SIMONE di Tommaso d'Antonio del Pollaiolo
SIMONE di Tommaso d’Antonio del Pollaiolo. – Nacque il 30 ottobre 1457 nel Popolo di Sant’Ambrogio a Firenze, da Tommaso di Antonio di Fruosino, venditore di pollame, e da Agnola. La data è in realtà quella del battesimo (Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, AOSMF, Registri battesimali, 1, c. 180r), ma è molto probabile che coincida con quella di nascita, come avveniva solitamente.
Il soprannome ‘del Pollaiolo’ gli derivò evidentemente dall’attività del padre. Seppure assai raramente, nei documenti compare anche l’appellativo di Cronaca, dovuto secondo Vasari alle sue dettagliate descrizioni «delle maraviglie di Roma [...] parendo veramente a ciascuno che egli fusse una cronaca di cose nel suo ragionamento» (1568, 1879, p. 442). È ancora Vasari a fornire alcune informazioni sulla sua giovinezza, durante la quale sarebbe stato discepolo di un maestro di legname, per poi interessarsi all’architettura presso Antonio del Pollaiolo a Roma, dove si sarebbe rifugiato fuggendo da Firenze «per alcune quistioni». Le questioni a cui accenna con tatto Vasari potrebbero avere a che fare con una accusa di sodomia rivoltagli nel 1475. Nei documenti del procedimento giudiziario (Archivio di Stato di Firenze, ASFi, Ufficiali di notte e monasteri, 18, cc. 64v, 94r), rimasto senza conseguenze penali, si riferisce che Simone compensò il suo giovane compagno con due disegni («duas testas pictas in chartis bombicinis») e lo si qualifica come «sculptor sive scarpellator», smentendo la notizia vasariana sulla formazione da legnaiolo. Vasari erra anche nell’indicare una parentela tra Simone e Antonio del Pollaiolo, dimostrata inesistente già da Gaetano Milanesi (Vasari, 1568, 1879, p. 442 nota 1), e nel datare l’attività a Roma dell’artista più anziano all’epoca della giovinezza di Simone. È in ogni caso possibile che Simone avesse compiuto un periodo di apprendistato presso Antonio (per il disegno?). A questo proposito è suggestivo l’ambiente di orafi e battilori in cui avvenne l’episodio di sodomia, collegabile alla bottega di orafo tenuta da Antonio in Vacchereccia.
Nella dichiarazione fiscale del 1469 (ASFi, Monte Comune o delle Graticole, Copie del Catasto, 44, c. 742rv) Tommaso di Antonio, il padre di Simone, denunciò la casa d’abitazione nel Popolo di Sant’Ambrogio e una piccola vigna a Gamberaia, nel Popolo di Santa Maria a Settignano. La casa era probabilmente quella in via della Fornace – il tratto più periferico dell’attuale via dell’Agnolo – nella quale Simone abitava ancora nel 1489 dopo la morte del padre, assieme ai fratelli Andrea e Piero (ASFi, Decima repubblicana, 14, c. 42rv). Quest’ultimo è documentato come scalpellino nel cantiere di palazzo Strozzi.
Tra gli altri fratelli e sorelle – almeno sette – il primogenito Matteo, nato attorno al 1452, è detto da Vasari (1568, 1879, p. 454) scultore «di bello e buono ingegno» e allievo di Antonio Rossellino. Anche Francesco Albertini menziona un «Matheus Pullarius Florentinus», definendolo «sculptor praeclarissimus» e attribuendogli l’apparato scultoreo del ciborio degli Apostoli sopra l’altare maggiore di S. Pietro in Vaticano (1510, c. 84v), opera in verità realizzata perlopiù da Paolo Romano entro il 1470 (i rilievi narrativi e due delle dodici statue) e completata da altri scultori non oltre il 1475 (Caglioti, 2000). Ciononostante, almeno sei statue mostrano inequivocabili modi rosselliniani, che hanno suggerito di confermarle come opera di Matteo (pp. 816 s.). Su questa base è stato identificato un altro piccolo nucleo di lavori nei quali è ravvisabile la mano di Matteo, tutti condotti dalla bottega del Rossellino, e che comprendono alcune parti dell’altare Piccolomini in S. Maria di Monteoliveto a Napoli (1471-74), della tomba del vescovo Roverella in S. Giorgio a Ferrara (1475-76) e dell’altare Martini in S. Giobbe a Venezia (dal 1475), alcuni rilievi di soggetto mariano (la Madonna alla Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona; i due esemplari della Madonna delle nuvole al Bargello di Firenze e al Courtauld Institute di Londra; la Madonna col Bambino e angeli della Hyde Collection a Glenn Falls, New York; quella in terracotta già nella collezione Hainauer di Berlino e oggi nel Toledo Museum of art, Ohio), e il Busto di Cristo della Galleria nazionale delle Marche a Urbino (Caglioti, 2004, p. 309; Id., 2011, pp. 146 s.; Id., 2017, p. 152). Queste opere dimostrerebbero una vita più lunga rispetto a quanto indicato da Vasari, secondo il quale Matteo sarebbe morto a soli diciannove anni; ma è in ogni caso probabile che la sua scomparsa sia avvenuta presto. Nella dichiarazione di Tommaso del 1480 (la copia in ASFi, Monte Comune o delle Graticole, Copie del Catasto, 46, c. 142r; quasi illeggibile invece l’originale: ibid., Catasto, 1007, c. 147r) Matteo infatti è già assente, contrariamente a quanto trascritto da von Fabriczy (1906, p. 63). Nella stessa dichiarazione Tommaso annotò anche che Simone «none è parechi anni se n’andò e non [ne] ò né danno né uttile».
