GRILLO, Simone
Appartenente a una famiglia nobiliare genovese di parte ghibellina presente con propri membri nelle più alte cariche di governo fin dai primordi del Comune, nacque verosimilmente nel primo quarto del XIII secolo.
La prima sicura attestazione documentaria relativa al G. lo presenta già inserito in quei circoli - ai quali egli del resto naturalmente apparteneva per tradizioni familiari e probabilmente per cursus honorum personale - all'interno dei quali si decidevano le linee portanti della politica del Comune: nel novembre del 1256 egli è infatti compreso nel gruppo di influenti cittadini chiamati a ratificare gli accordi stipulati il mese precedente a Santa Igia, capitale del Giudicato di Cagliari, fra gli ambasciatori genovesi, i maggiorenti ecclesiastici e laici locali e il marchese Guglielmo (III) di Massa, cugino ed erede del defunto Chiano di Massa sul trono giudicale cagliaritano, e finalizzati a porre il Giudicato sotto la tutela politica genovese, con il diretto controllo che il Comune avrebbe esercitato sul castello di Cagliari e sulla stessa città di Santa Igia, in funzione antipisana.
La crisi politica determinata dal fallimento di questo tentativo di assumere il controllo dell'isola - provocato dall'energica reazione pisana che aveva costretto lo sconfitto Guglielmo (III) all'esilio e diviso il Giudicato in tre parti sottoponendo il castello di Cagliari al diretto controllo di Pisa - comportò una profonda trasformazione degli assetti politici interni genovesi con l'avvento del regime del capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra.
La partecipazione del G. (membro influente di quei circoli aristocratici ghibellini che avevano appoggiato in modo abbastanza scoperto l'ascesa del Boccanegra) alla vita politica genovese non venne tuttavia influenzata da questi avvenimenti; lo troviamo infatti tra i membri del Consilium chiamato a ratificare accordi sottoscritti dal capitano, tra i quali anche il trattato stipulato in gran segreto a Ninfeo il 13 marzo 1261 fra gli emissari genovesi e l'imperatore bizantino di Nicea, Michele VIII Paleologo, per stabilire un'intesa rivolta contro l'agonizzante Impero latino d'Oriente, sostenuto da Venezia, e finalizzata alla restaurazione dell'Impero bizantino a Costantinopoli. Questo accordo diplomatico, che avrebbe segnato in modo fondamentale lo sviluppo della politica e dell'economia genovesi per due secoli, sul momento fu motivo di scontento per le fazioni aristocratiche che andavano risollevandosi in Genova, sia perché nel segreto di cui era stato circondato vedevano un nuovo esempio delle ambizioni monarchiche del Boccanegra, sia per le incollerite reazioni della Curia pontificia, già irritata dai legami tra il Boccanegra e lo scomunicato Manfredi di Sicilia, e divenne uno dei pretesti per il rovesciamento del regime del capitano, costretto all'esilio in Francia.
Anche questa volta, però, il G. uscì indenne dagli sconvolgimenti politici interni e nel luglio 1262, pochi mesi dopo la caduta del Boccanegra, fu nuovamente fra i membri del Consilium, questa volta chiamati a ratificare un accordo con Carlo d'Angiò, conte di Provenza e astro nascente del guelfismo, a tutela degli interessi commerciali di Genova sul litorale della Francia meridionale e della stabilità del confine occidentale del suo dominium in Liguria. Nel 1263 fu fra coloro che deliberarono un prestito di 30.000 lire di genovini, necessarie a sanare una serie di questioni pendenti in Romania per le perduranti ostilità con Venezia, causate dall'intervento genovese a fianco dei Bizantini fin dal 1261.
Il cospicuo intervento finanziario deliberato non valse a evitare a Genova quello stesso anno lo scacco navale di Sapienza, tanto più umiliante perché dovuto in primo luogo, ancor più che alla superiorità nemica, all'incapacità e alla viltà di molti dei comandanti, i quali non a caso furono poi processati e duramente puniti.
In questo frangente il comando di una nuova squadra navale in costruzione venne affidato al G.; sul suo capo tuttavia si addensarono immediatamente le nubi del sospetto di una parte dell'aristocrazia guelfa la quale - memore forse dei legami da lui avuti con il Boccanegra e allarmata dalle simpatie che gli strati popolari dimostravano nei suoi confronti - ebbe il timore che egli potesse approfittare dei poteri conferitigli per tentare di ristabilire nella propria persona le funzioni del capitano del Popolo. Ne seguì un momento di gravissima tensione interna, che vide le fazioni armarsi e predisporsi alla lotta, giunto al suo acme con il rifiuto opposto dal G. all'ordine del podestà di presentarsi a palazzo per discolparsi delle accuse che gli venivano mosse; in tale frangente gli armigeri del podestà inviati a prendere il G. sotto scorta per condurlo a palazzo vennero accolti da una fitta sassaiola che li costrinse a ritirarsi. La situazione, prossima a precipitare, venne risolta dalla mediazione dei membri della famiglia Doria, i quali convinsero il G. a obbedire ai mandati del podestà, fornendogli nel contempo adeguate garanzie per la sua incolumità. Dopo due giorni di serrate consultazioni a palazzo l'infondatezza delle accuse venne dimostrata e il G., confermato nel suo comando dopo avere prestato adeguate fideiussioni, fu inviato a Portovenere in attesa dell'allestimento della flotta.
