GLIUBICH (Ljubić), Simeone (Šime)
Nacque a Cittavecchia (Starigrad) nell'isola di Lesina (Hvar) il 24 maggio 1822 da Pietro e da Apollonia Scutteri, una francese originaria di Marsiglia.
In alcune note per un'autobiografia - conservate manoscritte presso l'Archivio di Stato di Zara - il G. stesso afferma che la famiglia paterna, appartenente all'antica nobiltà bosniaca, si era trasferita agli inizi del XIV secolo nel territorio della Repubblica di Venezia, divenendone suddita. Inserita nella nobiltà ungaro-croata al tempo di Luigi il Grande d'Angiò, le era poi stato confermato il titolo nel 1568 da Massimiliano II d'Asburgo.
Compiuti i primi studi privatamente nella città natale, si iscrisse al ginnasio di Zara nel 1834, per poi spostarsi nel 1837 a Ragusa (Dubrovnik) quale allievo degli scolopi e infine tornare a Zara per completarvi gli studi nel 1842. Qui ebbe come insegnante di umanità G. Franceschi che, noto per le sue traduzioni in metro tradizionale italiano di canti popolari illirici, lo appassionò alla poesia e alla letteratura italiana al punto che presto volle scrivere versi d'imitazione alfieriana; intanto agli interessi letterari si mescolavano in lui quelli per la musica cui si accostava con lo studio del clarino e del violino. Nel 1840, per volere del Franceschi, il G. pubblicò a nome della classe un sonetto composto in occasione della morte del governatore delle Dalmazia, W.V. von Lilienberg; l'anno dopo, sempre riecheggiando lo stile e l'impeto alfieriani, portava a termine una tragedia ribollente di sentimenti antitirannici, l'Arato, rimasta inedita. Nel 1844 apparve sulla Gazzetta di Zara la sua biografia del letterato e storiografo secentesco G.F. Biondi, anch'essa scritta in italiano, a conferma della preferenza del G. per questa lingua in cui sembra che si esprimesse meglio, tanto da utilizzarla sempre per le annotazioni a margine dei suoi scritti.
Per l'avvenire il G. avrebbe però voluto mettere a frutto la propria passione per la matematica nel campo delle costruzioni ferroviarie. I genitori lo costrinsero invece, malgrado la tenuità della sua vocazione, a scegliere la carriera ecclesiastica e a entrare nel seminario di Zara; qui, sulla scia degli studi condotti dall'arcivescovo zaratino M. Karaman, il G. apprese tra l'altro l'ebraico e l'antico slavo ecclesiastico. In quegli anni entrò pure in contatto con alcuni giovani intellettuali (B. Petranović, S. Ivićeviâ e A. Kuzmaniâ), tutti raccolti intorno alla Zora dalmatinska (Alba dalmata), l'unico foglio nazionale pubblicato in lingua illirica in Dalmazia (vi collaborò, seppure in forma anonima, anche N. Tommaseo). Sotto la guida di P. Nisiteo, un erudito di Cittavecchia che valorizzava l'importanza dell'indagine storica basata sulle fonti documentarie, sull'archeologia e sulla numismatica, il G. volse tutta l'attività di ricerca e la produzione saggistica alla storia culturale e politica della Dalmazia cercando di farne risaltare l'antica dignità e contribuendo così alla polemica che intorno a metà Ottocento avrebbe contrapposto l'élite italiana o italofona all'elemento slavo. Nel 1845 intervenne sulla Zora dalmatinska in polemica con G. Zaffron (poi vescovo di Cattaro) per mostrare - anche sulla base degli studi condotti da M. Kapor, arciprete di Curzola, e da altri studiosi e filologi - come le iscrizioni rinvenute su antiche monete testimoniassero l'uso della lingua slava in epoche molto antiche; l'anno dopo curava la stampa dell'opera cinquecentesca Ribanje i ribarsko prigovoranje (La pesca e i discorsi dei pescatori) del suo concittadino Pietro Ettoreo (Petar Hektoroviâ) incontrando non poche difficoltà per coprire le spese.
