alla forma richieste dai requisiti della missione di addestramento, e può essere combinata con altre unità fino a creare l’ambientazione desiderata per ospitare un plotone di 30-40 soldati. L’addestramento in virtuale per gli ambienti urbani viene considerato altamente rispondente alla realtà e permette una precisa valutazione della prestazione dei singoli soldati. Si possono simulare un’ampia varietà di scenari di addestramento, dal salvataggio di un ostaggio al recupero di un’arma rubata, e le più comuni condizioni ambientali, come la presenza di fumo.
D’interesse tattico, i serious games sono simulazioni virtuali interattive che si presentano con la veste di gioco pur avendo finalità di formazione e addestramento. Vi si riproducono situazioni reali nelle quali raggiungere un obiettivo mediante l’impiego di conoscenze e l’attuazione di strategie, sperimentando le dinamiche di reazione del sistema alle azioni del giocatore. L’elevata personalizzazione, il forte coinvolgimento, la possibilità di assimilare rapidamente i contenuti, la forma ludica piacevole e l’interattività dei serious games consentono di realizzare efficaci applicazioni, i cui ambiti travalicano quelli esclusivamente militari.
La metodologia di addestramento basata sui serious games sta trovando sempre maggiore interesse nella comunità di simulazione e addestramento militare a livello internazionale, testimoniato dalla costituzione di un apposito gruppo di lavoro nell’ambito dell’NMSG (Nato Modeling and Simulation Group).
Intrattenimento
L’industria dell’intrattenimento è stata tra le prime a servirsi di interfacce di realtà virtuale per realizzare emozionanti simulatori sportivi, automobilistici, di volo e di combattimento, impiegando interfacce avanzate che rendono naturale l’interazione per le specifiche applicazioni e che consentono un elevato grado d’immersione visiva.
Viceversa, la maggior parte delle problematiche affrontate dai progettisti di videogiochi sono in comune con le simulazioni in realtà virtuale, entrambe interattive man-in-the-loop (con l’uomo incluso nel ciclo di funzionamento): basti pensare alla qualità della riproduzione grafica e alla gestione della complessità geometrica della scena tridimensionale per il realismo visivo (oggetti dettagliati resi con materiali verosimili, effetti atmosferici e fenomeni ambientali ecc.), come anche alla simulazione delle leggi fisiche e al calcolo degli urti (collision detection), che rende realistico il comportamento degli oggetti durante l’azione. Il tutto deve essere ottenuto rispettando il vincolo del real-time per assicurare tempi di risposta accettabili per l’utente e mantenere, così, elevato il grado d’interattività. Pertanto è comune l’impiego di motori hard;ware-software tridimensionali sviluppati per i videogiochi (3D game engines e schede grafiche 3D) anche per realizzare applicazioni di realtà virtuale, cui si aggiungono il supporto per gli specifici dispositivi d’interfacciamento e le relative tecniche.
Medicina
Le principali applicazioni di realtà virtuale in campo medico riguardano la diagnostica, la formazione, l’addestramento, la riabilitazione e la terapia. Dal punto di vista degli strumenti e delle metodologie alcune di queste hanno parti in comune con altre, ma è necessario premettere che le applicazioni di realtà virtuale in medicina sono, per la maggior parte, ancora allo stadio di ricerca.
Il concetto centrale per la diagnostica e la chirurgia è la rappresentazione 3D del paziente, inteso quindi come una persona virtuale o un avatar medico. La prima ricostruzione 3D di un paziente umano deriva dal programma The visible human alla National library of medicine, negli Stati Uniti. Questo progetto mirava alla realizzazione di un data-base anatomico completo attraverso l’acquisizione di tomografie computerizzate, risonanze magnetiche e immagini da criosezioni di un cadavere maschile, con una precisione dell’ordine del millimetro.