L’assenza coincise forse con un soggiorno a Roma, in accordo con quanto riferito da Vasari. La presenza di Simone nell’Urbe sembra certa nel 1483, secondo quanto si evince da un’annotazione su un disegno del Codex Lambert nel Canadian Centre for Architecture di Montreal (già Codex Castellino, Günther, 1988, p. 68). Era di nuovo a Firenze nell’ottobre del 1486, quando si immatricolò all’arte dei maestri di pietra e legname. In quell’occasione usufruì della riduzione della tassa grazie alla parentela con un altro immatricolato, Jacopo di Stefano Rosselli, un maestro di muro di cui Simone aveva sposato nel frattempo la figlia Tita. Un ulteriore soggiorno a Roma dovette svolgersi nel 1497, quando gli operai di S. Maria del Fiore gli accordarono il permesso di recarvisi per dare il suo parere su un progetto commissionato da Alessandro VI. Durante questi viaggi Simone indagò il Pantheon e altri edifici antichi, come è comprovato da una serie di disegni che gli sono attribuiti. Non rimangono altri indizi delle sue attività romane.
A Firenze le prime tracce della sua carriera risalgono al giugno del 1489, quando fu pagato per canali di gronda destinati alla tribuna di S. Maria del Fiore. Poco dopo, nel febbraio del 1490, iniziò a prestare la sua opera nel cantiere del palazzo di Filippo Strozzi, forse introdotto dal suocero, che vi aveva rivestito il ruolo di capomaestro dei muratori fino al dicembre del 1489. Oltre a sorvegliare le forniture di pietra, anche provenienti dalla propria cava di macigno a Maiano (Goldthwaite, 1973, pp. 131, 156), Simone fu capomaestro degli scalpellini almeno dall’aprile del 1490. Questa mansione dovette subito comportare responsabilità più alte, come testimoniano i compiti che gli erano riservati, tra i quali «fare modelli» (Pampaloni, 1963, p. 72). Almeno dal 1494, inoltre, assunse le funzioni di capomaestro della fabbrica. Nonostante Vasari affermi che Simone avrebbe portato a termine il modello di Benedetto da Maiano e gli attribuisca il disegno del cornicione e del cortile, non è agevole isolare il suo effettivo contributo al progetto. Sulla base delle mansioni assegnategli, si è ritenuto che Simone possa avere elaborato un nuovo modello dell’intero palazzo, tra la fine del 1490 e gli inizi del 1491 (Pampaloni, 1963, p. 77; Goldthwaite, 1973, pp. 191 s.). In ogni caso, i modelli richiesti a Simone dovettero sicuramente riguardare singoli elementi di dettaglio, come testimonia quello apprestato nel luglio del 1490 per la «portta della chasa» (Pampaloni, 1963, p. 77). In questa attività ideativa rientra probabilmente anche il disegno di molti capitelli, che mostrano un gusto e un vigore vicini ai modi di Antonio del Pollaiolo, e quasi certamente il progetto del camino di una sala del primo piano, che replica la soluzione d’angolo del basamento del mausoleo di Adriano, disegnata da Simone in un foglio ora al Kupferstichkabinett di Berlino (inv. n. 5714r). A Simone potrebbe inoltre ascriversi un modello ligneo per i registri superiori della facciata (nelle collezioni del Bargello di Firenze), nel quale compaiono finestre a edicola ritmanti una parete liscia oppure inquadrate da un ordine architettonico. L’attribuzione è suggerita dalle finestre con frontoni alternativamente triangolari e semicircolari, una novità presente in un’altra opera assegnata a Simone, la chiesa di S. Salvatore al Monte. Alcune assonanze con il disegno interno di S. Salvatore emergono anche nel cortile, che mostra l’inedita inserzione di una loggia su pilastri nel registro centrale degli alzati. Se queste soluzioni si dovessero effettivamente a Simone – un’ipotesi resa incerta dai problemi attributivi di S. Salvatore – questi avrebbe modificato o definito parti sostanziali del progetto iniziale, tra cui la grande cornice di coronamento all’antica, destinata a costituire un termine di confronto per molti palazzi del Cinquecento, e che già Vasari afferma avere avuto come modello quella «che si truova a Spogliacristo» (1568, 1879, p. 444), cioè la trabeazione del muro perimetrale del Foro di Nerva.
