PERUZZI, Simone
PERUZZI, Simone. – Nacque probabilmente a Firenze all’inizio del Trecento da Rinieri e da Milia di Lapo de’ Cerchi.
Immatricolato sia all’arte di Calimala sia a quella del cambio insieme al fratello Giovanni, raggiunse la carica di console di Calimala per tre volte (1349, 1355, 1356) e fu socio bancario di Giovanni nel biennio 1355-56. Sposò nel 1351 Giovanna Beccanugi e nel 1363 Sandra Rucellai. Ebbe cinque figli legittimi (Benedetto, Niccolò, Luigi, Smeralda e Giovanna) e uno naturale, Piero.
Simone non fu coinvolto direttamente nel fallimento della compagnia di famiglia (v. la voce Peruzzi in questo Dizionario) e il suo patrimonio si mantenne cospicuo per tutto il Trecento. Si trattava prevalentemente di possedimenti immobiliari ubicati a Novoli, nel contado fiorentino, il cui valore fu stimato dallo stesso Peruzzi in circa 10.000 fiorini.
La mercatura e la banca non furono i suoi interessi primari; scelse infatti, caso forse unico nella storia dei Peruzzi, di dedicarsi prevalentemente all’attività politica senza rinunciare però a unire l’esercizio delle cariche pubbliche agli interessi privati. Nei primi decenni del Trecento già erano visibili i segni della crisi che esplose alla metà del secolo, e Peruzzi, insieme con altri esponenti dell’aristocrazia guelfa, cercò di arginare la debolezza strutturale delle compagnie fiorentine trasformando un conflitto in opportunità di guadagno.
Nello stesso periodo la Repubblica fiorentina era impegnata nella costruzione di uno Stato territoriale, e mirava a estendere il suo controllo sulle principali realtà cittadine regionali. In questo progetto rientrava Lucca, importante snodo mercantile, logisticamente determinante per i collegamenti tra gli Appennini e il Tirreno e dominata, nel 1335, da Mastino II della Scala. Il signore veronese offrì a Firenze un accordo economico: il possesso di Lucca in cambio di 360.000 fiorini.
Peruzzi fu tra coloro che rifiutarono la proposta dello Scaligero non tanto per ragioni di opportunità politica o per salvaguardare l’onore di Firenze, ma più semplicemente perché iniziare una guerra avrebbe potuto significare ingenti guadagni per la compagnia dei Peruzzi e per le altre grandi aziende fiorentine in quel momento in difficoltà. Acciaiuoli, Bardi e della Tosa – tutti titolari di società in sofferenza – appoggiarono la posizione di Peruzzi.
La guerra durò trenta mesi, durante i quali i banchieri, anticipando le somme necessarie alle spese belliche, ottennero dal Comune interessi molto elevati e incrementarono ulteriormente i patrimoni societari prestando danaro ai cittadini non in grado di sostenere l’aumento delle tasse. La fine delle operazioni militari non portò il risultato sperato poiché il confronto con Mastino II della Scala terminò con un trattato di pace, stipulato il 24 gennaio 1339. Fu effimero anche l’aumento di liquidità per le banche direttamente coinvolte nel finanziamento della guerra, dal momento che pochi anni dopo subirono gravi rovesci economici e alcune di esse, come quella dei Peruzzi, dichiararono fallimento.
Peruzzi, in controtendenza, acquistò visibilità politica grazie all’esperienza maturata nella guerra di Lucca e nel trimestre marzo-maggio 1339 entrò a far parte della Signoria come componente dei Dodici buonuomini. Quattro anni dopo, Peruzzi consolidò la propria reputazione in occasione della fine violenta della signoria di Gualtieri di Brienne, duca d’Atene.
Costui aveva promosso una politica molto ambigua nei riguardi dell’oligarchia guelfa che, nel luglio 1343, si ribellò riuscendo a cacciarlo. La gravità della situazione fiorentina mise in pericolo la stabilità dei rapporti con le comunità soggette che tentarono di approfittare della debolezza della Dominante per modificare l’assetto dell’equilibrio regionale.
