BOLÍVAR, Simón
Il 30 luglio 1783 fu battezzato nella cattedrale di Caracas (Venezuela) il quarto figlio (nato 6 giorni prima) di don Giovanni Vincenzo Bolívar e di Maria Concetta Palacios, al quale furono dati i nomi di Simone, Giuseppe, Antonio della Santa Trinità.
Morto il padre nel 1786, Simone ebbe primo educatore don Simone Rodríguez; poi, negli studî secondarî, fra tanti altri professori, don Giuseppe Antonio Negrete e anche l'illustre poligrafo don Andrea Bello. E come in quello stesso torno di tempo un missionario spagnolo formava l'anima di O'Higgins, il futuro eroe del Chile, così il padre cappuccino Anduiar intervenne nell'educazione di colui che doveva essere il liberatore delle colonie spagnole dell'America centrale. La madre di Simone morì nel 1792; nel 1799 il giovane s'imbarcò per la Spagna. Ricevuto alla corte spagnola, poté a Madrid approfondire la sua cultura con lo studio della storia delle lingue e della scienza; poi andò (1800-1801) nel nord della Spagna e in Francia; ritornato in Spagna, si unì in matrimonio con donna Maria Teresa Rodríguez de Toro. Ritornò nel Venezuela; ma già il 22 gennaio 1803 egli rimase vedovo, senza figli, quando stava per dedicarsi allo sfruttamento dei suoi terreni. Fu, per lui, un evento grave di conseguenze: egli lo scrisse dopo nel suo Diario de Bucaramanga: "Se non fosse morta la mia buona sposa, io non avrei fatto il mio secondo viaggio in Europa e non mi sarebbero venute tutte le idee che durante esso mi sono venute. La sua morte mi mise sulla via della politica e mi fece seguire il carro di Marte invece dell'aratro di Cerere". Tornò dunque in Europa: nel 1804 assistette all'incoronazione di Napoleone I. Ma s'egli sino a quel giorno si era sempre mostrato entusiasta del grande còrso, non esitò allora a criticarlo e a biasimare la nazione francese. L'anno dopo venne in Italia, in compagnia del suo antico maestro don Simone Rodríguez. Dalla Francia, attraverso le Alpi, giunse a Torino; poi andò a Milano, festante per l'incoronazione di Napoleone I a re d'Italia (26 maggio), a Venezia, a Firenze, a Roma e a Napoli. Proprio in Italia, ispirato dall'esempio magnifico della sua storia, formò i suoi proponimenti di rendere indipendenti le colonie spagnole d'America e di creare una grande repubblica di Colombia: e a Roma, sull'Aventino, giurò "sopra questa terra sacra la libertà del Venezuela". A Napoli visitò Giuseppe Bonaparte; poi, attraverso la Francia, passò in Germania, donde s'imbarcò per l'America settentrionale. Visitò alcune città nord-americane; finalmente tornò in patria.
Era allora completamente fallita la seconda spedizione per l'indipendenza del generale Miranda; e B., apparentemente allontanatosi dalla politica venezolana, decise di aspettare il momento opportuno per agire. Il momento giunse con le notizie della guerra dell'indipendenza spagnola e dell'usurpazione monarchica di Napoleone (luglio 1808). Allora si organizzò la Giunta governativa di Caracas, che inizia la sua azione, non solo preparando il primo congresso del Venezuela, ma inviando il giovane B., con Luis López Mindy, in Inghilterra. I due delegati, che toccarono il suolo inglese ai primi di luglio, dovevano assicurare il governo inglese che la Giunta si sforzava di conciliare "gl'interessi particolari degli abitanti del Nuovo Mondo con quelli dell'impero spagnolo"; chiedergli d'intervenire presso la reggenza spagnola per far riconoscere le nuove autorità del Venezuela; ed invocare l'aiuto marittimo dell'Inghilterra contro Napoleone "oppressore dell'Europa". B. è già chiamato, dai giornali inglesi, "ambasciatore d'America" e ottiene dal governo inglese la promessa di mediazione tra il governo spagnolo e le colonie. Tornò nel Venezuela; e il congresso, su petizione di lui, deputato e colonnello, proclamò l'indipendenza il 5 luglio 1811. B. proponeva di creare una repubblica centralizzata; ma la costituzione adottata fu invece di tipo federale, sul modello nord-americano. Ma già l'anno seguente il Venezuela cadeva nuovamente sotto il potere spagnolo; il generalissimo Miranda pattuiva la sua capitolazione col generale spagnolo Monteverde, e B., sconfitto dai realisti e disgustato dal contegno