DE MARI, Simone
Figlio di Colombano, signore di San Colombano (Rogliano) in Corsica, a nord del Capo Corso, nacque verso il 1378 secondo la testimonianza del cronista Giovanni della Grossa, da famiglia genovese, stabilitasi nell'estremo Nord dell'isola verso la metà del Duecento. Stando alla stessa fonte, confermata dal contemporaneo Giorgio Stella, cronista genovese, in gioventù il D. avrebbe esercitato il mestiere di capitano di galea e come tale sarebbe caduto nelle mani dei Catalani, che prima di liberarlo l'avrebbero tenuto prigioniero in Sicilia. Nel dicembre del 1420 era tra i signori dell'isola convocati a Bonifacio in Parlamento generale dal re d'Aragona Alfonso V, che allora assediava quella piazzaforte genovese. Successe al fratello Urbano alla testa della signoria di San Colombano nel 1426: a partire da questa data, e per oltre quattro anni, offrì ospitalità al notaio Giovanni Della Grossa - in precedenza cancelliere del conte di Corsica Vincentello d'Istria - che era incorso nella collera del suo antico signore.
Impadronitosi dell'isola di. Capraia (inizi secondo decennio del Quattrocento), in importante posizione strategica sugli itinerari marittimi tirrenici, e dopo aver esteso l'ambito della sua signoria all'interno dello stesso Capo Corso con Centuri sulla costa occidentale della penisola, proseguì in sostanza la politica del fratello, fatta di alleanza con i Genovesi e di lotta contro il grande feudatario della Banda di Fuori, Vincentello d'Istria. Nel 1430 gli fu offerta la leadership del partito in Corsica, del resto instabile e poco coerente, ostile al conte Vincentello. Nel corso del mese di febbraio, in un'assemblea tenutasi nella piana di Mariana, fu designato come governatore della Banda di Dentro da un gruppo di congiurati comprendente in particolare il vescovo di Aleria così come numerosi "caporali" (contemporaneamente capi popolari e notabili rurali), tra cui i rappresentanti delle famiglie caporalizie di Matra, Chiatra, Campocasso, Sant'Antonino, Pruno, Casabianca e Pastoreccia. Fatti venire rinforzi dalla Liguria, il D. pose l'assedio a Biguglia, residenza tradizionale dei governatori genovesi in Corsica e centro simbolico dei potere dei Genovesi, difesa in nome del conte da Pietro da Bozzi, e finì col conquistarla. Nel corso dell'estate del 1431 impose le taglie a proprio nome in quasi tutta l'isola, salvo che nelle terre signorili ancora solidamente tenute da Vincentello d'Istria.
Nel frattempo, il partito del conte tendeva a ricostituirsi, con l'appoggio dei caporali di Casta e di Matra, in contrapposizione a quello del D., sempre appoggiato dai caporali di Chiatra, Campocasso e Pruno. Indebolito dalle defezioni, quest'ultimo perdette la sua relativa unità e il D., abdicando de facto alla sua carica, rientrò nella sua signoria dei Capo. Qui nel corso del 1431 dovette fronteggiare una ribellione dei propri figli Colombano e Pietro, i quali, fatta sollevare la guarnigione di San Colombano, costrinsero il D. a riparare nel castello dei Motti (Luri).