Il parlamento convocato sulla piazza della Cattedrale di S. Reparata si concluse con l’elezione di una Balìa costituita di quattordici cittadini investiti di poteri straordinari fino al 1° ottobre 1343 e incaricati di riformare lo Stato, emanare leggi ed eseguire sentenze.
Peruzzi fece parte della magistratura in rappresentanza del sestiere di San Pier Scheraggio. Una delle prime decisioni messe in pratica fu il ritorno all’articolazione cittadina in quartieri; i Peruzzi confluirono nel quartiere di Santa Croce per il quale Simone fu sorteggiato fra i Priori del 1344. In seguito ricoprì la stessa carica altre due volte, nel 1357 e nel 1375.
Nel 1359 Peruzzi, in veste di comandante militare, fu in prima linea nel Valdarno superiore dove la Signoria di Firenze stava conducendo una campagna militare volta alla sottomissione della zona. Tra la fine di marzo e l’inizio di maggio Peruzzi era a capo delle truppe fiorentine insieme con Filippo degli Albizzi, e dalle lettere che indirizzò ai signori è evidente la sua assoluta lealtà verso le istituzioni della sua città e il suo profondo convincimento a proposito dell’uso di qualsiasi mezzo per soffocare l’opposizione delle comunità locali. Ne è testimonianza, in particolare, la missiva del 25 marzo 1359 nella quale Peruzzi si dichiarò pronto a incendiare e radere al suolo le località non disposte ad arrendersi all’esercito fiorentino; l’unica remora che lo costringeva a indugiare era il timore di poter subire conseguenze penali se non avesse ricevuto a tal proposito istruzioni precise e l’autorizzazione ufficiale.
Una quindicina d’anni più tardi, la guerra contro la Chiesa (1375-78) rafforzò ulteriormente la posizione di Peruzzi all’interno della magistrature fiorentine. La sua opinione era sempre espressa in favore della pace, ma il suo pensiero primario era volto alla tutela della sicurezza dello Stato fiorentino e al rispetto dei trattati di alleanza con i collegati di Firenze. Costantemente presente alle riunioni delle Consulte, Peruzzi fu anche molto attivo come ambasciatore e condusse le trattative con Gregorio XI per porre fine al conflitto.
Il 29 aprile 1377 gli Otto di Balìa lo inviarono a Roma insieme con Pazzino di Francesco Strozzi, Alessandro di Giovanni dell’Antella, Lapo da Castiglionchio e Benedetto di Nerozzo degli Alberti «pro pace ordinanda» (Firenze, Archivio di Stato, Balie, 13, c. 170r); il gruppo di agenti diplomatici rimase presso la corte pontificia fino al luglio successivo. Peruzzi fu inoltre eletto ambasciatore a Milano con Alessandro di Giovanni Telesi alla fine del 1377 per discutere con i Visconti degli accordi di pace con la Chiesa: era stato proprio Peruzzi a far approvare il progetto di alleanza tra Firenze e Milano, un accordo che, secondo le sue stesse parole, aveva incontrato profonda ostilità in Firenze e non aveva trovato in Galeazzo Visconti un interlocutore affidabile. Gli sforzi di Peruzzi per arrivare alla conclusione della pace con Gregorio XI furono vanificati dalla morte del pontefice, avvenuta nel marzo 1378.
Le numerose missioni svolte da Peruzzi rappresentarono anche un significativo cespite, la cui liquidazione veniva assicurata dalla presenza del figlio Benedetto quale camerlengo del Comune.
Nello stesso periodo, anche il parente Filippo di Tommaso Peruzzi fu molto attivo come diplomatico in Umbria, nelle Marche, nel Valdarno inferiore e nella Valdinievole, al pari del fratello di Peruzzi, Giovanni, al cui gruppo di oratori era stato affidato, il 16 febbraio 1378, l’incarico «procuranda et tractanda pace cum summo pontifice et sancta Romana ecclesia» (15, c. 3r.).
Il 24 marzo 1378 Peruzzi fu eletto per sei mesi tra gli Otto di Balìa.