Il rapporto di Simone con gli Strozzi fu particolarmente stretto anche al di là delle relazioni professionali. Filippo fu il padrino di battesimo di Maria, una delle figlie di Simone, nata nell’agosto 1490 (AOSMF, Registri battesimali, 224, c. 133r; Goldthwaite, 1973, p. 125); la familiarità di Simone con Lorenzo di Filippo è poi testimoniata da tre lettere scritte tra il 1497 e il 1501, con le quali Cronaca aggiornava il proprio interlocutore su una serie di accadimenti a Firenze e fuori, dimostrando informazione dei fatti e una certa intelligenza politica (Tre lettere..., 1869). Alla fine della sua vita, Lorenzo e il fratello Filippo furono nominati da Simone suoi esecutori testamentari. Una qualche forma di relazione dovette intercorrere anche con Lorenzo de’ Medici, visto che nel gennaio 1490 il Magnifico scriveva una lettera «pel Cronacha», di cui rimane solo la menzione nei protocolli medicei (Protocolli..., 1956, p. 407). Un riflesso di questo rapporto forse è da intravedere nella partecipazione di Simone, tra il 1490 e il 1491, alle consultazioni per la nuova facciata di S. Maria del Fiore, patrocinata da Lorenzo. Sempre in relazione a questo progetto, nel 1491 Simone fu incaricato dall’Opera del duomo di svolgere ricognizioni in varie cave della Toscana, assieme agli scalpellini Pagno di Antonio e Simone del Caprina, alla ricerca di marmi.
L’ingresso nell’entourage di maestri gravitanti attorno all’Opera del duomo probabilmente fruttò a Simone il progressivo coinvolgimento in progetti e in ruoli tecnici espressi da una serie di istituzioni a carattere pubblico. Nel 1492 diresse la costruzione del «rialto» che doveva collegare il palazzo dei Priori alla loro loggia, come si evince da una deliberazione degli operai di Palazzo (von Fabriczy, 1906, p. 52). Nel 1493 fu chiamato a esprimersi sulla tecnica costruttiva con cui realizzare la volta del vestibolo della sagrestia di Santo Spirito, e gli venne affidato il compito di disegnarne gli spartimenti assieme a Giuliano da Sangallo. Nel 1494 ricoprì la carica di console dell’arte dei maestri di pietra e legname. Nel giugno del 1495 fu designato capomaestro dell’Opera di S. Maria del Fiore, carica che mantenne fino alla morte e che comportò un’estesa attività progettuale (restauro della lanterna della cupola, 1498; altari per le cappelle delle tribune, 1499-1501; pavimenti delle cappelle e del coro, 1502-07). Nello stesso anno, assieme al legnaiolo Francesco di Domenico, venne nominato capomaestro per la costruzione della nuova sala del Consiglio maggiore, a lato del palazzo dei Priori, un’opera fortemente caldeggiata da Girolamo Savonarola, per la quale Simone realizzò anche una scala monumentale poi distrutta da Vasari.
