LUPI, Simone
Figlio di Guido di Rolandino e di una Mabilla (e quindi nipote di Raimondino e fratello di Antonio), nacque nella prima metà del XIV secolo; seguì la famiglia, esule a Padova, e fu anch'egli esponente di primo piano del gruppo di potere organico alla signoria carrarese del quale faceva parte la famiglia Lupi.
Il L. figura per la prima volta al servizio della signoria carrarese all'inizio del 1360, quando, insieme con figure di spicco come Ugolino Scrovegni, fu tra coloro che si recarono a ricevere Feltre e Belluno dal re Ludovico d'Ungheria per conto di Francesco da Carrara il Vecchio; quindi, nell'agosto del 1362, fu inviato come mediatore in Friuli per cercare di comporre i contrasti tra il patriarcato di Aquileia da un lato e i conti di Gorizia e il duca d'Austria Rodolfo d'Asburgo dall'altro: non ottenne, peraltro, che una tregua siglata il 15 agosto.
Tra il settembre 1364 e il febbraio 1368 rivestì per otto volte consecutive la carica di podestà di Padova, pur essendo, a parere di Kohl (1998, p. 182), piuttosto ignorante in materia di diritto e venendo sostanzialmente surrogato nella sua azione dal suo vicario, il giurista Giovanni Salgardi di Feltre. Sotto la sua podesteria nel 1366 furono redatte numerose aggiunte volte a integrare e a razionalizzare il codice statutario padovano promosso da Francesco il Vecchio nel 1362. Contemporaneamente il L. condivise l'adesione di tutta la famiglia alla causa dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo, rientrando anch'egli nelle investiture concesse dal sovrano e condividendo con gli altri membri eminenti dalla casa i privilegi delle cittadinanze di Parma, Cremona, Mantova e Reggio conferiti il 22 luglio 1366.
Nel corso degli anni Settanta del Trecento il L. è costantemente annoverato tra gli educatori del giovane Francesco Novello da Carrara: era incaricato insieme con il fiorentino Bernardo Scolari di avviarlo alla conoscenza dell'arte delle armi e della cavalleria. Dopo essere stato, come Bonifacio e Antonio Lupi, nel Consiglio di guerra della signoria carrarese in vista della guerra di confine del 1372-73 con Venezia, fu impegnato direttamente nel conflitto come condottiero delle operazioni belliche: dall'agosto 1372 fu posto al comando della guarnigione di Camposampiero; da lì, con il fratello Antonio, nel settembre seguente cominciò a compiere numerose scorrerie a danno dei Veneziani nel territorio di Noale e il 18 ottobre si spinse fino alle porte di Treviso, dove riportò un notevole successo. Anche a seguito di questi risultati fu nominato capitano generale delle forze padovane. Nel novembre 1372 fu mandato a difendere il serraglio delle Brentelle, attaccato dai Veneziani; nel gennaio 1373 operò nel contado di Piove di Sacco; tuttavia, a seguito di insuccessi parziali nelle vicende della guerra che si facevano via via più sfavorevoli a Padova, fu privato dell'incarico di capitano generale nel marzo seguente, ma era di nuovo sul campo in occasione della definitiva sconfitta padovana di Buonconforto.
Il 10 dic. 1375 gli fu riconosciuta la cittadinanza padovana e il 5 dic. 1377 quella mantovana e si applicò quindi in una accorta politica di acquisizioni fondiarie nel territorio padovano, in particolare a Pernumia. Tornò poi a schierarsi in prima persona al servizio dei da Carrara in occasione della guerra di Chioggia, in cui rimase ferito in un combattimento attorno a Mestre nel luglio 1379. Presente in tutta la prima fase della guerra, che risultava favorevole alla lega di Genova, di Padova e del re d'Ungheria contro Venezia - tant'è che nell'agosto seguente si trovava nel seguito che accompagnava il signore di Padova nella sua entrata in Chioggia appena conquistata -, davanti all'efficace contrattacco veneziano fu tra i negoziatori, insieme con Bonifacio Lupi, delle condizioni che furono sancite con la pace di Torino dell'8 ag. 1381 e quindi, dopo la conclusione della guerra, figurò fino all'agosto 1382 tra i rappresentanti del Comune padovano e della signoria carrarese chiamati a essere presenti all'arbitrato sui confini tra Padova e Venezia che il dispositivo della pace aveva affidato al signore di Ferrara Niccolò (II) d'Este.