dei patrioti, emigrò a Cartagena delle Indie (14 novembre), dove pubblicò i suoi scritti: Las Capitulaciones de Miranda y Monteverde, Allocución a los Americanos e il Manifesto a los granadinos, incitando questi ultimi a salvare la Nuova Granada dalla sorte del Venezuela e a liberare il Venezuela dal giogo spagnolo. Questo documento dimostra le qualità di grande statista di B., che era più che un puro e semplice candello rivoluzionario. La Nuova Granada lo nominò nel dicembre colonnello del suo esercito, sotto gli ordini del generale Labatur; egli vinse nelle provincie di Cúcuta e di Pamplona, fu nominato comandante di brigata (7 maggio 1813) e ottenne il permesso di occupare le provincie venezolane di Mérida e Trujillo. Allora, di fronte al modo di agire del governatore spagnolo di Barinas, Antonio Tizcar, proclamò la guerra senza quartiere. "Spagnoli, contate sulla morte, anche se siete innocenti. Americani, contate sulla libertà, anche se siete colpevoli". E poco dopo, continuando la sua avanzata, attraversava le Ande, occupava Bariina e Valencia ed entrava in Caracas (6 agosto), proclamato comandante generale degli eserciti dei patrioti e liberatore del Venezuela.
Ma in Occidente cominciava la reazione, fomentata dagli ecclesiastici, e incoraggiata dai trionfi riportati dai llaneros, comandati dal terribile Giuseppe Tommaso Boves; e mentre B. pubblicava la sua famosa relazione sull'equilibrio politico internazionale dei due continenti e sull'unione difensiva dell'America contro il sussistente pericolo europeo (propugnando cioè la tesi di una America formata da pochi, grandi stati seguenti la stessa politica), cresceva il dissenso nel seno stesso della piccola repubblica. Ufficialmente lo si proclamava dittatore (2 gennaio 1814); ma l'opinione pubblica si mostrava nello stesso tempo contraria a lui e la fortuna gli era così avversa che, dopo alcune azioni incerte, egli dovette per la seconda volta abbandonare la capitale (6 luglio), dove poco dopo entrava Boves, e rifugiarsi nella Nuova Granada (8 settembre). A servizio dell'Unione di Granada egli fece la campagna di Bogotá; il govemo vi s'installò accordandogli il titolo di "illustre e religioso pacificatore". Però egli dovette partire anche da Bogotá, per rivalità con i capi indigeni e per l'anarchia rivoluzionaria che non fu in grado di dominare; e se ne andò a Giamaica (9 maggio 1815). Anche qui cercò di preparare una spedizione liberatrice; ma, non avendo ottenuto l'appoggio dell'isola, partì per Haiti, dopo essere sfuggito a un attentato che costò la vita a un ufficiale della sua scorta. Con l'appoggio del presidente A. Petion e con la collaborazione dell'armatore di Curaçao, Luigi Brion, armò un'imbarcazione carica di munizioni per 6000 uomini, coi quali si dovevano affrontare le truppe spagnole che di nuovo si erano impadronite del Venezuela e di una parte della Nuova Granada. Ma fu ancora sfortunato, e nell'agosto dello stesso anno ritornava ad Haiti.
Sul principio del 1816 eccolo di nuovo alla testa dei patrioti. a Margarita. Nell'ottobre del 1817 la capitale provvisoria della repubblica venezuelana viene stabilita ad Angostura; e B. si affatica a organizzare il piccolo stato: costituisce un Consiglio di stato, crea tre ministeri: Interni-Esteri-Finanze, Marina-Guerra, Giustizia-Polizia. Poi, dopo la fiacca campagna del 1818, convoca in ottobre il congresso, che è inaugurato il 15 febbraio 1819 (v. angostura, Congresso di). B. vi rassegna il comando civile e militare, ma è riconfermato; ed eccolo quindi nella cosiddetta "guerra di distruzione" (guerra de desgaste) a capo della spedizione (giugno 1819), che attraversa i Llanos, risale le Ande, e, dopo la vittoria di Boyacá, giunge fino a Bogotȧ il 9 agosto. Là egli è proclamato liberatore. Stabilito un governo provvisorio, del quale nomina vicepresidente il generale Francesco Santander, e organizzata l'amministrazione pubblica, B. ritorna al Venezuela (11 dicembre); e allora propone al congresso di Angostura l'unione di tutti i territorî del Venezuela, dell'Ecuador e della Nuova Granada nella Repubblica della Grande Colombia. La nuova repubblica è costituita il 17 dello stesso mese con B. presidente.