Il partito dei capipopolo e dei caporali ostili alla dominazione di Vincentello d'Istria si ricostituì proprio sfruttando l'impopolarità provocata dal raddoppio delle taglie imposto dal conte, che era a corto di danaro, in un'assemblea tenutasi a Biguglia. Al D. venne di nuovo offerta la carica di governatore generale dell'isola dai suoi fautori tradizionali, in particolare dal vescovo di Aleria e da numerosi caporali riuniti in assemblea nella bassa valle del Golo (1433). Senza indugio il D. e quelli della sua parte posero l'assedio a Biguglia, tenuta dalle truppe del conte. Il D., dopo avere domato nella sua signoria la rivolta dei figli, ottenne la resa della borgata in seguito a trattative ed alla consegna - secondo Giovanni Della Grossa - della somma di 1.400 lire. Messo poi l'assedio a Bastia, anch'essa tenuta in nome del conte, inviò nella Banda di Fuori una spedizione sotto il comando del figlio Carlo col compito di staccare dal conte Vincentello il maggior numero possibile di signori della parte meridionale dell'isola. Nella pianura di Palmentu ad est di Ajaccio, località nella quale si riunivano tradizionalmente i "popoli" della Banda di Fuori nel corso del basso Medioevo, si tenne un Parlamento tra Carlo e numerosi cinarchesi nemici di Vincentello d'Istria che scalzò dalla regione sudoccidentale della Corsica il potere del conte. Da parte sua, lo stesso D. si fece consegnare la fortezza di Bastia per 2.700 lire dal difensore di quella, Francesco di Ciamanacce. Questo fatto gli conferì per la seconda volta il potere effettivo di governatore generale della Corsica (nella Banda di Dentro, "da Calvi a Covasina"), e in tale veste il D. impose le taglie nel paese. Questa posizione eminente che egli ricopriva in quel momento gli consentì di ricevere il giuramento di obbedienza dalla quasi totalità dei signori dell'isola, fatta eccezione per alcuni della Banda di Fuori, rimasti fedeli a Vincentello d'Istria.
Ciononostante non tardò a manifestarsi una certa opposizione nella persona di Luciano di Casta e soprattutto in quella di Rinuccio di Leca, che si attestò saldamente nel Niolo e nella Balagna prima di essere costretto a ripiegare verso il Sia dall'alleanza provvisoria del D. e di Paolo Della Rocca. La collusione tra questi ultimi non resistette però alla prova dei fatti e, nel 1436, a Morosaglia, Paolo si fece proclamare conte di Corsica prima di andare a devastare nel Capo Corso una parte delle terre di dominio del D., specialmente i villaggi di Cagnano, Luri, Pino e Barrettali. Di fronte all'alleanza realizzatasi tra Paolo e Rinuccio di Leca, per ragioni di sicurezza il D. decise di ritirarsi a Genova, accompagnato dal caporale Leuto di Campocasso. A Genova concordò un programma di controffensiva e di riconquista.con i figli di Raffaele di Montaldo. Al suo ritorno in Corsica, il D., che era appoggiato da un esercito potente, ricevette la sottomissione del vescovo di Aleria, di numerosi caporali e anche di Rinuccio di Leca, il che costrinse il conte Paolo Della Rocca a ritirarsi nella sua signoria di Baricini e a cedere il castello di Corte, per 700 lire, al D. e ai fratelli Montaldo, che poterono così esercitare collettivamente il governatorato della Corsica e, sempre secondo Giovanni Della Grossa, imporre e riscuotere le taglie (aprile del 1437).
Eppure, quando ormai era padrone della Banda di Dentro, il partito dei fratelli Montaldo e del D. si divise. Contro quest'ultimo, Niccolò di Montaldo s'impadronì, a nome suo e del fratello, del castello di Biguglia e poi di quello di Corte, coll'appoggio di personaggi come il vescovo di Aleria, i caporali Vincenzo di Chiatra e Leuto di Campocasso e i sostenitori del conte Paolo Della Rocca. Da Genova Giovanni di Montaldo si fece riconoscere governatore unico di tutta la Banda di Dentro, mettendo così fine al governo collegiale che aveva sin'allora condiviso col De Mari. Il D. ed i suoi fedeli, che si trovavano a Bastia, furono arrestati e tenuti prigionieri in quella città, mentre Niccolò di Montaldo e i suoi partigiani venivano battuti in battaglia campale dagli armati del partito capeggiato da Rinuccio di Leca. Nel frattempo, il 10 apr. 1438, sbarcò in Corsica un nuovo governatore inviato da Genova, Giano Fregoso. Questi si impadronì del castello di Bastia e rimise in libertà il D. e quelli del suo partito, che si ritirarono nella signoria di San Colombano.
E a San Colombano, nel corso di quello stesso anno 1438, il D. morì poco dopo avervi fatto ritorno.
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