simonia e simoniaci
Con il termine s., che in D. ricorre esplicitamente soltanto in If XI 59 falsità, ladroneccio e simonia, s'intende, in teologia morale e in diritto canonico, la volontà di comprare o vendere per un prezzo temporale un bene intrinsecamente spirituale o una cosa temporale necessariamente connessa con la spirituale. Il nome e il concetto di s. si riconnette al sacrilego mercato proposto a s. Pietro da Simone di Samaria (v. SIMON MAGO), il quale avendo chiesto, in cambio di moneta, la potestà di comunicare ad altri i carismi dello Spirito Santo, ebbe dall'Apostolo la recisa risposta " Pecunia tua tecum sit in perditionem " (Act. Ap. 8, 9 ss.). L'istituto feudale era compenetrato nella Chiesa, negli aspetti della sua vita sociale e della sua disciplina. All'ordinazione sacerdotale seguiva il conferimento di un beneficio, ma il beneficio stesso divenne poi, in molti casi, l'essenziale e il sacerdozio l'accessorio. Ecclesiastici e laici vendevano i benefici di più alta rendita: si giunse sino alla pluralità dei benefici nella medesima persona. S. Giustino Martire (Apolog. I 26, Il 14), s. Clemente Alessandrino (Strom. II 11, VII 7), Origene (Contra Celsum I), s. Ireneo (Adversus her. I 23), considerarono Simon Mago (v.) capo di una setta eretica, iniziatore dell'eresia. S. Tommaso afferma che la s. è un'eresia, poiché eresia, se non di dottrina, di fatto, è il credere vendibile il dono dello Spirito Santo (Sum. theol. II II 100). S. Gregorio Magno nel condannare l'eresia simoniaca ne specifica le tre forme: munus a manu (donativi o denaro), munus ab obsequio (adulazione intenzionale), munus a lingua (parola insinuante per la compera dei sacri uffici). Il concilio romano del 1059 stabilisce: " Erga simoniacos nullam misericordiam in dignitate servanda habendam esse decernimus; sed iuxta canonum sanctiones et decreta sanctorum Patrum eos omnino damnamus, ac deponendos esse apostolica auctoritate sancimus ". Il Rythmus adversus simoniacos di s. Pier Damiano mostra la gravità del male e la lotta intrapresa dalla Chiesa; il linguaggio del cardinale Umberto di Selva Candida nell'opera Adversus simoniacos potrebb'essere introduttivo al linguaggio dantesco.
D. sviluppa, nella terza bolgia del cerchio ottavo dell'Inferno, la raffigurazione della pena dei colpevoli di simonia. Viene osservata la legge del contrapasso. Costoro capovolsero il significato legittimo delle cose spirituali, non furono sposi della Chiesa, ma adulteri, lupi rapaci per avarizia e cupidigia di denaro, e fecero mercato delle cose divine. Sono perciò confitti e capovolti entro buche circolari, che si susseguono, tutte di eguale grandezza. Nella terra, dove sono i metalli preziosi, stava il cuore; nella terra il loro corpo è preso e avvinto. In ciascuna buca è confitto un peccatore, che con i piedi e le gambe sino al polpaccio soverchia l'orlo della fossa, mentre l'altro, cioè il corpo, non degno neppure di essere nominato, sta dentro la strettoia della buca. Tutti mostrano le piante dei piedi accese: l'una e l'altra gamba guizza e si torce per il tormento del fuoco, e a stornare la pena, in cerca di refrigerio, si agita rapidamente. Dai calcagni alle punte si muovono e vi persistono, come su cose unte, le lingue di fuoco (If XIX 1-30). Unica evasione le gambe, ma queste sono come torce accese. D., secondo il D'Ovidio, ebbe presente la predica di Gregorio VII ancora cardinale, tenuta ad Arezzo, avanti a Niccolò II: vi si accennava a un ricco conte tedesco piombato all'Inferno, alla sommità di una scala, avvolto dalle fiamme. Ogni nuovo dannato occupava quella sommità, e respingeva gli altri a discendere di un gradino verso l'abisso. Se D. non conobbe la fonte diretta trovò l'episodio in s. Pier Damiano, che v'introdusse il particolare