TRENTIN, Silvio
TRENTIN, Silvio. – Nacque a San Donà di Piave l’11 novembre 1885, secondogenito di Giorgio, medio proprietario terriero, e di Italia Cian, sorella di Vittorio, noto storico della letteratura italiana. Figlio di una famiglia di proprietari terrieri ben inserita nella locale classe dirigente, il padre aveva ricoperto la carica di sindaco di San Donà e ricevuto il titolo di cavaliere prima della morte prematura, nel 1893.
Silvio frequentò le scuole elementari a San Donà, poi si trasferì a Treviso presso il liceo Antonio Canova e il collegio Nardari (1896-1903) e infine a Venezia, dove attese l’ultimo anno degli studi superiori al liceo Marco Foscarini (1904). Intanto, cominciò a elaborare una visione democratica, patriottica e anticlericale, a cui non era estranea la memoria del nonno Giorgio, che aveva comandato la guardia civica istituita a San Donà nel 1848-49 contro gli austriaci. La sua formazione avvenne presso l’Università di Pisa (1904-10), sotto la direzione di Giovanni Vacchelli, professore di diritto amministrativo. Pubblicò il suo primo articolo scientifico nel prestigioso Archivio giuridico Filippo Serafini, nel 1907; si laureò in giurisprudenza a pieni voti con una tesi sui problemi giuridici della bonifica nel 1908 e pubblicò la tesi con il titolo La responsabilità collegiale nel 1910. Nello stesso anno conseguì la libera docenza di diritto costituzionale; nel 1912 assunse l’incarico di professore di diritto amministrativo all’Università di Camerino. Dal settembre del 1913 al luglio del 1914 compì un soggiorno di studio e ricerca all’Università di Heidelberg, in Germania, dove partecipò al seminario di diritto pubblico del giurista svizzero Fritz Fleiner, con cui sarebbe rimasto in contatto (a lui avrebbe dedicato nel 1935 La crise du droit et de l’État, pubblicato a Parigi).
Simpatizzò, anche se a tratti con qualche riluttanza, con i governi Giolitti, in nome di un riformismo gradualista umanitario che, seguendo l’ispirazione di Ivanoe Bonomi, Leonida Bissolati e Angiolo Cabrini, promuoveva il progresso sociale senza perorare una violenta rottura della legalità. Al tempo stesso, approvò la guerra contro l’Impero ottomano per la conquista della Libia, che in un discorso pubblico a San Donà, il 12 febbraio 1912, definì «una magnifica affermazione». Finì quindi per sostenere l’intervento nella guerra contro l’Impero austro-ungarico in nome di una prospettiva democratica e patriottica. A trent’anni si arruolò volontario, con il grado di sottotenente, in qualità di amministratore della Croce rossa italiana; fu poi trasferito in uno speciale reparto aereo incaricato di svolgere ricognizione fotografica e collegamento con gli informatori operanti in territorio nemico: il coraggio mostrato sul campo nella primavera del 1918 gli valse un encomio solenne «per le pericolose e utilissime azioni compiute», oltre a numerose decorazioni. Nel pieno del conflitto si sposò (1916) con Giuseppina Nardari (figlia del direttore e proprietario dell’omonimo collegio di Treviso), con la quale ebbe i figli Giorgio (nato nel 1917) e Franca (nata nel 1919).
Sorpreso dalla crisi delle istituzioni liberali nell’immediato dopoguerra, in un primo momento subì la fascinazione del dinamismo fascista e delle promesse di rinnovamento che condivideva con larga parte del movimento combattentista. Contribuì quindi alla ricostruzione postbellica con la collaborazione all’Istituto federale di credito per il risorgimento delle Venezie, aperto da Luigi Luzzatti nel marzo del 1919, e con la partecipazione alla lista Democrazia sociale, un fronte costituito da Mario Marinoni a Venezia nel maggio del 1919. Eletto deputato per la circoscrizione Venezia-Treviso nel novembre del 1919, si impegnò nella lotta per le bonifiche, per l’efficiente e migliore utilizzazione e gestione della risorsa idroelettrica, per la riforma della disciplina dei lavori pubblici, per l’adozione di una legge contro il lavoro a domicilio. Nel novembre del 1920 ideò l’istituzione dell’Ente di ricostruzione e rinascita agraria delle province di Venezia e Treviso, sotto il patronato del ministero delle Terre liberate. Si distinse nella collaborazione al Popolo tra il 1920 e il 1921, anche se non espresse posizioni pubbliche circa la montante ascesa del fascismo. Nel maggio del 1921, nel quadro di elezioni deludenti per la Democrazia sociale, non fu rieletto in Parlamento e si ritirò momentaneamente dalla vita politica.
