SIMONE di Filippo
(o dei Crocifissi)
Pittore bolognese, documentato dal 1355 e morto nel 1399.Nel 1355 "Magister Symon q. Philippi pictor" è iscritto nell'elenco degli uomini abili alle armi ('venticinquina') della parrocchia di S. Domenico nel quartiere di San Procolo. A questa fanno seguito numerose altre attestazioni documentarie (Filippini, Zucchini, 1947), delle quali si ricordano le principali. Nel 1365 suo cognato, il pittore Dalmasio di Iacopo degli Scannabecchi, trasferitosi a Pistoia, lo nomina suo procuratore. Tra il 1366 e il 1367 tinteggia di rosso gli archi e i pilastri del collegio di Spagna. Il 14 giugno 1366 si impegna a dipingere cinque storie del Vecchio Testamento nella sede della Confraternita della Madonna di Mezzaratta. Il 22 dicembre 1367 viene pagato per una tavola eseguita per volontà testamentaria di Filippo di Ansaldino Sementi per l'altare di S. Filippo in S. Maria dei Servi; due giorni dopo Egidia Malpigli, vedova del medico Alberto Zancari, dispone nel proprio testamento che il pittore sia incaricato di eseguire una croce per la chiesa di S. Giacomo Maggiore: si tratta del crocifisso datato 1370 ivi tuttora conservato. Nel 1373 S. presenzia alla stesura del testamento di Dalmasio.Il 9 maggio 1378 Giovanni di Iacopo da Piacenza, studente a Bologna, lascia a Biagia di Ser Bondi alcuni libri a patto che questa faccia porre un'immagine della Madonna con il Bambino e angeli nella chiesa di S. Maria del Monte: si tratta della tavola pervenuta alla Pinacoteca Naz. di Bologna (inv. nr. 203) con firma falsa di Vitale da Bologna, sulla quale compare la scritta "Hoc opus fecit fieri domina Blaxia pro anima magistri Johannis de Plaxencia".Nel 1380 S. rappresenta nel Consiglio degli anziani il quartiere di porta Procola, dove risiede stabilmente fino alla morte; un estimo di città del 1385 registra le sue ingenti proprietà di case e terreni; nel 1386 è eletto castellano di Zola; il 3 febbraio 1390 viene pagato da Antonia de Dalfini per una tavola a sanctis eseguita per l'altare di S. Caterina in S. Giacomo; il 7 dicembre 1397 redige un primo testamento, ridefinito il 10 e il 22 giugno 1399: nell'ultima stesura compare come teste il miniatore Nicolò di Giacomo. Il 27 settembre dello stesso anno S. risulta ormai defunto.A fronte di una così ricca messe di notizie biografiche, mentre molte sono le opere firmate relativamente poche sono quelle datate: Pietà per Giovanni di Elthinl, 1368 (Bologna, Mus. Civ. d'Arte industriale Davia Bargellini); Crocifisso, 1370 (Bologna, S. Giacomo); Madonna con il Bambino per Giovanni da Piacenza, 1378 (Bologna, Pinacoteca Naz.); Incoronazione della Vergine, 1382 (Bologna, Opera Pia Zoni, già S. Maria Incoronata).Denominato S. dei Crocifissi in epoca di Controriforma, in ordine a una lettura dell'opera dei 'primitivi' in chiave devozionale e pietistica - con specifico riferimento alla sua abilità nel confezionare Christi Crucifixi imagines S. è già menzionato da Bumaldo (1641) -, rappresenta uno degli esiti più vistosi della tradizione vitalesca a Bologna. Accanto a Vitale dovette muovere i primi passi; Gibbs (1978) propone in alternativa una sua derivazione dal cognato Dalmasio, che appare però meno probabile viste anche le difficoltà di accedere all'identificazione di quest'ultimo con l'autore del gruppo stilistico enucleato da Longhi (1973a; v. Dalmasio di Iacopo degli Scannabecchi). Il suo intervento risulta avvertibile in opere uscite dalla bottega di Vitale nell'ultima fase della sua carriera, come il dittico con Pietà e santi e l'Adorazione dei Magi, diviso tra Firenze (Fond. Longhi) ed Edimburgo (Nat. Gall. of Scotland; Benati, 1992), che si caratterizza per una resa del chiaroscuro più greve di quanto non sia nelle opere autografe del caposcuola e prospetta alcune fisionomie che furono proprie di Simone.Perdute le Storie del Vecchio Testamento, affidategli nel 1366 dalla Confraternita della Madonna di Mezzaratta, la sua partecipazione a quel complesso decorativo, capitale per la conoscenza del Trecento bolognese (ora per la maggior parte a Bologna, Pinacoteca Naz.), si limita adesso ad alcuni dei riquadri della parete opposta, da ritenere peraltro precedenti di un decennio. La firma Symon si leggeva sulla Guarigione del paralitico e sulla Risurrezione di Lazzaro e tornava poi nella Presentazione al Tempio (tuttora a Mezzaratta) insieme a quella di uno Jacobus; alla mano di S. spettano anche la frammentaria Fuga in Egitto, la Circoncisione e, forse, la Strage degli innocenti: dipinti nei quali il nobile eloquio di Vitale si traduce in una parlata robustamente dialettale, insofferente di ricercate cadenze.Una maggiore stilizzazione impronta invece un gruppo di opere su tavola licenziate forse intorno al 1360, entro le quali si segnalano la Madonna gravida affrescata in S. Maria dei Servi (Gnudi, 1962), le tavolette cuspidate con l'Annunciazione e l'Incoronazione della Vergine, originariamente a esse legata (Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nrr. 223-224, 306, quest'ultima