Ambienti virtuali per la simulazione chirurgica permettono di addestrarsi a nuove procedure, provare e riprovare le operazioni e consentire la valutazione e l’autovalutazione del chirurgo prima di operare pazienti reali. Inoltre, il recente sviluppo della chirurgia minimamente invasiva (laparoscopia, crioterapia ecc.) ha acceso un interesse ancora maggiore nei confronti dei simulatori al computer in medicina. La laparoscopia si adatta particolarmente alla simulazione in virtuale perché gli strumenti che il chirurgo impiega nella metodica reale (il laparoscopio, composto da una telecamera che permette al chirurgo di vedere all’interno del corpo del paziente e da strumenti azionati a distanza, come bisturi, pinze ecc.) costituiscono i dispositivi che lo interfacciano al computer nella simulazione virtuale. In un simulatore di operazioni laparoscopiche, alcuni sensori rilevano il movimento meccanico azionato dal chirurgo per trasmetterne le azioni al simulatore, il cui risultato, una rappresentazione in computer graphics tridimensionale dell’interno del corpo del paziente, sostituisce l’immagine acquisita nel reale dalla telecamera e viene vista dal chirurgo attraverso lo stesso monitor che avrebbe in sala operatoria.
L’uso della realtà virtuale per la cura di malattie psichiche e psicologiche, soprattutto disturbi di ansia, è, invece, più recente, ma sembra costituire una direzione di ricerca promettente (Hodges, Anderson, Burdea et al. 2001). Esempi di applicazioni cliniche che usano la realtà virtuale sono il trattamento di fobie, il disturbo da stress postraumatico, i disturbi dell’alimentazione e la riabilitazione in ortopedia (Girone, Burdea, Bouzit et al. 2000). Gli scenari di riabilitazione virtuale vengono adattati a ogni approccio terapeutico. Come regola generale, l’utente degli ambienti virtuali terapeutici è sempre il paziente stesso, mentre i terapisti controllano i parametri del sistema e valutano le prestazioni dei pazienti. A differenza delle altre applicazioni di realtà virtuale fatte per interagire sul piano fisico (manipolazione) e cognitivo con l’essere umano, gli ambienti virtuali terapeutici mirano a impegnare le caratteristiche emotive, sociali e spirituali dei partecipanti. Per rendere più piacevoli le sessioni ripetute di riabilitazione, l’impegno può consistere in puro intrattenimento, o può essere studiato in modo da far scattare specifiche risposte emotive a una configurazione controllata di stimoli per il trattamento di fobie. La maggior parte del lavoro è stata fatta sul trattamento di specifiche fobie, come l’acrofobia (la paura connessa ai luoghi elevati), la paura di volare, l’aracnofobia, la claustrofobia e l’agorafobia. Nei corrispondenti ambienti virtuali si applica il concetto di terapia attraverso l’esposizione, che consiste nell’affrontare la situazione di paura nell’ambiente controllato per cambiare la struttura della paura. Rispetto alla terapia per esposizione tradizionale, la realtà virtuale offre un più elevato grado di controllo della situazione di paura, in modo che la terapia possa essere ripetitiva, graduale e prolungabile nel tempo.
Una prospettiva importante dell’impiego di ambienti virtuali in medicina si ha anche nell’ambito della terapia del dolore, poiché la percezione del dolore presenta un’importante componente psicologica e lo stesso segnale può essere interpretato da un paziente come doloroso o meno a seconda della tipologia dei suoi pensieri. Inoltre, il dolore richiede una consapevole attenzione. I due elementi chiave per tale impiego sono che l’essenza della realtà virtuale è l’illusione degli utenti di essere in un ambiente generato al computer e che essere catapultato in un altro mondo assorbe molte risorse di attenzione, lasciandone meno per elaborare i segnali del dolore. Quindi, per i pazienti trattati in realtà virtuale, e quindi distratti dal loro obiettivo primario, ossia quello di esplorare il mondo virtuale, il dolore diventa poco più di un fastidio e non risulta più al centro della loro attenzione.
Archeologia, arte e beni culturali
I settori dell’archeologia, dell’arte e dei beni culturali non sono rimasti indifferenti al potenziale comunicativo del virtuale. In archeologia la ricostruzione tridimensionale è presto diventata uno strumento fondamentale di presentazione e di divulgazione dei risultati di campagne di scavi, ma è ormai impiegata sempre più spesso anche come strumento a supporto dell’indagine per la ‘materializzazione’ di ipotesi ricostruttive a partire dagli elementi ritrovati e dalla conoscenza sulla civiltà studiata.