La composizione della magistratura rispecchiava l’assetto sociopolitico del governo cittadino guidato dall’aristocrazia guelfa detentrice dei più cospicui capitali mercantili e bancari: Bardi, Salviati, Strozzi, Gucci. Quando nel giugno successivo il gonfaloniere di giustizia, Salvestro di Alamanno de’ Medici, si schierò dalla parte delle arti minori e di quei gruppi di artigiani esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica, il reggimento fiorentino cambiò radicalmente segno e fu instaurato un regime che Gene Brucker definì «una comunità delle arti allargata» (1981, p. 52).
Le fasi iniziali del ‘tumulto dei Ciompi’ furono ricordate da Peruzzi nel suo Libro segreto nel quale giustificò il proprio operato in funzione antipopolare, legittimato anche dalla carica di capitano delle Porte: a questa carica, nell’imminenza della sommossa, era stato designato dal Consiglio del Popolo insieme con Bartolomeo di Giotto Peruzzi.
Il nuovo governo, costituitosi dopo la rivolta, comminò l’esilio a tutti gli esponenti del precedente regime e ai loro familiari. Peruzzi godeva di forti appoggi a Perugia, tanto che in quella città nel dicembre 1377 gli era stata concessa la cittadinanza in virtù delle sue ambasciate nel Patrimonium durante la guerra contro la Chiesa. Il privilegio, ereditabile per discendenza maschile, comportava l’immunità e la licenza di portare armi e armati per la difesa personale nel territorio perugino; tra l’ottobre del 1378 e il giugno del 1379, Peruzzi scelse quindi Perugia per farsi consegnare, tramite il figlio Benedetto, 1700 fiorini d’oro utili alla vita da esiliato che avrebbe condotto a Spoleto.
Il bando ebbe durata annuale, ma mentre Peruzzi lo rispettò senza cedere a forzature, Benedetto Peruzzi, confinato a Genova, violò i termini della disposizione legandosi alle frange estremiste del fuoriuscitismo violento ed esponendo così la sua famiglia al biasimo e al disonore.
Le ultime notizie documentate di Peruzzi risalgono al 1380 quando, rientrato in Toscana, fece rogare e depositare il suo testamento nel convento dei frati minori di Montepulciano. A una prima stesura, datata 8 maggio, che prevedeva lasciti per entrambi i figli Benedetto e Niccolò, fece seguito una seconda, scritta del novembre del 1380, nella quale censurò con durezza inusitata il comportamento di Benedetto diseredandolo, maledicendolo e augurandogli disgrazie e sventure.
Di Peruzzi non si conosce né la data, né il luogo della morte.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Balie, 13, cc. 169v-170r, 186r, 194r, 260r; 14, cc. 14r, 23r; 15, cc. 2r-3r; Carte Strozziane, Serie II, filza 66 Consoli dell’Arte de Mercatanti della città di Firenze, cc. n.n.; Serie III, filza 149, cc. 179-181; Consulte e Pratiche, 14, c. 124v; Libri Fabarum, 40, c. 262r; Manoscritti, 519/III, ins. 38; Priorista di Palazzo, 1, cc. 79v, 80v, 90r, 102r, 120r; Signori, responsive, 5, lettere nn. 35, 48, 54; M. di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in RIS2, XXX/1, Città di Castello 1903, rub. 789-800, pp. 316-329; Frammenti del Libro Segreto di Simone di Rinieri, in A. Sapori, I libri di commercio dei Peruzzi, Milano 1934, pp. 513-524; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, III, Parma 1991, 13, pp. 336 s.
G. Brucker, Dal Comune alla Signoria. La vita pubblica a Firenze nel primo Rinascimento, Bologna 1981, pp. 48 s., 52; L. De Angelis, La revisione degli statuti della parte guelfa del 1420, in Ead., La Repubblica di Firenze fra XIV e XV secolo. Istituzioni e lotte politiche nel nascente stato territoriale fiorentino, Firenze 2009, pp. 29-47; V. Mazzoni, Accusare e proscrivere il nemico politico. Legislazione antighibellina e persecuzione giudiziaria a Firenze (1347-1378), Pisa 2010, pp. 108, 221 s.; A. Feniello, Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che inventarono la banca, Roma-Bari 2013, pp. 234 s.