DELLA TORRE, Simone
Figlio di Guido di Francesco, fratello quest'ultimo di Napoleone detto Napo signore di Milano, già nel corso della sua adolescenza dovette subire le conseguenze degli scontri politici e militari in cui fu coinvolta la sua famiglia in quegli anni. Soltanto nel 1302 Guido riuscì a tornare a Milano in seguito alla sconfitta di Matteo Visconti. Nel 1310, trovandosi a Milano in occasione della discesa del re Enrico VII, prese parte all'atto di concordia tra i Torriani ed i Visconti che venne stipulato il 27 dicembre per volere del sovrano.
I tentativi di riappacificazione compiuti dal re per riportare la concordia a Milano non ebbero, comunque, un successo duraturo. In un primo momento l'ostilità nei confronti del re sembrò superare i contrasti tra le fazioni, tanto che le cronache parlano concordemente di un patto intercorso tra Francesco, fratello dei D., e Galeazzo Visconti, per cacciare l'esercito tedesco. Nel febbraio 1311 scoppiò un tumulto antimperiale, le cui motivazioni non sono affatto chiare. All'inizio si diffuse infatti la voce di un accordo tra i Torriani ed i Visconti per cacciare Enrico VII, ma al momento di impugnare le armi, soltanto i primi scesero in campo e dovettero poi subire le conseguenze dell'insurrezione. Di qui l'ipotesi di trame viscontee miranti ad allontanare definitivamente i Torriani dalla città approfittando delle truppe imperiali. Scoppiato il tumulto, i Della Torre si trovarono ad affrontareTesercito tedesco che, numericamente superiore, non ebbe difficoltà a metterli in fuga. Il D. riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi col fratello Francesco nel castello di Montorfano.
Costretto quindi di nuovo, all'esilio, accompagnò il padre in varie città lombarde, nel tentativo di ricostituire un'alleanza guelfa in grado di contrastare la potenza viscontea, che ormai si era nettamente consolidata grazie al vicariato imperiale ottenuto da Matteo Visconti. È così attestata la presenza del D. a Bologna nel 1311; il suo nome figura, infatti, in un elenco dove sono menzionati numerosi cittadini milanesi guelfi, esuli. L'anno successivo, in seguito alla morte del padre, ereditò, con i tre fratelli, Francesco, Amoratto e Guidone, un cospicuo patrimonio di terre e castelli.
I Della Torre, comunque, non cessarono le ostilità contro i Visconti. Nel 1313, quando Galeazzo Visconti, creato vicario imperiale di Piacenza, imprigionò alcuni tra i più insigni cittadini piacentini e li inviò come ostaggi al padre a Milano, nel tentativo di porre fine ai contrasti tra le avverse fazioni, si formò Subito una alleanza antiviscontea alla quale anche il D. aderì. Lo scontro si risolse tuttavia in una vittoria di Galeazzo, che riuscì anche ad imprigionare il conte di Langosco, unitosi ai Parmigiani, ai Piacentini e agli esuli lodigìani in funzione antiviscontea. Alla fine del mese di agosto del 1313 la morte dell'imperatore Enrico VII offrì la possibilità di una riscossa ai guelfi, a capo dei quali si posero il D. e il fratello Francesco. Essi, radunato un esercito nei pressi di Pavia, si unirono alle forze inviate da Roberto d'Angiò per tentare di abbattere Matteo Visconti e riconquistare il potere in Lombardia.
Mentre i guelfì cercavano di radunare il maggior numero possibile di combattenti presso la loro roccaforte di Pavia, a Milano i Visconti rafforzavano ulteriormente il loro potere: la proclamazione da parte del Consiglio generale di Matteo quale "dominus et rector generalis", avvenuta il 20 settembre, consolidava la trasformazione del dominio visconteo, in signoria, già avviata dalla concessione dei vicariato imperiale. Tuttavia Matteo, non ancora del tutto sicuro del proprio potere, funestava la Lombardia con continui scontri armati, allo scopo di eliminare ogni possibile opposizione guelfa. Nel maggio 1315 i Pavesi, dopo aver riportato una vittoria su Novara, alleata dei Visconti, riuscirono ad incendiare un ponte di barche costruito dai Milanesi sul Ticino, nei pressi di Vigevano, e a respingere i nemici. Matteo Visconti non si lasciò tuttavia scoraggiare da questa prima sconfitta e, mirando ad impossessarsi della stessa Pavia, iniziò i lavori per la costruzione di una fortezza situata alla confluenza dello Scrivia coi Po. I nemici dei Visconti - cioè l'esercito angioino, Torriani, Pavesi, Vercellesi, Alessandrini ed Astigiani - si mossero per terra e per acqua, allo scopo di ostacolare il proseguimento delle fortificazioni. L'esercito visconteo ebbe tuttavia la meglio e, in seguito alla vittoria riportata, Matteo decise di rivolgere le armi contro la città dì Pavia.
Nonostante la strenua difesa dell'esercito pavese, in cui il D. si distinse in modo particolare per il proprio coraggio, la città dovette infine cedere alla superiorità dei Milanesi. Guido e Amorato, fratelli del D., furono fatti prigionieri e trasportati a Milano. Il D., con pochi fedeli, riusci a fuggire e trovò rifugio presso Roberto d'Angiò. Nel 1318, quando le due famiglie genovesi dei Doria e degli Spinola abbandonarono la loro città, nella quale si sentivano minacciati, Matteo Visconti pensò fosse giunta l'occasione propizia per impadronirsi anche di Genova. Quando gli esuli posero l'assedio alla città, egli inviò infatti in loro aiuto il figlio Marco, alla testa di un grosso esercito. Gli assediati spedirono allora un'ambasciata a Roberto d'Angiò, chiedendogli di intervenire, ed offrendogli in cambio per dieci anni la signoria di Genova. Il sovrano, accettata la proposta, si recò personalmente a Genova. Qui accorse anche il D. che, unitosi all'esercito angioino, combatté valorosamente contro i Visconti. Poiché Marco Visconti, nonostante il sopraggiungere della stagione invernale, non mostrava alcuna intenzione di abbandonare l'impresa, il re, per liberarsi del nemico, ricorse ad un efficace stratagemma: fece imbarcare sulle sue navi un esercito che, al comando dei D., nel febbraio 1319 sbarcò tra Sestri e Sampierdarena. Le truppe viscontee, strette da entrambi i lati, non vedendo vie d'uscita, dovettero abbandonare l'assedio.
La guerra proseguì quindi al di fuori delle mura genovesi: il D. riuscì a conquistare Valenza e, dopo aver compiuto diverse scorrerie in Lomellina, si unì nuovamente all'esercito angioino per tentare di conquistare Alessandria, ma venne sconfitto dalle milizie di Luchino Visconti. Nel 1322 la condanna, per eresia di Matteo Visconti offri di nuovo ai Della Torre la possibilità di aprire le ostilità contro i loro avversari. Si unirono allora alle truppe che il legato pontificio Bertrando del Poggetto andava organizzando contro i Visconti. Il 7 apr. 1323 il D. era a Monza, dove si trovavano anche il patriarca di Aquileia ed altri membri della famiglia torriana. 1 Visconti, ricevuti gli attesi aiuti da parte di Ludovico il Bavaro, mossero alla fine del 1323 contro Monza, occupando entro il febbraio 1324 varie località. Lo scontro decisivo avvenne presso il castello di Vaprio il 28 febbr. 1324. 1 Visconti ne uscirono vittoriosi, mentre il D., costretto alla fuga, trovò la morte nelle acque dell'Adda.
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