di un'altra predica di Ildebrando, ove si narra di un vescovo simoniaco che balbettando diceva: " Nel nome del Padre, del Figlio ", ma non arrivava mai allo Spirito Santo: la lingua gli s'irrigidiva; aveva voluto comprare lo Spirito Santo, l'aveva dunque perduto. Comunque, il ricordo esplicito dantesco è rivolto alla memoria della forma dei pozzetti del battistero fiorentino, che erano inseriti nell'opera muraria del fonte stesso e venivano usati per l'amministrazione contemporanea di più battesimi (vv. 15-18). Nei vv. 49-51 D. paragona sé stesso chinato sul pozzetto a parlare con papa Niccolò III, al frate che confessa l'assassino punito con la propagginazione, cioè confitto a terra a capo in giù. L' ‛ assassinio ' della Chiesa per denaro compiuto dai simoniaci ripete, nel pensiero dantesco, il tradimento perpetrato da Giuda col mercato delle trenta monete d'argento. L'atteggiamento di D. si trasfigura, per similitudine, in quello del confessore e riporta così il colloquio a quel senso liturgico, che accresce il sarcasmo.
Tre sono i pontefici accusati di s.: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini); Bonifacio VIII (Benedetto Caetani); Clemente V (Bertrand de Got). Papa Orsini giunse al pontificato in età avanzata, aveva servito otto papi e preso parte, come elettore, a sette conclavi. Trovò la situazione politica quanto mai intricata per il conflitto tra il guelfismo degli Angioini e i diritti dell'Impero e della Chiesa. Limitò la potenza di Carlo d'Angiò nel regno, diede a un senatore il governo annuale della città di Roma, tolse all'Angioino il Vicariato della Toscana, rivendicò i diritti sulla Romagna riconosciutigli da Rodolfo d'Asburgo, e riuscì a comporre per opera del nipote cardinal Latino Malabranca la pace di Firenze del 1280, stabilendo un governo di guelfi con minoranza ghibellina. Le ragioni dello sdegno dantesco sono da ricercare, come osserva il Paschini, " in quella politica prettamente italiana e perciò praticamente anti-imperiale " e nel favoritismo verso la famiglia Orsini. Nell'unica elezione di cardinali da lui fatta, su nove cardinali tre furono prescelti dalla sua parentela, ed era già nel collegio cardinalizio il nipote Matteo Rosso Orsini. Il suo nepotismo si estese anche alla confisca interessata di Soriano al Cimino e di altre rocche passate alla sua casa.
Gli Orsini furono i più tenaci sostenitori di Bonifacio VIII. Il giudizio dantesco, che ha riscontro nelle testimonianze contemporanee, si perpetuò anche nell'arte se, come volle lo Steinmann (Die Sixtinische Kapelle, Monaco 1901-1905) la figura del Giudizio nella Sistina con la testa all'ingiù, con borsa e chiavi (attributo, veramente, più dell'avaro che del simoniaco) è legata alla memoria di Niccolò III.
I giudizi su Bonifacio VIII hanno come fonte gli autori francesi del tempo di Filippo il Bello, sostenitori del re contro il pontefice, e quegli autori italiani che parte tradussero i testi francesi, parte raccolsero i libelli dei Colonna e le polemiche accese dei Fraticelli. Bonifacio VIII intervenne nelle lotte tra Filippo il Bello ed Edoardo d'Inghilterra, nelle lotte tra gli Angioini e gli Aragonesi, nei problemi della Terra Santa, nell'accordo di pace tra il doge di Venezia e Genova, nella questione tosco-romagnola. L'esodo dell'Alighieri dalla sua città e le conseguenti condanne ebbero inizio da quell'attività politica di Bonifacio VIII nei confronti di Firenze. Il poeta denuncia una situazione contraria alla missione della Chiesa coinvolta nelle conseguenze del potere temporale. Se la Monarchia non contraddice nell'esordio e nell'epilogo all'Unam Sanctam, l'allegoria delle due spade (III IX) e la questione dei duo magna luminaria (XII) è trattata da D. come una risposta alla costituzione pontificia.