L'8 marzo 1820 egli emana a Bogotá il suo primo proclama presidenziale, nel quale annuncia la nuova campagna per l'indipendenza, che deve dare la libertà alle provincie meridionali della Nuova Granada e preparare la libertà dell'Ecuador e del Perù. Precisamente in quest'epoca le autorità spagnole propongono un armistizio per iniziare i negoziati di pace, sulla base del riconoscimento dell'indipendenza amministrativa sotto la sovranità spagnola; ma poco dopo B. rompe i negoziati ufficiosi condotti dall'ex-vicepresidente Zea col duca di Frias, ambasciatore di Spagna a Londra; e per parte sua propone nel settembre di entrare in negoziati diretti col comandante generale Morillo, sulla base del riconoscimento della repubblica di Colombia. Il 25 novembre si conclude un armistizio della durata di 5 mesi; vengono anche gettate le basi di un trattato per regolamentare la guerra, che è un documento di diritto bellico veramente filantropico; ma poco dopo la città di Maracaibo proclama la sua unione alla repubblica di Colombia, l'armistizio è rotto e la campagna ripresa nell'aprile del 1821. In verità B., che non vede riconosciuta l'indipendenza della Colombia né dal nuovo comandante generale né dagli emissarî venuti direttamente dalla metropoli, si è stancato. Nel primo congresso della Colombia, riunito a Rosario di Cúcuta il 6 maggio 1821, B. di nuovo rinuncia al potere presidenziale; ma di nuovo l'assemblea l'obbliga a continuare la sua missione e a conservare il comando degli eserciti. Con essi il 21 giugno egli ottiene a Carabobo una vittoria, che segna la fine del dominio coloniale degli Spagnoli nel Venezuela: lo spagnolo Latorre deve ritirarsi a Puerto Cabello, B. s'impadronisce di Valencia e prosegue fino a Caracas, dove poco dopo entra. Qui, d'accordo col vicepresidente del Venezuela, il generale Carlo Soublette, si accinge a sistemare il governo del dipartimento in tre distretti militari; poi riprende la marcia verso il sud. Rieletto ancora presidente, egli ritoma a Cúcuta per prestare il giuramento e firmare la costituzione della Repubblica di Colombia (3 ottobre 1821).
Ormai B. amplia la sua azione: invia plenipotenziarî nel Messico, nel Perù, nel Chile e in Argentina per trattare la formazione di una lega fra tutte le repubbliche ispano-americane. Egli aspira a una confederazione ispano-americana di fronte alla Santa Alleanza europea: il centro deve esserne la Colombia e Panamá il luogo di riunione dei rappresentanti dei vari paesi. Ideale grandioso: B. sta sostenendolo fin dal suo scritto della Giamaica del 6 settembre 1815, che ha per base anche una convenzione di arbitrato misto per i possibili conflitti internazionali e la delimitazione delle frontiere secondo il principio dell'uti possidetis iuris. Segue la conquista dell'Ecuador: la battaglia di Bombona gli apre le porte di Pasto poi quelle di Quito (16 giugno 1822). Anche qui, lavoro di organizzazione: l'Ecuador viene suddiviso nelle provincie di Quito, di Cuenca e Loja: il governo è affidato al luogotenente di B., Antonio Giuseppe Sucre. Poi B. raggiunge (11 luglio) Guayaquil, che rimane indecisa se entrare nella confederazione colombiana o unirsi al Perù, sotto la protezione di San Martín, rivestito del titolo di "protettore del Perù", e assume personalmente il governo di questa provincia. A Guayaquil egli s'incontra con San Martín, che arriva da Callao il 26 luglio. Scambio d'idee tra i due uomini: propenso il San Martín a stabilire monarchie costituzionali nelle antiche colonie spagnole liberate; favorevole invece il B. a regimi repubblicani, e soprattutto infervorato dall'idea di un'unione delle repubbliche sudamericane. Per il momento, il problema urgente è la liberazione del Perù, ancora occupato dagli Spagnoli, a eccezione di Lima e di alcuni punti del litorale. San Martín chiede l'aiuto dell'esercito colombiano; ma all'accordo non si giunge: San Martín torna a Lima, rinunzia al suo comando e allora B., invitato dal presidente del Perù, Riva Agu̇ero, e autorizzato dal congresso di Bogotá, entra in Perù a capo dell'esercito colombiano. Al congresso del Perù, il 10 settembre gli è affidato il comando supremo di tutte le operazioni (poco dopo, nel febbraio 1824, gli vien data l'autorità dittatoriale). Campagna difficile: da una parte, notevoli forze spagnole da combattere; dall'altra, indisciplina, discordia, inerzia dell'ambiente peruviano. Manca poi il denaro: e bisogna forzare le chiese a contribuzioni. Ma finalmente il 7 agosto, a Junin, B. riporta la necessaria grande vittoria sull'esercito spagnolo di Canterac; il 9 dicembre il suo luogotenente Sucre vince a Ayacucho: e così la guerra è conclusa.