In questo settore l’Italia ha giocato un ruolo trainante e apprezzato nel mondo, per es. con spettacolari ricostruzioni virtuali della Domus Aurea, dimora dell’imperatore Nerone scoperta sotto il colle Oppio a pochi passi dal Colosseo; della tomba della regina egizia Nefertari, riportata alla luce nel 1904; o della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, che fa apprezzare da vicino anche gli affreschi di Giotto.
La rappresentazione virtuale di una struttura architettonica di rilevante valore storico-artistico o di un sito archeologico può, a volte, rimanere l’unica testimonianza dopo la sua distruzione a seguito di calamità naturali o per l’intervento volontario dell’uomo. Quando nel 1997 un terremoto fece crollare la volta della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, la sua rappresentazione virtuale, realizzata anni prima, ha costituito un insostituibile materiale di riferimento (modello tridimensionale e immagini degli affreschi impiegate come texture) per guidarne la ricostruzione e il restauro.
Altro esempio è il caso del sito archeologico di Moregine, vicino a Pompei. Per la sua posizione a ridosso e sotto la sede autostradale, ma soprattutto perché sottoposto a una falda acquifera di forte portata, non è stato possibile conservare il sito fuori terra. Pertanto, asportato tutto l’arredo mobile e le decorazioni ed effettuate le misurazioni, esso è stato nuovamente interrato. La navigazione tridimensionale del modello del sito può avvenire interattivamente o secondo percorsi prestabiliti: la prima modalità dà all’utente la massima libertà di esplorazione visiva, mentre la seconda dà origine a filmati altamente realistici. Entrambe si possono avvantaggiare della visualizzazione in stereoscopia per un più elevato senso di presenza tridimensionale nell’ambiente virtuale.
A cavallo tra archeologia e arte vi è l’impiego della realtà virtuale per ricreare l’ambientazione storica legata a un’opera d’arte e permettere ai visitatori di ‘entrare’ nella scena che rappresenta, simulando il movimento all’interno dell’ambiente che la conserva, per es., una galleria d’arte, una chiesa o qualsiasi altro luogo storico. Nell’ambientazione storica ricreata possono essere riprodotti fedelmente, oltre che l’apparenza tridimensionale dell’ambiente (come, per es., la piazza di una città del Medioevo o del Rinascimento), anche i comportamenti di una serie di personaggi le cui gesta sono descritte da studi storiografici. Questo approccio alla fruizione di opere d’arte storiche permette ai visitatori di avere una più ampia cognizione del contesto storico-ambientale in cui si svolge l’azione rappresentata nell’opera.
Marketing
Come altri settori applicativi già trattati, anche il marketing privilegia l’impiego degli ambienti virtuali in ambiti di comunicazione e di presentazione, per la capacità di tale tecnologia di materializzare, anche se soltanto visivamente, prodotti non ancora disponibili fisicamente. Sono da ascrivere al marketing i virtual showcases, ossia le showrooms virtuali che si trovano sul web per presentare in maniera attraente e accattivante prodotti di ogni genere: automobili, videocamere, mobili e così via. Lo scopo è di permettere al potenziale cliente d’interagire con un modello digitale tridimensionale del prodotto non soltanto per visualizzarlo da un punto di vista arbitrario, per ruotarlo, ingrandirlo e così via, ma anche per provarne il funzionamento (per es., comandare con il proprio mouse l’azionamento di pulsanti che attivano funzionalità, come l’apertura di pannelli, portiere ecc.). Esperimenti di psicologia legati al marketing hanno dimostrato, infatti, che l’esperienza manipolativa virtuale non soltanto rafforza il ricordo del prodotto ma gli fa attribuire doti e funzioni che superano addirittura quelle reali. Nelle presentazioni statiche di prodotti basate su testi e figure, tipicamente unidirezionali nella comunicazione, la mancanza di feedback è, invece, la causa della minore efficacia comunicativa ed evocativa.