Il 2 febbr. 1847 il G. celebrò la prima messa; il successivo 3 aprile nella città natale gli fu conferito l'ufficio di secondo cooperatore parrocchiale. Contemporaneamente fu autorizzato a tenere in casa una scuola (ginnasio inferiore) che restò aperta fino al 1855. Nel 1848, nominato cappellano della guardia nazionale di Cittavecchia, vi fondò la Lipa dalmatinska (Tiglio dalmata), una sala di lettura dedicata al bano J. Jelačić la cui attività segnò l'inizio della sua battaglia per la lingua slava. Questo impegno, che il G. concretizzò in numerosi articoli sui fogli della provincia auspicanti l'introduzione dello slavo nei tribunali e nell'amministrazione provinciale, gli procurò molti avversari, la sollevazione dall'incarico (19 giugno 1849) quale "soggetto notoriamente torbido ed inquieto" e un controllo settimanale da parte della polizia. Reintegrato di lì a poco per le vibrate proteste dei suoi concittadini, fu però trasferito a S. Pietro della Brazza (Supetar na Braču) quale cooperatore parrocchiale. Ma anche qui il contegno e l'abbigliamento anticonformistici ("cappello rotondo, stivali, veladone [marsina] e greca di colore e taglio secolareschi") lo misero in conflitto con il suo diretto superiore G. Tomich; nell'ottobre 1852 venne pertanto "sospeso dalla celebrazione della S. Messa e dall'esercizio d'ogni e qualunque ufficio sacerdotale". Inviato in un primo momento in ritiro spirituale nel convento di S. Martino (Sumartin) nell'isola di Brazza, fu successivamente (28 dic. 1852) nominato curato di S. Domenica (S. Nedjelja) sull'isola di Lesina. Stanco delle incomprensioni, sperava di dedicarsi all'insegnamento: per questo già nel 1852 chiese, senza successo, un posto di supplente nel ginnasio di Capodistria. Intanto andava arricchendo la sua raccolta di iscrizioni dalmate e di monete e dava alle stampe a Vienna (1851) un lavoro sulla Nummografia dalmata. Per i brillanti risultati ottenuti nella preparazione degli studenti che frequentavano il suo ginnasio gli fu permesso di recarsi nella primavera del 1854 a Vienna per sostenere davanti a una commissione presieduta dal celebre slavista F. Miklošić l'esame quale "maestro straordinario ginnasiale di lingua illirica"; l'anno dopo un sussidio biennale del ministero austriaco per il Culto e l'Istruzione gli permise di seguire, sempre a Vienna, alcuni cicli di lezioni - tra cui quelle di diplomatica tenute da Th. Sickel - al termine delle quali un certificato lo abilitava all'insegnamento della storia e della geografia nei ginnasi.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, nel dibattito legato alle riforme costituzionali dell'Impero asburgico, i Croati, sostenuti dagli Ungheresi, aprirono una vivace polemica chiedendo l'unione della Dalmazia alla Croazia. Costituita nel 1861 la Dieta di Zara, si sarebbero confrontati al suo interno due partiti, l'autonomista e l'annessionista, l'uno sostenitore di una provincia autonoma all'interno della cornice asburgica, l'altro favorevole alla sua unione con la Croazia e la Slavonia in un'unica entità politico-amministrativa. Lo scontro era destinato a concludersi in un primo tempo con la vittoria dei Dalmati italiani, i quali avevano in quel momento il sostegno di Vienna ed erano favoriti dai provvedimenti insiti nella patente del febbraio 1861. Da parte dell'elemento croato era forte la volontà - sia in Dalmazia, sia in Croazia e Slavonia - di intervenire nella realtà politica ottenendo una trasformazione federale della monarchia. Tale tendenza era diffusa soprattutto negli strati colti della popolazione, cioè preti e insegnanti, e le sempre più numerose sale di lettura esercitavano una forte influenza, in senso nazionale, tra le popolazioni dei centri minori. La lingua assumeva un'importanza capitale quale elemento di identificazione nazionale che trovava ulteriore conferma nella ricerca storica, nell'archeologia, nella filologia.
