GUIDI, Simone
Figlio del conte Guido (VIII, o Guido Guerra IV, detto il Vecchio) e di Giovanna Pallavicini, nacque probabilmente a poca distanza dal fratello maggiore Guido Novello, fra 1229 e 1231.
Il padre morì nei primi mesi del 1239; in tale anno Giovanna donò anche a nome dei figli minorenni beni all'abbazia di S. Fedele a Poppi, in Casentino, dove il conte era stato sepolto. Non pare che i due orfani fossero stati posti sotto la tutela di uno degli zii: fu probabilmente la madre a salvaguardarne diritti e ruolo politico. Già nel 1240, infatti, Giovanna ottenne, per i meriti acquisiti dal marito al seguito dell'imperatore Federico II, un diploma (che venne ripetuto sette anni più tardi) dello stesso che confermava ai figli beni e diritti detenuti dal padre. Intanto i due avevano iniziato a svolgere un autonomo ruolo politico e militare sia nella lotta di fazioni sia nel rafforzamento di beni e diritti che il padre, nella divisione con i fratelli, aveva ottenuto in assoluto o in comproprietà indivisa.
Seguendo l'orientamento tradizionale e la fedeltà feudale all'Impero, i due giovani sostennero la parte ghibellina e i rappresentanti imperiali, muovendosi principalmente sul versante toscano; aderirono alla lega filoghibellina fra Pisa, Siena e Pistoia contro Firenze, nel 1251, ed è questa la prima attestazione che abbiamo di un atto politico del G.; è quindi possibile una sua partecipazione alle azioni militari, con masnade reclutate nei territori sotto la signoria dei due fratelli, alla difesa di Pistoia nel 1253.
Nel 1254, dato il sostanziale prevalere di Firenze, il G. partecipò o comunque ratificò le cessioni dei castelli del Valdarno inferiore e del Pistoiese compiute dai conti Guidi dei vari rami ognuno per le sue quote parti.
Le aspirazioni dei due fratelli a svolgere un ruolo politico filoghibellino anche a Firenze erano superiori a quelle di altri loro cugini, forse anche per una loro maggiore propensione a risiedervi. Nel 1258 erano per esempio in città a sostenere l'azione ghibellina degli Uberti; dopo il suo fallimento furono costretti a fuggire e, banditi come ribelli, trovarono rifugio a Siena.
È possibile che in questo periodo il G. condividesse gran parte delle vicende politico-militari col fratello, ma non è da escludere anche una sua più frequente presenza a Poppi, castello che la madre teneva a titolo vitalizio e in cui ella stessa risiedeva. È comunque molto probabile che nel 1260 egli abbia combattuto a Montaperti con i Senesi e i ghibellini. A seguito della vittoria riportata, mentre dal settembre Guido Novello assumeva il controllo politico di Firenze prima come podestà poi come vicario imperiale, il G. prese la direzione della trasformazione di Poppi, nominalmente condotta dai due fratelli e dalla madre. Fra 1261 e 1262 nel castello fu avviata la costruzione di una cerchia muraria con cinque porte, fu ampliata l'abbazia di S. Fedele, fu rafforzata la rocca vera e propria e dato avvio alla costruzione di un palazzo, mentre nella pianura fu eretto il piccolo convento francescano di Certomondo a commemorare la vittoria di Montaperti. Sebbene i diritti sul castello di Poppi appartenessero, divisi in quote parti, a vari rami della casata, il castello veniva in pratica dai due conti trasformato in una "terra" che doveva dar loro sicurezza, prestigio e una base di appoggio per azioni politiche nel Fiorentino e nell'Aretino.