L’interesse del marketing nei confronti delle rappresentazioni virtuali dei prodotti nasce anche dalla possibilità di presentare un prodotto ancora prima che esso sia disponibile, o addirittura nella fase di concepimento dell’idea, per valutare in anticipo le reazioni dei potenziali clienti e usarne le impressioni per indirizzarne lo sviluppo. Presentazioni effettuate con tecniche e strumenti del virtuale sono di maggiore impatto perché altamente realistiche nella tridimensionalità che riescono a rendere del prodotto e nella possibilità d’interagirvi. Le conclusioni dei relativi test soggettivi di giuria risultano, così, più affidabili.
Una nuova attrattiva delle rappresentazioni virtuali di prodotti per il marketing è legata alla possibilità di personalizzazione dei prodotti stessi, soprattutto per quel che riguarda l’aspetto estetico, legato al gusto del cliente. Tale finalità è riconosciuta come una delle moderne chiavi di allargamento del potenziale commerciale di un mercato.
Prospettive
La realtà virtuale dipende dalla tecnologia in modo sostanziale, poiché il successo di un’applicazione è fortemente legato all’efficacia dei dispositivi d’interfacciamento uomo-macchina, alle capacità di elaborazione e di rappresentazione grafica del computer, al software che anima e controlla l’applicazione. Gli avanzamenti sui dispositivi, come guanti, sistemi di tracciamento, strumenti di trasferimento della forza, display, generatori di immagine, avranno immediato impatto positivo nel cammino verso l’obiettivo d’indistinguibilità di un ambiente virtuale dal corrispondente reale, che passa anche attraverso la riduzione dell’onere di ‘vestizione’ dell’utente con sensori a volte ingombranti o che ne limitano la capacità di movimento. Inoltre, altri sensi umani, come, per es., l’olfatto, mancano di un’efficace stimolazione nell’ambiente virtuale, affidata per ora a strumenti prototipo di limitata applicabilità.
Gli avanzamenti non dovranno essere soltanto di tipo tecnico-prestazionale, ma dovranno interessarsi degli aspetti economici, in modo che applicazioni di realtà virtuale a costi contenuti possano trovare impieghi sempre più ampi. Considerando che il costo di un qualsiasi dispositivo tecnologico dipende in maniera inversa dalla sua diffusione sul mercato, secondo un’intuitiva legge di economia di scala, oltre a puntare sugli sviluppi tecnici si dovrà, al tempo stesso, individuare una killer application (in senso lato, applicazione vincente) che renda utile, produttivo e, magari, essenziale, l’impiego di dispositivi d’interfacciamento uomo-macchina avanzati e innovativi, in modo che l’offerta faccia seguito alla domanda di massa.
Per i dispositivi di realtà virtuale con interfacciamento immersivo l’obiettivo è l’eliminazione dei cavi di connessione tra le parti indossate e i computer, al fine di arrivare a un sistema completamente wireless che faccia sentire la persona meno legata e che ne aumenti la libertà di movimento. I sistemi di tracciamento, già tendenti al wireless, faranno sempre più a meno di sensori da indossare in favore di un riconoscimento delle parti da monitorare ottenuto attraverso sistemi di visione artificiale, anche per rendere più ampia l’area coperta. I guanti digitali potrebbero essere, presto, definitivamente rimpiazzati da analoghi sistemi di riconoscimento del movimento delle mani e di gesti particolari, che, a meno della possibilità di sentire riscontri vibrotattili, renderebbero estremamente intuitiva l’interazione con gli oggetti. In generale, la minimizzazione dell’impatto della sensorizzazione sulla persona contribuisce enormemente alla naturalezza del passaggio al virtuale, facendo sì che l’esperienza risulti più verosimile.