Inserita in tale contesto, l'attività del G. affrontava con rigore intellettuale, non scevro a volte di anticlericalismo, temi densi di contenuti civili e capaci di larghe risonanze perché orientati con fini chiaramente patriottici su questioni di interesse nazionale. Ne ricevevano impulso la ricerca documentaria e l'esplorazione sistematica degli archivi, che portavano il G., attraverso l'individuazione delle origini dei Dalmati negli antichi Pelasgi, ad affermare la dignità e vetustà culturale della lingua slava parlata dai Morlacchi. Su tali orgogliosi convincimenti si fondavano le sue opere sulla letteratura croata e slavo-meridionale stampate in due volumi a Fiume tra il 1864 e il 1869, nel pieno della polemica sull'appartenenza della Dalmazia alla Croazia o alla Serbia. La partecipazione al dibattito avrebbe portato il G. all'affermazione di un sentimento nazionale iugoslavo legato al programma politico del Partito nazionale del vescovo J.J. Strossmayer e di F. Rački.
Durante il soggiorno viennese il G. pubblicò nel 1856 il Dizionario biografico degli uomini illustri della Dalmazia, altra fiera rivendicazione dell'importanza e del peso avuto fin dall'antichità dalla Dalmazia nel sistema politico e culturale europeo. I legami con l'Europa e in particolare con la civiltà italiana, già altrove sottolineati, vengono qui enfatizzati in nome di una concezione che lega l'identità nazionale alla lingua piuttosto che all'esistenza di uno Stato e che perciò permette al G. di inserire tra le biografie dei dalmati illustri anche quelle di coloro che, come F.M. Appendini, avevano fatto conoscere in passato la storia della Dalmazia. L'opera ebbe grande successo tanto che ancora nel 1893 un editore di Dubrovnik ne propose al G. la ristampa.
Accanto alla lingua, la ricerca archeologica e le scienze in generale costituivano un elemento di "conservazione della fama avita" e uno strumento di crescita nazionale. Così nel 1856 il G. accettava dal presidente della I.R. Commissione centrale per la conservazione dei monumenti antichi, barone K. von Czoernig, l'incarico di collaborare con l'archeologo triestino A. Kandler negli scavi che questo stava conducendo sugli agri colonici romani in Istria e in Dalmazia. Le indagini, soprattutto quelle nella natia Cittavecchia, furono coronate da successo, ma il G. dovette rifiutare per motivi di salute il posto di segretario presso la commissione che gli fu offerto come riconoscimento del lavoro svolto; accettò invece la nomina (2 febbr. 1858) a membro corrispondente cui seguì, nell'agosto 1858, quella a conservatore del Museo archeologico di Spalato, carica che mantenne fino al 1863. Proprio nel corso delle sue ricerche ebbe modo di approfondire alcuni aspetti degli studi di antichistica, in particolare quelli sull'antico insediamento di Faria che identificò con Cittavecchia (e non, come voleva la tradizione più accreditata, con Lesina); i primi risultati vennero pubblicati col titolo Studi archeologici sulla Dalmazia e furono molto apprezzati. Altre perlustrazioni viennesi - nello Haus, Hof- und Staatsarchiv e nella Imperialregia Biblioteca - lo misero in condizione di trascrivere pergamene e codici antichi relativi alla storia della Dalmazia, in particolare la serie Foscarini e Brevi. Entrato in relazione con Th. Mommsen, a Vienna per il suo Corpus inscriptionum Latinarum, il G. gli mise a disposizione la sua raccolta di epigrafi dalmate, e ciò gli valse il 27 luglio 1857 un elogio da parte della commissione epigrafica dell'Accademia prussiana delle scienze.
