CALDERA, Simone
Di questo orafo (sec. XV) si può solo dire con sicurezza che nacque ad Andora, località della Riviera di Ponente, da un certo Antonio. Da un documento del 1441, pubblicato dallo Staglieno, sappiamo che il C. aveva appreso l'arte dell'orafo e si era in essa perfezionato "per varia mondi loca" ed a Siena, dove si trovava quando da Genova fu invitato a lavorare "super fabrica goarnimenti (sic) Reliquiarum Corporis Beatissimi Iohannis Baptiste". Tuttavia non ci è dato sapere quali opere avesse eseguito in Siena, dato che non risulta citato nei documenti pubblicati dal Borghesi e dal Banchi (Nuovi documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1898).
Giunto a Genova nella primavera del 1441, dopo aver ottenuto importanti agevolazioni d'imposte dall'ufficio della Moneta, si ammogliò con una certa Mariola, dalla quale ebbe due figli, Paolo e Bartolomeo. Si sa che mise bottega in Soziglia, dove aveva come socio un fratello di nome Giovanni.
La cassa delle ceneri del Battista (oggi nel Museo del tesoro della cattedrale di S. Lorenzo), per la quale il C. era stato chiamato a Genova, si ritiene eseguita tra il 1438 ed il 1445 dal C. e da Teramo Danieli (o Danielli) di Porto Maurizio, che incise il proprio nome sull'opera.
è probabile, come ha sostenuto il Suida, che la mano, del C. sia da vedere in modo particolare nei quattro santi protettori della città, dove, a parte il barbuto S. Giorgio, si hanno richiami ai panneggi lunati del Ghiberti. Nell'impostazione generale quest'arca si ricollega però con la tradizione delle grandi casse mosane e renane, nonché con disegni della cerchia dei Limbourg per la ricca decorazione che ne movimenta la forma (Eisler). Del resto l'impronta prevalente di accezione borgognona e tedesca è ravvisabile in questa opera anche in particolarità tecniche, come la fastosa carpenteria di guglie e baldacchini, alla quale si ispirarono artisti quali i Gaggini, il Brea ed il Mazone. È certo che in questa cassa, indicata come una delle prime affermazioni dell'arte nordica in Liguria, le forme proprie dell'arte oltremontana, riconoscibili nei ricchi panneggi, nelle pose arcuate e nei costumi di alcune figure, si traducono in un linguaggio più narrativo, in un tentativo di mediazione simile a quello che tenterà nel 1451 Giusto di Ravensburg nell'affresco dell'Annunciazione nel chiostro di S. Maria di Castello a Genova.
Il problema della parte avuta nella cassa del Battista dal C. e da Teramo Danieli è sorto nel 1870, quando lo Staglieno pubblicò i documenti riguardanti il C.; fino ad allora la cassa di s. Giovanni Battista era stata ritenuta esclusivamente opera di Teramo Danieli. Nei documenti è solo detto che il doge ed il Consiglio degli anziani deliberarono di costruire una cassa di argento il 30 maggio 1438 per portare in processione le ceneri del Battista e che stanziarono per tale opera la somma di lire 500genovine. I lavori dell'arca non dovevano essere però molto avanzati se nel 1441 si fece venire appositamente da Siena il Caldera.
Gli studiosi hanno proposto varie ipotesi per risolvere questo problema. Si è rivendicata l'ideazione dell'opera a Teramo Danieli (Suida); si è anche supposto che le dieci scene della vita del Battista siano state composte su disegni di Donato de' Bardi il quale a quest'epoca, sappiamo dai documenti, forniva insieme con il fratello Boniforte disegni agli orafi più famosi (Alzieri, 1880); si è pensato che la cassa sia stata iniziata dal Teramo e decorata dal C. (Cervetto, seguito dal Grosso e dal Morazzoni); infine si è notato che l'esecuzione doveva essere stata affidata a vari artisti per la qualità discontinua delle figurazioni (Castelnovi).
Nel 1447 il C. era ancora a Genova, in quanto il 1º e l'11 dicembre chiedeva il rinnovo delle agevolazioni già ottenute e ancora formulava tale richiesta il 16 ed il 20febbraio dell'anno seguente.
I documenti tacciono per alcuni anni; infatti solo nel 1452 il C. si trova menzionato nell'atto di commissione del prospetto della cappella di S. Sebastiano nella chiesa di S. Maria delle Vigne a Genova, oggi non più esistente. Tale prospetto doveva essere eseguito da Leonardo Riccomanni su disegno del C., al quale era riservata l'esecuzione delle nove statue da porsi sul coronamento del prospetto. È stata formulata l'ipotesi che questa opera fosse simile, come impostazione, al prospetto della cappella del Battista in S. Lorenzo a Genova, eretto e scolpito dai Gaggini negli anni 1450-65. L'opera andò per le lunghe, tanto è vero che dieci anni dopo, nel 1462, venne stipulato un nuovo patto, questa volta però dal solo Riccomanni, ed infine il lavoro venne affidato nel 1475 a Giovan Donato da Maroggia.
Nel 1454 il C. era a Roma, come si può stabilire da un pagamento registrato il 28 ottobre di detto anno nella Tesoreria segreta papale per un grosso zaffiro da mettere alla rosa d'oro del papa (Bertolotti).
A Genova, dove era di nuovo nel 1457, eseguì, insieme con il fratello Giovanni, una statua in argento di S. Sebastiano (perduta) per la cattedrale, su commissione di Nicolò Spinola.
è questa rultima notizia documentata che abbiamo del C., che morì però quasi dieci anni più tardi. Infatti risulta essere già deceduto all'inizio del 1468, in quanto il 10 febbraio di tale anno fu emesso un decreto dal governo sulle vertenze relative alla successione sorte tra i figli ed i fratelli del Caldera.
Troppo poco sappiamo del C. per formulare un giudizio preciso sulla sua opera e per sostenere con l'Alizeri che diede inizio ad una "dotta" scuola locale di orafi, anche se gli incarichi a lui affidati, come il lavoro per la rosa d'oro, dimostrano che doveva essere ritenuto un artista valente.
Bibl.: M. Staglieno, App. e doc. sopra diversi artisti poco o nulla conosciuti che operarono in Genova nel sec. XV, Genova 1870, pp. 19-22, 41-46, 52; L. T. Belgrano, Relaz. della Soc. ligure di storia patria, in Arch. stor. ital., s. 3, XII (1870), n. 2, p. 193; F. Alberi, Guida… per la città di Genova…, Genova 1875, p. 24;Id., Not. dei profess. del dis. in Liguria, IV, Genova 1876, pp. 163-166;VI, ibid. 1880, pp. 288-296; P. L. Persoglio, S. Giovanni Battista e i genovesi, Genova 1879, pp. 207 s.; A. Bertolotti, Artisti subalpini in Roma nei secc. XV, XVI e XVII, Mantova 1884, pp. 15s.; L. A. Cervetto, Il Tesoro della Metropolitana di Genova, Genova 1892, p. 49; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, p. 50; O. Grosso, Il Tesoro della cattedrale di Genova, in Dedalo, V (1924-25), p. 426; G. V. Castelnovi, La mostra delle argent. genovesi, in Genova, XXVII (1950), n. 2, p. 14; G. Morazzoni, Argenterie genovesi, Milano s.d. (ma 1950), pp. 35 s.; C. Eisler, The golden Christ of Cortona and the Man of sorrows in Italy, I, in The Art Bulletin, LI (1969), n. 2, p. 114; C. Marcenaro, Il museodel Tesoro della cattedrale a Genova, Cinisello Balsamo 1969, tav. XIII; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 382.