Nei display l’obiettivo è di avere HMD che coprano interamente il campo visivo umano, di oltre 180°, con pesi, ingombri ed emissione di calore limitati per un livello di comfort atto a permetterne un impiego più lungo, e con costi non proibitivi come, invece, avviene per i modelli più performanti. Inoltre anche gli HMD dovranno perdere il cordone ombelicale che li lega al computer che genera le immagini, anche se, tecnicamente, questo passo appare ancora piuttosto difficile da effettuare. Ulteriori progressi si attendono in altri ambiti applicativi: per es., nella realtà aumentata, i retinal displays, minuscoli proiettori laser che proiettano l’immagine direttamente sulla retina, dovrebbero raggiungere uno sviluppo definitivo e soppiantare i visori monoculari semitrasparenti, almeno per grafica monocromatica. Proprio nella tecnologia dei display, in generale, è probabile che nei prossimi decenni si assista a vere rivoluzioni, con dispositivi olografici volumetrici che potranno far materializzare scene e modelli tridimensionali nello spazio. Per ottenere questo si dovrà necessariamente compiere un salto importante anche nel modo di generare le immagini al computer, dove l’approccio volumetrico potrà soppiantare l’attuale modo di visualizzare i modelli 3D per superfici. Sul fronte del calcolo, la crescita della potenza elaborativa permetterà di implementare simulazioni sempre più dettagliate e veritiere delle fenomenologie fisiche che regolano sia la nostra capacità d’interagire nella realtà sia il comportamento funzionale degli oggetti, in previsione di rendere gli ambienti virtuali ancora più verosimili.
Sul fronte del trasferimento di sensazioni tattili e di forza, materiali innovativi permetteranno di realizzare guanti capaci di trasferire microsollecitazioni ai polpastrelli, e tute o corpetti in grado di opporre resistenza ai movimenti, per restituire efficaci effetti di force-feedback attraverso apparecchi non più onerosi in termini di peso, ingombro e vestibilità.
Nell’interazione uomo-computer, gli approcci avanzati ma tecnologicamente impegnativi della realtà virtuale potranno diventare d’impiego pratico quotidiano: così il computer sarà la porta d’accesso verso mondi virtuali tanto realistici da costituire ambienti dove sia del tutto naturale lavorare, divagarsi, incontrarsi, conoscere e condividere (Lanier 2001).
Bibliografia
C. Cruz-Neira D.J. Sandin, T.A. DeFanti, Surround-screen projection-based virtual reality. The design and implementation of the cave, in Proceedings of the 20th annual conference on computer graphics and interactive techniques, ed. M.C. Whitton, New York 1993, pp. 135-42.
M. Girone, G. Burdea, M. Bouzit et al., Orthopedic rehabilitation using the ‘Rutgers ankle’ interface, «Studies in health technology and informatics», 2000, 70,pp. 89-95.
L.F. Hodges, P. Anderson, G.C. Burdea et al., Treating psychological and physical disorders with VR, «IEEE computer graphics and applications», 2001, 21, 6, pp. 25-33.
J. Lanier, Virtually there. Three-dimensional tele-immersion may eventually bring the world to your desk, «Scientific American», April 2001, 284, 4, pp. 66-75.
S.K. Feiner, Augmented reality. A new way of seeing, «Scientific American», 2002, 286, 4, pp. 50-55.
Handbook of virtual environments. Design, implementation, and applications, ed. K.M. Stanney, Mahwah (N.J.) 2002 (in partic. R.D. Shilling, B. Shinn-Cunningham, Virtual auditory displays, pp. 65-92).
G.C. Burdea, Ph. Coiffet, Virtual reality technology, Hoboken (N.J.) 20032.
W.R. Sherman, A.B. Craig, Understanding virtual reality: interface, application, and design, Amsterdam-Boston 2003.
J.A. Vince, Introduction to virtual reality, London-New York 2004.
F. Caputo, G. Di Gironimo, La realtà virtuale nella progettazione industriale, Roma 2007.
E. Medina, R. Fruland, S. Weghorst, Virtusphere. Walking in a human size VR hamster ball, in Proceedings of the human factors and ergonomics society 52nd annual meeting, Santa Monica (Cal.) 2008, pp. 2102-06.
Second life. Oltre la realtà il virtuale, a cura di P. Canestrari, A. Romeo, Milano 2008.
Si veda inoltre:
The capability of virtual reality to meet military requirements, 2000,http://ftp.rta.nato.int/Public/PubFullText/RTO/MP/RTO-MP-054/MP-054-$$TOC.pdf.