Dopo una breve esperienza quale supplente di storia e lingua illirica al ginnasio di Spalato, nel 1857 fu incaricato dal ministro dell'Interno A. von Bach di condurre ricerche nell'Archivio de' Frari di Venezia così da risalire all'origine del possesso da parte ottomana delle enclavi di Klek e Sutorina situate ai confini del territorio asburgico di Dubrovnik. Assunto in servizio sussidiario presso la direzione dell'archivio veneziano il G., oltre a preparare la relazione sui confini, accolta con soddisfazione a Vienna, catalogò fondi, riordinò pergamene in greco, turco e arabo, e reperì bolle pontificie, raccogliendo una rilevante quantità di materiale.
Un intervento a suo favore del vescovo Strossmayer consentì finalmente al G. di tornare in patria e di stabilirsi dal 1861 al 1863 a Osijek, in Slavonia, per poi trasferirsi nella più ospitale Fiume. Coinvolto nell'acceso dibattito che vedeva contrapposti sulla questione dalmatica aperta dai provvedimenti imperiali del 1860-61 autonomisti e annessionisti, il G. attaccava con forza il Tommaseo e si schierava ormai decisamente dalla parte del partito annessionista confutando, in un articolo del 1861 pubblicato a Venezia (Risposta all'opuscolo del sig.r Vincenzo Duplancich col titolo "Della civiltà italiana e slava in Dalmazia"), l'opinione che la civiltà dalmata fosse sempre stata e dovesse mantenere anche in futuro l'impronta italiana.
A conclusione di una serrata ricostruzione storica il G. vi riprendeva infatti gli argomenti già utilizzati più volte in passato: l'autonomia delle città dalmate era stata violata dalla Serenissima incurante anche del tributo di sangue dei Morlacchi nelle guerre veneto-turche; che poi gli scrittori dalmati si esprimessero in italiano era legato al fatto che essi operavano nella penisola allora terra di elezione di artisti, letterati e poeti provenienti da ogni parte d'Europa; ma essi scrivevano anche in croato, come dimostrava l'Ettoreo; ora che numerosi erano i giornali che si pubblicavano in lingua croata, le genti dalmate dovevano solo liberarsi dall'oppressione dei loro padroni e, una volta acquistata la libertà e riappropriatesi dei beni che spettavano loro, avrebbero potuto aiutare gli Italiani da "fratelli e non da schiavi".
Questa interpretazione negativa del dominio della Serenissima avrebbe profondamente e durevolmente segnato la storiografia croata. Con la nascita di un'Italia unita cresceva infatti la preoccupazione di una rivendicazione italiana della Dalmazia e questo dava vigore alla forza organizzativa degli annessionisti, usciti vincitori, con il sostegno del governo di Vienna, dalle elezioni per la Dieta provinciale del 1870. Nel quadro del sostegno che si volle dare alla ricerca storica nazionale anche il G., nominato nel 1866 socio dell'Accademia iugoslava delle arti e delle scienze e assunto presso il Museo archeologico di Zagabria di cui sarebbe stato il direttore dal 1878 al 1892, fu chiamato a dare il proprio contributo. È ciò che fece attingendo al materiale raccolto a Venezia e pubblicando tra il 1868 e il 1891 a Zagabria nella collana Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium i dieci volumi che raccoglievano Listine o odnošajih izmedju južnoga slavenstva i Mletačke Republike (Documenti sulle relazioni tra gli Slavi meridionali e la Repubblica di Venezia) cui tra il 1876 e il 1880 si sarebbero affiancati nelle pubblicazioni dell'Accademia iugoslava (Zagabria) i tre tomi delle Commissiones et relationes Venetae. Nel 1870 vide la luce una biografia del vescovo di Spalato M.A. De Dominis, dai forti accenti anticlericali, in cui un G. in qualche modo autobiografico esaltava l'uomo di scienza, pronto a rischiare anche la condanna della Chiesa di Roma per sete di sapere. Nel 1879 fondò e diresse la rivista Viesnik hrvatskog arheološkog društva (Notiziario della Società archeologica croata) sulle cui pagine apparvero fino al 1892 anche alcuni suoi studi minori. Tra le sue ultime fatiche i tre volumi sulle relazioni tra la Repubblica di Venezia e quella di Ragusa apparsi nel 1881. Non gli mancarono i riconoscimenti: oltre alla cooptazione in numerose deputazioni e società storiche, sia slave, sia italiane, nel 1875 fu insignito da Vittorio Emanuele II della croce di cavaliere dell'Ordine della Corona e da Francesco Giuseppe con la medaglia di merito per le scienze e le arti. Nel 1892 si ritirò ormai settantenne a Cittavecchia. Poco prima di morire, il 19 ott. 1896, aveva ottenuto il permesso di essere seppellito nella tomba che si era fatto costruire nella sua proprietà.