Secondo lo storiografo aretino, in questi anni Simone subì in modo intenso l’ascendente di Savonarola, una circostanza che sembra trasparire anche da una delle lettere inviate a Lorenzo Strozzi (Tre lettere..., 1869, p. 10). Sarebbe arduo, però, cercare di riconoscere i segni del rigorismo savonaroliano nella sua architettura. La maniera di Simone è infatti consegnata a un corpus di opere assai problematico, difficile da mettere a fuoco e spesso di incerta autografia. La sua più importante architettura documentata, la nuova sala del Consiglio maggiore, fu presto oggetto di progressive trasformazioni, e oggi ne rimangono solo alcune tracce, tra cui la porta di accesso e il grande portale in marmo rosso che dal primo cortile del palazzo conduceva alle scale. Alcuni lavori furono eseguiti a più mani, come il coronamento esterno del tamburo della cupola di S. Maria del Fiore, progettato nel 1507-08 con Giuliano e Antonio da Sangallo e Baccio d’Agnolo, e interrotto nell’esecuzione. Altri sono scomparsi (cappella della Vergine Maria delle Donne nella Propositura di Castelfranco di Sotto, 1505), e altri ancora gli sono attribuiti senza sostegni documentari (palazzi Corsi-Horne, 1495-1502 circa, e Dei-Guadagni, 1503-06 circa). Sicuramente Simone subì il fascino dell’architettura antica e di opere medievali di diretta derivazione classica – come il battistero e la chiesa fiorentina dei Ss. Apostoli – che investigò dedicando una scrupolosa attenzione a costrutti sintattici, dettagli, dimensioni e rapporti proporzionali. Lo dimostrano i pochissimi disegni che gli si possono attribuire con certezza, tra i quali spiccano quelli del Codex Lambert: ciò che resta di un taccuino di appunti grafici originariamente più esteso, nel quale si alternano rilievi di edifici antichi e di architetture romaniche fiorentine, oltre a dettagli dell’altare Piccolomini nel duomo di Siena. Nel codice è notevole anche il tentativo di ricostruzione grafica della porta dorica antica, un esercizio che conferma l’attenzione per «le regole di Vetruvio» attribuitagli da Vasari (1568, 1879, p. 443).
Un mélange di temi antiquari e di concetti locali dà vita a una delle opere più notevoli attribuite a Simone, la chiesa di S. Salvatore al Monte, sulle alture immediatamente a meridione di Firenze. L’edificio gli è ascritto sull’autorità di Vasari. Simone, in effetti, potrebbe avere riformulato su impulso di Lorenzo il Magnifico un più pauperistico progetto messo in opera fin dal 1474, concludendo il cantiere nel 1504. Qui avrebbe dato prova di una notevole capacità di sintesi, innestando soluzioni all’antica (ordini sovrapposti; finestre a edicola con frontoni alternati) su un impianto a navata unica con cappelle laterali, a Firenze ormai consolidato. Notevoli anche lo schema della facciata, derivato dal S. Salvatore di Spoleto, e l’impiego di una volta a crociera su colonne corinzie con frammenti di trabeazione, nella cappella Nerli. Tuttavia i documenti chiamano in causa Simone solo per una modesta fornitura di pietra (Pacciani, 2017, p. 144) e per una consulenza in merito a problemi di stabilità, per la quale fu convocato nel 1499.
La capacità di risolvere brillantemente questioni tecniche fu senz’altro una delle qualità peculiari di Simone. Vasari parla con ammirazione dell’ammorsatura della cornice di palazzo Strozzi, e descrive minutamente le enormi capriate della sala del Consiglio maggiore (Vasari, 1568, 1879, pp. 445, 449). La costruzione di questo ambiente, realizzato in un tempo ridottissimo, gli fu forse affidata proprio in ragione delle sue competenze tecniche e organizzative, che gli valsero anche l’incarico, assieme ad Antonio da Sangallo il Vecchio, Bartolomeo legnaiolo e Bernardo della Cecca, del trasporto e della collocazione del David di Michelangelo davanti al palazzo della Signoria, nel 1504. Sono attestate anche esperienze nei campi delle fortificazioni e della cartografia. La sua versatilità, le capacità tecniche, la conoscenza profonda e di prima mano dell’architettura antica e infine i ruoli assunti presso importanti istituzioni pubbliche e influenti patroni privati, fecero di Simone uno dei maestri più in vista a Firenze nel passaggio tra Quattro e Cinquecento, con un ruolo significativo anche nella formazione di architetti più giovani, tra i quali Michelangelo.
Simone dettò il proprio testamento il 16 settembre 1508, lasciando usufruttuaria dei propri beni la moglie Tita ed eredi le figlie (ASFi, Notarile antecosimiano, 5434, c. 23v). Tra i testimoni dell’atto erano Baccio d’Agnolo e il pittore Lorenzo di Credi. Morì il 27 settembre successivo, e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di S. Ambrogio (von Fabriczy, 1906, p. 61).