Bonifacio VIII fu raffigurato da D. come simoniaco (ma l'elezione fu, secondo i canoni, regolare); poiché per la cronologia egli è vivo, immagina che Niccolò III lo senta giungere, innanzi tempo, qui nella buca. L'Orsini lamenta che i suoi piedi dovranno guizzare sotto la fiamma più di venti anni, dal 1280 al 1303, in paragone a Bonifacio VIII che soggiacerà alle fiamme dal 1303 al 1314.
Verrà, dopo, il venditore della Chiesa con il guasco Bertrand de Got che trasportò la sede apostolica ad Avignone. D. paragona questo pontefice a Giasone, compratore del sommo sacerdozio dal re Antioco di Siria, com'è scritto nel libro dei Maccabei. Il nuovo Antioco è Filippo il Bello, e Clemente V per simonia e lussuria ripeterà le gesta di Giasone. Non ha fondamento storico l'elezione simoniaca e il colloquio con il re di Francia nel bosco presso Jean d'Angely, accolti dal Villani (VIII 80). Nel 1305, nella creazione dei cardinali nove furono francesi, uno inglese; per compiacenza a Filippo il Bello reintegrò tra i cardinali i due Colonna, fece cancellare tutti gli atti di Bonifacio VIII e di Benedetto XI (tranne le costituzioni Unam Sanctam e Rem non novam) che sembrassero ostili al re, e lasciò che questo portasse a termine il processo contro i Templari. Fondata risulta l'accusa di favoritismo dei parenti - Giovanni XXII in un processo ne impugnò le volontà testamentarie - e documentata la sua cupidigia dei fiorini d'oro. Favorì l'elezione di Enrico VII, ma poi gli oppose Roberto di Napoli. D. vedrà Clemente V nell'allegoria della Chiesa, nel Paradiso terrestre: la Chiesa è alla mercé del gigante (Filippo il Bello), ridotta a meretrice. Di qui lo sdegno che perdura sino nel Paradiso contro i Guaschi (Pd XXVII 58). Di Bonifacio VIII e di Clemente V simoniaci, e della bolgia che li attende, vi è una chiara nuova allusione in Pd XXX 142-148.
Bibl. - Per i problemi di carattere storico sui personaggi del canto XIX dell'Inferno, cfr.: P. Paschini, D., i Papi e la Curia del suo tempo, in Conferenze del Laterano (marzo-aprile 1921), Grottaferrata 1922, 7-49; P. Fedele, Rassegna delle pubblicazioni su Bonifacio VIII degli anni 1914-21, in " Arch. Soc. Romana St. Patria " XLIV (1921) 311-332; G. Mollat, Les Papes d'Avignon, Parigi 1950; G. Petronio, Bonifacio VIII, un episodio della vita e dell'arte di D., Lucca 1951; E. Dupré-Theseider, Roma dal Comune di popolo alla Signoria pontificia, Roma 1952, 199-220, 281-374.
Sul canto XIX cfr.: L. Pietrobono, Il c. XIX dell'Inferno, in Lect. Genovese II, Firenze 1906; F. D'Ovidio, D. e Gregorio VII, in Studi sulla D.C., Napoli 1931, 356 ss.; A. Bertoldi, Il canto dei Simoniaci, in Nostra maggior musa, Firenze 1921; G. Fallani, Il canto dei simoniaci, in Poesia e teologia nella D.C., I, Milano 1959, 77-93; P. De Francisci, Il canto XIX dell'Inferno, Torino 1960; A. Pagliaro, Il canto XIX dell'Inferno, Firenze 1961 (rist. in Lect. Scaligera I 617-668); P. Brezzi, Il canto XIX dell'Inferno, in Nuove lett. II 161-182.