Sennonché alle vittorie nel Perù fan riscontro le agitazioni, i dissensi, le ostilità contro B. nella "Grande Colombia". Contro il liberatore, assente, si leva l'odio, alimentato in parte da insidie e ambizioni grettamente personali, e in parte dal malcontento che nel Venezuela si è formato di fronte al prevalere della Nuova Granada nella repubblica "colombiana". B. è disgustato: già il 9 gennaio 1824 aveva inviato per la quinta volta le sue dimissioni dal potere presidenziale. Il 28 luglio 1824 il congresso colombiano, che ha già respinte le sue dimissioni, revoca tuttavia le facoltà straordinarie che gli sono state concesse nel 1821; e nel dicembre il B. per la sesta volta rinunzia alla presidenza, ancora inutilmente. E inutilmente pure vuol deporre nel febbraio 1825 l'autorità dittatoriale concessagli dal Perù: il congresso peruviano gli conferma la dittatura a tempo discrezionale, proclamandolo "padre e salvatore del Perù". Il B. si occupa allora nell'organizzare il governo del Perù e nel promuovere lo sviluppo materiale e culturale del paese; poi, organizzatasi la nuova Repubblica Bolívar (l'Alto Perù, che trasse il suo nuovo nome dal liberatore, e poi divenne la Bolivia) ne è proclamato primo presidente. Gli vien chiesto anche di redigere una costituzione, che egli invia al congresso nel maggio del 1826. Nello stesso tempo si occupa della riforma politica del Perù e propone che venga adottata la costituzione boliviana: primo passo verso la confederazione delle repubbliche della Colombia, del Perù e della Bolivia, che B. vuole ora attuare. È il suo grande ideale di un'unione ispano-americana, ch'egli cerca di tradurre in pratica. Il secondo passo, che non ha però alcun risultato, è la convocazione del congresso delle nazioni americane a Panamá (1826); e gli ultimi suoi tentativi, rimasti pure infruttuosi, sono fatti per abolire la prima costituzione della Colombia (quella di Cúcuta, del 1821) e stabilirvi la boliviana (ciò che provocherà poi il distacco del Venezuela dall'Unione).
Organizzata la Bolivia, e nominatovi come presidente ad interim il generale Santa Cruz, B. si reca in Colombia; e qui il congresso lo conferma presidente (maggio 1827). Il 24 luglio B. convoca la convenzione per la riforma della costituzione della Colombia, inaugurata nell'aprile del 1828, ma sciolta il 12 giugno per iniziativa dello stesso B., che non vi incontra il desiderato appoggio ai suoi progetti: il 27 agosto 1828, investito del potere di dittatore assoluto, egli promulga una legge fondamentale della repubblica, destinata a rimanere in vigore fino al 1830. In quest'anno doveva essere convocato un nuovo congresso costituente. Ma tale azione provoca dei disordini, fomentati dall'ex vice presidente Santander; si giunge addirittura a una cospirazione per assassinare il liberatore nella notte del 25 settembre; B. fugge dal palazzo presidenziale di Bogotá. Inoltre la richiesta d'indennità da parte della Colombia al Perù, per gli aiuti recati a questo paese nella sua guerra d'indipendenza, provoca la guerra fra le due repubbliche. B. nomina generale in capo Sucre, mentre egli marcia contro Obando, che si solleva a Cauca (12 novembre) e che egli obbliga a capitolare il 2 marzo 1829; e il 2 novembre, dopo varie azioni vittoriose, conclude la pace a Guayaquil, fissando per limiti fra il Perù e la Colombia gli antichi confini dei viceregni del Perù e della Nuova Granada.