Infatti il G., mentre il fratello teneva Firenze, riuscì a farsi prorogare per tre anni consecutivi, dal 1263 al 1266, l'incarico di podestà in Arezzo, dove mantenne un atteggiamento fortemente antiguelfo. Negli stessi anni, da un lato magari per un sincero sentimento religioso, dall'altro forse anche per legare la famiglia a un nuovo ordine che stava diventando prestigioso nelle città, il G. promosse la costruzione sul monte della Verna di una cappella sul luogo dove s. Francesco aveva ricevuto le stimmate, con cinque celle per frati che vi garantissero le celebrazioni liturgiche. In questo periodo il nome del G. fu anche coinvolto come presunto mandante del rapimento e assassinio del vescovo Roberto García di Silves, che andava a Roma in missione diplomatica per conto del re Alfonso di Castiglia, compiuto nel dicembre 1267 da Ranieri dei Pazzi di Valdarno e Squarcialupo di Sofena con loro uomini.
In realtà, anche se Ranieri e i suoi trovarono accoglienza nel castello di Ganghereto nel Valdarno superiore, che apparteneva a Guido Novello e al G., risulta inverosimile che dietro l'azione - con molta probabilità compiuta da Pazzi e Ubertini su istigazione di Arrigo di Castiglia, momentaneamente capitano generale dei ghibellini e rancoroso verso il re Alfonso suo fratello - vi fosse il G.; il figlio Guido riuscì infatti in seguito a provarne l'innocenza davanti al papa e ai giudici fiorentini. In ogni caso il G. fu nuovamente bandito da Firenze, mentre gli assassini furono scomunicati dal papa.
I guelfi fiorentini, dato che dal 1266 Guido Novello aveva abbandonato Firenze ed era in corso una vera e propria riscossa guelfa grazie al potente sostegno di Carlo d'Angiò, colsero inoltre l'occasione e il pretesto per assalire Ganghereto nel maggio del 1271 e distruggerne le fortificazioni. A tale azione di guerra il G. rispose conducendo una scorreria in Mugello e, preso il castello di Molezzano, ne fece accecare tutti gli abitanti che erano stati presi prigionieri; un atto di crudeltà che a Firenze fu ricordato con rancore per molto tempo.
Nel 1271 ratificò con il fratello il lodo arbitrale, affidato al Comune di Forlì, con cui i conti Guidi che avevano signoria sugli uomini del castello di Modigliana da un lato e gli abitanti di tale castello dall'altro riconoscevano i loro reciproci diritti e doveri in base ai patti di una dozzina di anni prima.
Alcuni storici - basandosi sulla lettura di un passo della cronaca del Malispini e di uno di G. Villani - ritengono che si fossero creati fra i due fratelli rancori a causa dei loro possessi, con Guido Novello che avrebbe in sostanza voluto appropriarsi di gran parte dell'eredità paterna. Difficile poter appurare quanto ciò sia fondato, né sappiamo se e quando fra il G. e Guido Novello sia stata fatta una chiara e formale divisione di beni e diritti, anche se sembrerebbe che al di là di alcuni castelli in cui la quota paterna rimaneva chiaramente indivisa vi fosse stato un qualche accordo fra loro; gli eventi successivi e il trovarsi schierati in due campi contrapposti possono aver portato gli storici a proiettare all'indietro divisioni e contrasti.
Nel luglio del 1273, su pressione di papa Gregorio X, si arrivò a un accordo che intendeva pacificare le fazioni guelfa e ghibellina di Firenze, nonché la città con i due conti. Guido Novello e il G. tramite procuratori trattarono la pace. Ottennero l'assoluzione dai bandi di condanna del papa e del Comune fiorentino, offrendo alcune garanzie: il G. doveva consegnare provvisoriamente al vicario di Carlo d'Angiò i castelli di Gattaia e Pompona, Guido Novello quelli di Ampinana e Montauto e in ostaggio il figlio Federico Novello; la signoria su Poppi veniva confermata alla loro madre, ma lei stessa e tutti gli abitanti del castello maggiori di 14 anni avrebbero dovuto giurare fedeltà al vicario dell'Angioino in Toscana; i due conti alla morte di lei non avrebbero potuto subentrarle nel possesso se non dopo averne avuto licenza dallo stesso vicario. Infine avrebbero dovuto inviare loro uomini a combattere per i guelfi e Carlo d'Angiò. Non è chiaro quello che accadde successivamente, cosa spinse i due conti a percorsi diversi e se in ciò vi siano stati contrasti fra i due. Nell'agosto 1274 il G. firmò con i Fiorentini e la parte guelfa un'alleanza che prevedeva che avrebbe appunto sostenuto militarmente la Chiesa, Carlo d'Angiò e la parte guelfa, che avrebbe avuto per nemici i loro nemici, che non avrebbe potuto far pace con il fratello o con altri capi ghibellini se non in simultanea con il Comune di Firenze.