Fonti e Bibl.: F. Albertini, Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis Romae, Romae, Mazochius, 1510, c. 84v; G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, ed architetti (1568), in Le opere di Giorgio Vasari, a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 441-454; G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, I, Firenze 1839, pp. 584-586; C. Guasti, La cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze 1857, pp. 120, 122, 124-126; Tre lettere di Simone del Pollaiolo detto il Cronaca, a cura di I. Del Badia, Firenze 1869; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, pp. 112, 272; C. von Stegmann - H. von Geymüller, Simone del Pollaiuolo gennant il Cronaca, Die Architektur der Renaissance in Toscana, IV, München 1906; C. von Fabriczy, Simone del Pollaiuolo, il Cronaca, in Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen, XXVII (1906), Beiheft, pp. 45-69; K. Frey, Studien zu Michelagniolo Buonarroti und zur Kunst seiner Zeit, III, ibid., XXX (1909), Beiheft, pp. 103-180; Il Duomo di Firenze (1909), a cura di G. Poggi, edizione postuma a cura di M. Haines, Firenze 1988, I, pp. CXIX, 227-229; II, pp. 35, 169, 171; W. Limburger, Cronaca, in Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, a cura di U. Thieme - F. Becker, VIII, Leipzig 1913, pp. 156-159; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VIII, L’architettura del Quattrocento, I, Milano 1923, pp. 418-438; C. Botto, L’edificazione della chiesa di Santo Spirito in Firenze, in Rivista d’arte, XIII (1931), pp. 477-511, XIV (1932), pp. 23-53; G. Marchini, Il Cronaca, ibid., XXIII (1941), pp. 99-136; L. Grassi, Disegni inediti di Simone del Pollaiolo detto il Cronaca, in Palladio, VII (1943), pp. 14-22; J. Wilde, The Hall of the Great Council of Florence, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, VII (1944), pp. 65-81; Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, p. 407; G. Pampaloni, Palazzo Strozzi, Roma 1963, pp. 54-60, 67-78, 107; R. Goldthwaite, The Building of the Strozzi Palace. The construction industry in Renaissance Florence, in Studies in Medieval and Renaissance history, X (1973), pp. 99-194; A. Nesselrath, I libri di disegni di antichità. Tentativo di una tipologia, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di S. Settis, III, Dalla tradizione all’archeologia, Torino 1986, pp. 87-147; H. Günther, Das Studium der antiken Architektur in den Zeichnungen der Hochrenaissance, Tübingen 1988; R. Pacciani, Cosimo de’ Medici, Lorenzo il Magnifico e la chiesa di San Salvatore al Monte a Firenze, in Prospettiva, LXVI (1992), pp. 27-35; A. Lillie, Palazzo Strozzi e il mecenatismo privato nella Firenze del XV secolo, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, a cura di H. Millon - V. Magnago Lampugnani, Milano 1994, pp. 518-521; A. Nova, Il ballatoio di Santa Maria del Fiore a Firenze, ibid., pp. 593-599; R. Pacciani, Attività professionali di Simone del Pollaiolo detto “il Cronaca” (1490-1508), in Quaderni di Palazzo Te, n.s., I (1994), pp. 13-35; L. Zangheri, Il pavimento marmoreo di Santa Maria del Fiore, in M. Dezzi Bardeschi, La difficile eredità, Firenze 1994, pp. 57-61; F. Caglioti, Schede nn. 1480-1497, in La Basilica di San Pietro in Vaticano, a cura di A. Pinelli, Modena 2000, pp. 811-820; Id., Scheda n. 2.8, in Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento (catal., Lucca), Cinisello Balsamo 2004, pp. 308 s.; R. Pacciani, Disegni di Cronaca, in Opus Incertum, III (2008), 5, pp. 28-37; F. Caglioti, Da una costola di Desiderio: due marmi giovanili del Verrocchio, in Desiderio da Settignano, a cura di B. Paolozzi Strozzi et al., Venezia 2011, pp. 123-150; V. Zanchettin, Simone del Pollaiolo e la formazione di Michelangelo architetto, in Annali di Architettura, XXV (2013), pp. 61-80; F. Caglioti, «Falsi» veri e «falsi» falsi nella scultura italiana del Rinascimento, in Il falso specchio della realtà. Atti delle Giornate di studio, Bologna... 2013, a cura di A. Ottavi Cavina - M. Natale, Bologna-Torino 2017, pp. 105-156; R. Pacciani, Giuliano da Sangallo e Cronaca. Incarichi complementari, carriere divergenti, in Giuliano da Sangallo, a cura di A. Belluzzi - C. Elam - F.P. Fiore, Milano 2017, pp. 141-150.