Ma s'accrescono sempre più le rivalità e le tendenze separatiste fra il Venezuela e la Nuova Granada; il 13 novembre, a Valencia, un gruppo di venezolani si pronuncia per la separazione del Venezuela dalla repubblica colombiana. L'autorità di B. è scossa misconosciuta: egli si sforza invano di placare gli animi, di calmare le tendenze separatiste del Venezuela. A Caracas s'impreca contro di lui; ed egli, ingiuriato e offeso, sente uno sdegno profondo contro quelli che pure ha liberato. In quest'ambiente si fanno le elezioni per il nuovo congresso, inaugurato a Bogotá il 20 gennaio 1830, sotto la presidenza di Sucre, mentre Paez convoca a Valencia l'altro congresso costituente del Venezuela. Il congresso di Bogotȧ. accetta le ripetute dimissioni dalla presidenza presentate dal liberatore: quattro giorni più tardi B. parte per l'estero. A Cartagena, dove egli si è fermato, viene di nuovo pregato di ritornare a soffocare l'anarchia che si è scatenata durante la sua assenza. Ma la sua salute ormai è precaria, la sua energia finita; la notizia dell'assassinio di Sucre sui monti di Berruecos contribuisce ad aggravare il suo male, e il liberatore si spegne lentamente, amareggiato nel profondo dell'animo. "Io non ho più patria, a cui offrire il mio sacrifizio" scrive il 25 settembre: "i tiranni del mio paese mi hanno tolto la patria". Il 17 dicembre 1830 B. muore, nella tenuta di San Pedro Alessandrino, nelle vicinanze di Santa Marta. Le sue spoglie saranno trasportate a Caracas solo nel 1842.
Sulla formazione spirituale del Liberatore influirono senza dubbio i pensatori europei del sec. XVIII: Montesquieu e Rousseau in particolar modo. Ma e il senso della realtà sudamericana e la tradizione e l'ambiente spirituale della sua terra natia, certo avviati sempre più a uno spirito di autonomia di fronte alla metropoli, ma assai poco liberali nel senso comune della parola; e il suo stesso temperamento personale, di capo che vuole il rispetto alla forza costituita; e infine l'esperienza di anni continui di lotte determinarono, assai più che non le dottrine europee, l'atteggiamento del B. Il quale anzi finì col giungere a conclusioni - teoriche e pratiche - parecchio in contrasto con quelle che i liberali europei svolgevano proprio in quel torno di tempo.
Non che ci sia un netto ripudio teorico, da parte del Liberatore, di assiomi cari al sec. XVIII e alla rivoluzione francese: ancora nel 1828, per es., egli parla del popolo come della fonte di ogni legittimità. Ma se pure - anche per convenienze pratiche - ritornano in bocca di lui i fondamenti teorici delle dottrine liberali e democratiche, in realtà la sua preoccupazione fondamentale è quella di un governo forte, che sia in grado di dominare il pencolo continuo dell'anarchia; e sotto la pressione di quest'idea egli giungerà in ultimo a combattere aspramente i cosiddetti liberali della sua patria, a richiedere un ulteriore rafforzamento del potere esecutivo. E le teorie sull'equilibrio dei tre poteri sono messe in disparte.
Il bisogno di un governo f0rte è sentito dal B. sin dai primi anni di vita politica. Per questo motivo egli, già nel Manifesto di Cartagena, pur giudicando il sistema federale come il più perfetto e il più adatto alla felicità degli uomini (tipica reminiscenza dell'illuminismo!), lo sconsiglia ad un tempo per le giovani repubbliche sudamericane, appena sorgenti a vita politica autonoma, quindi non mature, impreparate, sempre in procinto di cadere in balia delle rivalità di partito. Col tempo, le sue convinzioni in materia si fanno ancora più decise. Non che sia monarchico: se anche nel 1829-30 fu accusato di aspirare alla monarchia, se anche si può vedere in lui, in quel periodo, un'innegabile maggiore inclinazione verso la monarchia, il suo pensiero rimane tuttavia, in massima, quello di un repubblicano. Nel luglio 1822, come si è visto, controbatte le tendenze monarchiche di San Martín: e in genere la monarchia gli appare come un frutto esotico, un prodotto europeo non trapiantabile in terra americana. Ma sostenitore indefesso dell'autorità e della forza del potere centrale, sì. Lo dice, a chiare note, giȧ al congresso di Angostura; e il 29 luglio 1828, scrivendo a José Rafael Arboleda, dopo aver parlato della hermosa quimera de la perfección social, prende ad esempio la Francia che dopo la rivoluzione la mas grande cosa que ha tenido la vida humana, el coloso de las mas seductoras ilusiones, dopo otto anni di esperanzas dolorosas è pur caduta sotto un potere forte. Tutte le rivoluzioni del mondo, dice B., sono terminate così.