In cambio otteneva di essere considerato alleato della parte guelfa e del Comune, la restituzione dei castelli da lui dati in garanzia, la possibilità di riprendersi Poppi (non sappiamo se la madre fosse ancora viva ed eventualmente il suo ruolo), un aiuto economico e l'esplicito consenso a migliorarne le fortificazioni e il palazzo; a tale alleanza si impegnava anche l'unico figlio maschio Guido (il G. aveva inoltre avuto dalla moglie a noi non nota anche due figlie, Beatrice e Giovanna).
La decisione del G. di passare a un'alleanza con la parte guelfa e con Firenze e la rottura con il fratello, rimasto fedele al campo ghibellino, portò alla nascita di una linea dinastica che si distinse nettamente dai discendenti di Guido Novello. Il ramo originato dal G., e quindi dal figlio Guido, prese il titolo di conti di Battifolle, dal nome di un castello in Casentino, meno prestigioso di Poppi, ma probabilmente fra i più forti fra quelli su cui il G. aveva diritti indivisi; anche in questo caso non è chiaro se sia stato lo stesso G. al momento della rottura politica col fratello e il ghibellinismo a prendere tale intitolazione come segno distintivo.
Per alcuni aspetti la scelta del G. parrebbe associata anche a moti di coscienza e al sentimento religioso che, come abbiamo visto, non doveva essere ininfluente nel suo animo. A seguito della pace e della riconciliazione con la Chiesa del 1273 il G. infatti avrebbe preso dal vescovo di Fiesole la croce con l'intenzione di partire per la crociata che Gregorio X andava sollecitando. Ma, dato che la spedizione tardava a concretizzarsi, egli si sarebbe ritirato in Casentino a occuparsi dei lavori di Poppi, apparentemente senza essere coinvolto in guerre di fazioni o patrimoniali. L'occupazione del castello di Soci, non lontano da Poppi, da parte degli Aretini nel 1275 sembrerebbe infatti non aver trovato reazione da parte del G., che d'altra parte doveva aver a sua volta occupato tale castello - la cui signoria era da tempo rivendicata sia dai Guidi sia dal monastero di Camaldoli e poi dal vescovo d'Arezzo - dieci anni prima quando aveva tentato di creare un'egemonia sul Casentino e politicamente sulla stessa Arezzo.
La riconciliazione e l'alleanza politica con Firenze e il rinnovato interesse religioso spiegano come il G. trascorresse tempo anche in città, dove era entrato in relazione con il ministro provinciale dei francescani, Tommaso da Pavia, che risiedeva nel convento di S. Croce. Nel novembre 1277, mentre risiedeva nel palazzo di messer Gualterotto dei Bardi ad Arcetri, nei dintorni di Firenze, il G. si preoccupò anche di compensare con un donativo di 350 lire il monastero di S. Fedele di Poppi per danni procurati o ingerenze che potesse aver avuto nei suoi confronti, dato che tale abbazia continuava a essere considerata dai Guidi come cosa di famiglia. È possibile che tale atto rientrasse in una serie di provvedimenti e lasciti in previsione di una morte sentita oramai vicina.
Non conosciamo la data della morte del G. che dovette avvenire prima del 1280, poiché a partire da tale anno è solo il figlio Guido ad apparire in documenti privati e accordi politici e lo fa dichiarandosi figlio del defunto conte Simone.
Non ci è rimasto il suo testamento; aveva certamente lasciato al figlio il proprio patrimonio quasi per intero, ma anche il difficile compito di portare avanti una fedeltà verso Firenze e la parte guelfa, che lo poneva inevitabilmente in contrasto con lo zio con cui deteneva per indiviso ancora molti beni e diritti.
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