Scritti: Biografia di Gian Francesco Biondi, in Gazzetta di Zara, 7 dic. 1844; Običaj kod morlakah u Dalmacii (Le usanze dei Morlacchi in Dalmazia), Zadar 1846; Penezoslovje. Odgovor Šime Ljubicha gosp. I. Zafronu (Numismatica. Risposta di Š. Ljubić al sig. G. Zaffron), in Zora dalmatinska, II (1847), nn. 47-52, pp. 370-389; Nummografia dalmata, in Archiv für Kunde österreichischer Geschichtsquellen, XI (1851), pp. 101-138; Staro-dalmatinsko penezoslovje (Numismatica antico-dalmata), Zagreb 1852; Diz. biogr. degli uomini illustri della Dalmazia, Vienna 1856; Studi archeologici sulla Dalmazia, in Archiv für Kunde österreichischer Geschichtsquellen, XXII (1859); Intorno la questione dalmatica, Venezia 1861; Pregled hrvatske poviesti (Disegno della letteratura croata), [Rijeka] 1864; Ogledalo književne poviesti jugoslavjanske (Disegno storico della letteratura iugoslava), I-II, [Rijeka] 1864-69; O Markantunu Dominisiu Rabljaninu, navlastito po izvorih mletačkoga arkiva i knjižnice arsenala parizkoga (M.A. De Dominis di Arbe in particolare attraverso i documenti dell'Archivio di Venezia e della Biblioteca dell'Arsenale di Parigi), Zagreb 1870; O odnošajih medju Republikom Mletačkom i Dubrovačkom. Od početka do njihove propasti (Sulle relazioni tra la Repubblica di Dubrovnik e Venezia dagli inizi fino alle loro cadute), I-III, Zagreb 1881.
Fonti e Bibl.: F. Brunšmid, Prof. Š. Ljubić, in Vjesnik hrvatskog arheološkog društva, 1896-97, pp. 36-52; T. Smičiklas, ŽŽivot i djela Š. Ljubić (Vita e opere di S. G.), in Ljetopis JA (Annali dell'Accademia iugoslava), 1897, pp. 1-95; V. Novak, Srpski naučnici i književnici u prepisci sa Franjom Račkim (Scrittori e letterati in corrispondenza con Frano Rački), in Zbornik za istoriju, jezik i književnost srpskog naroda (Miscellanea di storia, lingua e letteratura del popolo serbo), XXVI (1964), pp. 22 s.; I. Pederin, ŽŽivot i ideološki sadržaj u djelu Š. Ljubića (Vita e pensiero politico nell'opera di S. G.), Zagreb 1983, pp. 85-126; Id., Izbor iz pisama upućenih Š. Ljubića (Scelta di lettere di S. G.), ibid. 1986, pp. 117-165; Id., Dva neobjavljena sastava Š. Ljubića (Due scritti inediti di S. G.), in Croatica Christiana periodica, XIII (1989), 24, pp. 76-115.