Il L. fu poi impegnato nel riavvicinamento di Francesco il Vecchio a Venezia, allo scopo di cercare l'acquiescenza della Serenissima verso gli sforzi della signoria padovana per strappare Treviso al controllo del duca d'Austria Leopoldo: in questo ambito il L. fece dapprima parte della delegazione inviata dai Carraresi a Venezia per congratularsi con il nuovo doge Michele Morosini, eletto il 10 giugno 1382; quindi fu impegnato direttamente sul campo, alla guida delle forze carraresi che occupavano Nervesa e fortificavano anche la chiusa di Quero e Mogliano per controllare tutto il corso del Piave e per chiudere ogni via di rifornimento. Messo il vero e proprio assedio alle mura trevigiane in settembre, facendo anche uso di bombarde, dovette lasciare il campo il mese successivo per l'arrivo di rinforzi tedeschi da tempo promessi dal duca d'Austria a Treviso, che però non risultarono risolutivi; riprese di nuovo ad assediare Treviso nell'aprile 1383 e vi rimase fino a maggio, quando, ammalatosi, dovette rientrare a Padova per curarsi facendosi sostituire da Bernardo Scolari. Dopo aver ripreso servizio, toccò a lui il 4 febbr. 1384 l'onore di accompagnare il signore di Padova all'entrata in Treviso del corteo che ne prendeva possesso subito dopo che Francesco il Vecchio l'ebbe acquistata da Leopoldo d'Austria, insieme con Ceneda, Serravalle e Conegliano.
Ancora infaticabilmente attivo, anche se la sua età doveva essere ormai avanzata e le sue condizioni fisiche verosimilmente compromesse, nel novembre dello stesso anno il L. accettò di nuovo la carica podestarile padovana, morendo in carica il 10 genn. 1385 e venendo sepolto nel chiostro della basilica di S. Antonio. Nel suo testamento del 7 genn. 1385, con cui dotava abbondantemente i conventi francescani di Padova e di Parma e nominava eredi universali il fratello Antonio e il nipote Raimondino, scelse come esecutori testamentari i priori di S. Giovanni di Venda e di S. Maria di Monte Oliveto.
Il L. sposò Rengarda di Manfredo di Cunio, da cui non ebbe figli; la moglie gli sopravvisse e ricevette diversi terreni e un diritto vitalizio su di una casa in Ponte dei Tadi, godendo, a opera di Francesco il Vecchio, di una dispensa dalle norme statutarie padovane in materia di limitazione della facoltà di ereditare per i forestieri non cittadini di Padova.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Archivio notarile, 407; Diplomatico, perg. 9039; G. Gatari - B. Gatari - A. Gatari, Cronaca carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVII, 2, pp. 63, 65-67, 69, 71 s., 92, 95, 112, 114, 154, 177 s., 191, 206-208, 212-215, 217, 224-226, 230, 406, 408, 410; Th.E. Mommsen, Italienische Analekten zur Reichsgeschichte des 14. Jahrhunderts (1310-1378), in Schriften der Mon. Germ. Hist., XI, Stuttgart 1952, nn. 308 p. 127, 328 p. 134; Monumenti della Università di Padova (1318-1405), a cura di A. Gloria, II, Padova 1888, ad ind.; G. Pirchan, Italien und Kaiser Karl IV. in der Zeit seiner zweiten Romfahrt, Prag 1930, II, pp. 56, 80, 201; B.G. Kohl, Fedeltà e tradimento nello Stato carrarese, in Istituzioni, società e potere nella Marca trevigiana e veronese (secoli XIII-XIV). Sulle tracce di G.B. Verci. Atti del Convegno, Treviso 1986, a cura di G. Ortalli - M. Knapton, Roma 1988, p. 54; M.C. Billanovich, Un amico del Petrarca: Bonifacio Lupi e le sue opere di carità, in Studi petrarcheschi, n.s., VI (1989), p. 266; B.G. Kohl, Padua under the Carrara, 1318-1405, Baltimore-London 1998, pp. 122, 133, 163, 172 s., 175, 182 s., 221, 224, 226, 229, 352; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Lupi di Soragna, tav. III.