Nel 1264, salpato infine con le sue unità, egli si diresse rapidamente verso la Sicilia; ben sapendo che informazioni sulla spedizione, sebbene confuse dall'abile lavoro di agenti genovesi, erano da tempo giunte a Venezia e che una flotta veneziana superiore in forze alla sua stava uscendo dall'Adriatico per intercettarlo, il G. iniziò una attenta e paziente opera di disinformazione. Lasciando credere a tutti, e diffondendo il più possibile la notizia, che il suo obiettivo fossero gli insediamenti veneziani in Terrasanta, indusse l'ammiraglio nemico ad affrettarsi in quella direzione per intercettarlo. Una volta ottenuta la certezza che il suo piano aveva avuto successo il G., lasciata Messina, divise le proprie unità: una galea venne inviata a Costantinopoli (forse per portare informazioni agli alleati), le due navi che facevano parte della flotta si diressero, insieme con tre galee, verso la costa nordafricana per attaccare il naviglio commerciale veneziano in quell'area, mentre il G., con le restanti 14 galee, entrò in Adriatico e si dispose ad attendere il passaggio della "muda" veneziana diretta ad Alessandria nascondendosi presso l'isola di Saseno, di fronte a Durazzo.
All'apparire della squadra genovese il convoglio veneziano (forte di 3 navi, 13 taride, un panzone, 2 galee e una saettia) si strinse in formazione difensiva intorno all'imponente navis "Roccaforte", sfidando i Genovesi all'attacco; il G. evitò di cadere nella trappola, attendendo pazientemente il mutare delle condizioni del vento, e al momento giusto riuscì a scompaginare il fronte nemico, costringendo la "Roccaforte" alla fuga e catturando tutte le altre unità, con l'eccezione di una delle taride che venne incendiata e affondata. In tal modo, il G. poté ricondurre a Genova un bottino valutato in ben 30.000 lire genovine, ma al contempo, con il virtuale blocco per quell'anno del commercio veneziano con l'Egitto, inflisse all'economia veneziana danni che vennero calcolati a un ammontare di 100.000 lire genovine, in confronto ai quali i danni inflitti ai Genovesi dalla potente squadra veneziana (la cattura di una nave presso Tiro) apparivano francamente risibili e ampiamente compensati dal consolidamento dell'alleanza fra Genova e Filippo di Montfort, signore di Tiro, provocato dall'episodio. La posizione dei Genovesi in "Outremer", a dispetto di rovesci subiti da ammiragli meno fortunati del G., conobbe poi un ulteriore miglioramento nel 1267, grazie agli accordi stipulati con il gran maestro dei templari per comporre le dispute che avevano opposto l'Ordine a Genova fin dalla guerra di Acri del 1258 e ratificati da un Consilium di cui ancora una volta il G. era membro influente.
I successi militari e la popolarità personale del G. lo resero sicuramente uno dei più influenti fra gli esponenti di quell'aristocrazia ghibellina che nell'ottobre 1270, con un fortunato colpo di Stato, si appropriò del potere instaurando in Genova la diarchia dei capitani del Popolo Oberto Doria e Oberto Spinola.
Durante il periodo di governo dei "due Oberti", considerato dalla storiografia come il momento di massima potenza politico-militare di Genova, il G. si trovò conseguentemente investito più volte di responsabilità e chiamato, quale membro del Consilium, a ratificare decisioni e accordi stipulati dai due capitani. Si evidenzia, nell'attività del G. in questo periodo, una particolare attenzione ai problemi del governo della Riviera di Levante e alle connesse questioni dei sempre complessi rapporti intercorrenti fra il Comune e i vari membri del potente consortile dei Fieschi, che dell'entroterra della Riviera orientale era di fatto l'effettivo padrone.
Nel novembre 1276, insieme con Lanfranco di San Romolo e Pasqualino di Albaro, il G. venne nominato membro di una commissione arbitrale incaricata di definire tutte le questioni connesse con la vendita da parte di Nicolò Fieschi, conte di Lavagna, al Comune di Genova di una serie di località dell'estrema Riviera di Levante che, entrando a pieno titolo nel dominium comunale, consolidavano notevolmente le posizioni genovesi in un'area dove la vicinanza della ancor minacciosa presenza pisana rendeva desiderabile l'esercizio di un diretto controllo politico-militare.
Di lì a pochi anni, il trionfo della Meloria e la devastante incursione dei Genovesi a Porto Pisano avrebbero mutato radicalmente la situazione mettendo i Pisani alla mercé dei loro antichi avversari. Le vecchie ambizioni genovesi di dominio sull'area cagliaritana, accantonate da un trentennio, ripresero quindi vigore e, fra le condizioni che tra il 1288 e il 1289 vennero poste ai Pisani per un accordo di pace, quella della consegna del castello di Cagliari (costituitosi nel frattempo fittiziamente in Comune autonomo) divenne una delle più aspramente dibattute in seno al Consilium. Mentre infatti i moderati - che ebbero come portavoce l'annalista Iacopo Doria - propendevano per l'accettazione delle giustificazioni presentate dai Pisani e per l'accoglimento di proposte vantaggiose da loro avanzate, gli estremisti - dei quali proprio il G. fu il rappresentante più influente - esercitarono forti pressioni affinché in mancanza di una pronta consegna del castello si imponessero agli sconfitti condizioni ancor più vessatorie e umilianti. La prevalenza di questa posizione rappresentò probabilmente l'ultimo exploit politico del G., ma si rivelò in definitiva un grave errore politico perché condusse a un sostanziale fallimento delle trattative e comportò per Genova la perdita di quella che sarebbe stata di fatto l'ultima occasione per affermare una propria supremazia in Sardegna.
Dopo il 1289 il G. non è più attestato nella documentazione. Ignoriamo il luogo e la data della sua morte.
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