Data questa concezione fondamentale, che rimase ferma e anzi si rafforzò con gli anni, è logico che la costituzione della repubblica di Bolivia - espressione tipica del pensiero politico di B. - crei non solo un presidente di repubblica vitalizio, con facoltà di designare il successore, che il corpo legislativo si limita a confermare, ma gli attribuisca anche estesissimi poteri; è logico pure che il suffragio sia suffragio privilegiato. E si capisce anche come la carriera politica del Liberatore finisca con la dittatura.
L'ideale del B. diviene insomma sempre più il governo paternalistico, più simile certo nella sostanza - se non nella forma - al dispotismo illuminato del sec. XVIII che ai progetti dei liberali spagnoli ed europei di quel tempo. La libertà e l'uguaglianza civile rimangono, come esigenze fondamentali; ma la libertà e l'uguaglianza politica passano ben presto in secondo piano.
Nel cozzo con la realtà, le idee di B. non riuscirono ad imporsi. E nemmeno gli riuscì di attuare un altro suo grande progetto, tipicamente americano: quello dell'unione fra gli stati ispano-americani. Già nel 1815 l'idea appare al Liberatore; nel 1818 ritorna; negli anni seguenti al 1820 diviene concreto progetto. B. da prima pensa ad una confederazione di tutta l'America meridionale spagnola; poi lascia fuori dal suo progetto il Chile e l'Argentina e concepisce una federazione tra Bolivia, Perù e repubblica della Grande Colombia (cioè Venezuela e Nuova Granada). La federazione dovrebb'essere più stretta che quella degli Stati Uniti: governata da un presidente e un vice-presidente, retta dalla costituzione boliviana, con una bandiera e un esercito, con una capitale in una località centrale. Tale il sogno unitario del Liberatore. Ma anch'esso finì in un'amara disillusione.
Fonti: Colección de documentos relativos a la vida pública del Libertador..., voll. 21, Caracas 1826-33; Correspondencia general del libertador S. Bolivar..., pubbl. da F. Larrazábal, voll. 2, New York 1866; Documentos paru la historia de la vida pública del Libertador... pubbl. da J.F. Blanco y R. Azpurúa, voll. 14, Caracas 1875-77; Memorias del gen. D.F. O'Leary, voll. 32, Caracas 1879-88 (è la fonte più importante); L. Peru de Lacroix, Diario de Bucaramanga, o vida pública y privada del libertador Simon Bolívar, pubbl. da Cornelio Hispano, Parigi s. a.; Discursos y proclamas de Simón Bolívar, pubbl. da R. Blanco-Fombona, Parigi 1913.
Per altre fonti, v. B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia española e hispano-americana, 2ª ed., Madrid 1927, n. 10.060 segg.
Bibl.: F. Loraine Petre, A life of the chief leader in the revolt against Spain in Venezuela, Londra 1910; F. Larrázabal, Vida de Simón Bolivar, ed. modernizzata con introduzione e note di R. Blanco-Fombona, Biblioteca Ayacucho, voll. 3, Madrid s. a. (1918); A. de Ranero, Bolívar, Caracas 1922; W. A. Shenwell, Simón Bolívar, trad. spagnola, Madrid 1922; P. Dávalos y Lisson, Bolívar, Barcellona 1924; J. Rafael Sañudo, Estudios sobre la vida de Bolívar, Pasto 1925.
Cfr. inoltre M. de Oliveira Lima, Panamericanismo (Monroe, Bolivar, Roosevelt), Rio de Janeiro 1907; J. Mancini, Bolivar et l'émancipation des colonies espagnoles des origines à 1815, Parigi 1912; C. A. Villanueva, La Monarquía en América, Bolívar y San Martín, Parigi 1913; C. Pereyra, Bolívar y Washington, Madrid 1915; J. D. Monsalve, El ideal politico del Libertador, Madrid 1916 (volumi XI e XII della Biblioteca de Ciencias Políticas y Sociales); M. André, Bolívar et la démocratie, Parigi 1924; C. Parra-Perez, Bolívar, Parigi 1928. Per la bibliografia completa v. B. Sánchez Alonso, op. cit.