in deposito presso Budrio, Pinacoteca Civ. D. Inzaghi), nonché il santo vescovo sempre a Bologna (Mus. di S. Stefano; Sandberg Vavalà, 1929-1930). La stessa insistita grafia, che, mentre si compiace talora di un elaborato uso di decorazioni punzonate, porta a una resa delle figure in termini bidimensionali, si riconosce nella c.d. Madonna della Vittoria (Bologna, S. Salvatore).La Pietà di Giovanni di Elthinl (1368) documenta l'ormai avvenuto approdo a quella sgarbata espressività che rappresenta la sigla più riconoscibile del pittore e che caratterizza anche il crocifisso di S. Giacomo (1370). Più grati, ma forse di datazione prossima, risultano il trittico già in Coll. Salavin (Parigi, Louvre, inv. nr. D.L. 1973/15), l'Incoronazione della Vergine già a San Giovanni in Persiceto (Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nr. 474), il Sogno della Vergine di Ferrara (Pinacoteca Naz., inv. nr. 57) e ancora i due sportellini di dittico ivi di recente pervenuti con la Coll. Strozzi (inv. nrr. 410-411).L'assestarsi di S. su una sigla facilmente ripetibile, evidentemente gradita alla committenza, rende difficoltosa la seriazione della sua produzione. Entro gli anni settanta, che vedono anche la sua collaborazione con lo scultore dei Magi di S. Stefano (Ferretti, 1982), si situano forse l'Annunciazione di Mosca (Gosudarstvennyj Muz. izobrazitel'nych iskusstv im. A.S. Puèkina) e il trittichetto di Cambridge (MA, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus., inv. nr. 62.283). Un naturalismo non esente da richiami tommaseschi (Zuliani, 1979) impronta la citata Madonna di Biagia da Piacenza, di poco successiva al 1378, mentre il 1382 segnato sull'Incoronazione della Vergine dell'Opera Pia Zoni permette di riferire agli anni ottanta le redazioni dello stesso tema ad Avignone (Mus. du Petit Palais, inv. nr. 20202) e già in Chrysler Coll. (Sotheby's, New York, 1° giugno 1989, nr. 3), la Natività a Firenze (Uffizi, inv. nr. 3475), il grande polittico già in S. Michele in Bosco (Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nr. 298), la tela con S. Elena in adorazione della Croce (Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nr. 220), la tavola con papa Urbano V (Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nr. 340), i sei santi a figura intera (Bologna, Mus. di S. Stefano), nonché il grande trittico con la Crocifissione e Storie della Passione di recente sul mercato antiquario (Ader-Picard-Tajan, Parigi, Hôtel George V, 22 luglio 1990, nr. 1).Un punto di riferimento per l'ultima attività del pittore, che non dando segno di alcun interno rinnovamento lasciò sempre maggiore spazio alla bottega (Toesca, 1951), può essere costituito dalla predella con Storie della Vergine (Bologna, Pinacoteca Naz., inv. nr. 274) sulla quale figura lo stemma della famiglia Cospi: ciò che consente di ricondurla al polittico ricordato da Malvasia (Felsina pittrice) in S. Petronio sull'altare di quella famiglia, che ne ottenne la giurisdizione nel 1396 (Medica, 1992). Dello stesso complesso fecero forse parte l'Incoronazione della Vergine firmata (Ferrara, Pinacoteca Naz., inv. nr. 361), quattro santi a figura intera ora nella sede della Compagnia dei Lombardi (Bologna, S. Stefano) e numerose tavolette con santi, divise tra Bologna (Banca Popolare dell'Emilia-Romagna) e varie collezioni private, che dovevano allogarsi lungo i pilastri laterali (Benati, 1987). In direzione di quest'esito estremo si collocano l'Incoronazione della Vergine già a Bologna (Coll. Gozzadini; Benati, 1986a, fig. 342) e l'altra a Pavia (Pinacoteca Malaspina, inv. nr. 183), la Madonna con il Bambino e angeli a Modena (Gall. e Mus. Estense, inv. nr. 254), nonché le due grandi croci a Bologna (Mus. di S. Stefano; Mus. S. Giuseppe).Superato dai pittori di più moderna consapevolezza (Jacopo di Paolo, Giovanni di Ottonello), S. appare di fatto legato all'immaginario della propria formazione, anche se, sulla ricercata eleganza di derivazione vitalesca delle prove giovanili, sembra via via prevalere un'urgenza espressiva più inasprita, che lo porta a prediligere una fattura corsiva e compendiaria e a ricorrere a una mimica immediata e semplificata. Al di là della resa qualitativa, non sempre sorvegliata, S. finisce così per farsi apprezzare per la cura artigianale con cui appronta i suoi dipinti: più che negli ingombranti polittici, tali prerogative emergono bene in taluni dipinti di piccole dimensioni, dove si esplica un pungente e rustico gusto narrativo: vanno ricordati il dittico di Baltimora (Walters Art Gall., inv. nr. 723), i trittichetti di Athens (Georgia Mus. of Art, Kress 1201), Bologna (Coll. Com. d'Arte), Oxford (Ashmolean Mus. of Art and Archaeology, inv. nr. A255), Parma (Gall. Naz., inv. nr. 1036) e Roma (Mus. del Palazzo di Venezia), l'altarolo-reliquiario con la Crocifissione di coll. privata (Milano, Finarte, 8 giugno 1995, nr. 71) e la cassettina di Londra (Vict. and Alb. Mus.).
Bibl.:
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