Tra la fine del 1921 e la metà del 1923 insegnò diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione all’Università di Macerata; nel settembre del 1923 assunse l’incarico di professore di istituzioni di diritto pubblico presso il Regio Istituto di scienze economiche e commerciali Ca’ Foscari di Venezia. Al momento della marcia su Roma, pur rimanendo in sintonia con il gruppo di Democrazia sociale, indisponibile a collaborare con Benito Mussolini, continuò a sperare che il nuovo governo fascista avrebbe potuto restaurare l’autorità statale. Dalla fine del 1923 prese coscienza dell’impossibilità di accordarsi con i fascisti e della necessità di sostenere le istituzioni liberali; un anno più tardi, dopo la svolta segnata dall’assassinio di Giacomo Matteotti e dalla delusione per l’incapacità di agire dimostrata dalle forze parlamentari ritiratesi sull’Aventino, si accostò all’Unione nazionale di Giovanni Amendola, poi al Partito repubblicano, e firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti, lanciato da Benedetto Croce nell’aprile del 1925.
Fin dai primi lavori, ispirandosi alla scuola giuridica tedesca (Georg Jellinek, Paul Leband, Georg Meyer), contemperò l’attenzione per le condizioni d’affermazione dei diritti individuali e la preoccupazione per l’espansione della pubblica amministrazione, riconoscendo il ruolo positivo dello Stato anche in chiave di miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Maturò un precoce interesse per il tema delle autonomie locali, dedicando una particolare riflessione alla funzione dei Comuni, ma senza aderire in questa fase ad alcuna forma di regionalismo o federalismo. Questa riflessione approdò al discorso inaugurale che tenne a Ca’ Foscari, nel novembre del 1924, intorno ad Autonomia, autarchia, decentramento (Venezia 1925), in cui esprimeva la fiducia nella possibilità di modernizzare lo Stato dall’interno, con una più significativa valorizzazione del ruolo dei Comuni (concepiti, però, ancora come enti autarchici). In un intervento al I Congresso dell’Unione nazionale, nel giugno del 1925, dedicato al decentramento amministrativo, la questione della riforma dello Stato accentrato assumeva una chiara valenza politica, declinata come un metodo di libertà.
Insieme a Gaetano Salvemini e a Francesco Saverio Nitti fu uno dei tre professori universitari a rinunciare ai titoli e alle posizioni accademiche, dimettendosi da Ca’ Foscari il 7 gennaio 1926 per l’impossibilità di conciliare «il rispetto delle sue più intime e più salde convinzioni di studioso di diritto pubblico» (secondo quanto diceva la sua lettera di dimissioni presentata al direttore dell’istituto superiore e conservata ora nell’Archivio di Ca’ Foscari, cit. in Rosengarten, 1980, p. 86) con la legge 24 dicembre 1925 n. 2300, che prevedeva la facoltà di dispensare dal servizio i funzionari dello Stato che non dessero prova di lealtà al governo o che si ponessero in contrasto con le sue direttive politiche. Con la famiglia lasciò l’Italia il 6 febbraio 1926, trasferendosi nel Sud della Francia (nel villaggio di Pavie, presso Auch), dove nacque nello stesso anno il terzo figlio (Bruno, che sarebbe diventato una figura preminente del sindacalismo italiano; v. la voce in questo Dizionario) e dove si dedicò ai lavori nei campi, investendo nell’ammodernamento della fattoria che aveva acquistato.
In Francia stabilì stretti legami con Luigi Campolonghi, presidente della Lega italiana dei diritti dell’uomo (LIDU), si iscrisse al Partito repubblicano e nell’aprile del 1927 partecipò alla costituzione della Concentrazione d’azione antifascista. Le mozioni scritte da Trentin per la locale sezione della Concentrazione antifascista furono improntate a una crescente insofferenza per le forze politiche che rappresentavano l’ordine prebellico: di qui il suo avvicinamento al gruppo di Carlo Rosselli, Giustizia e libertà (GL). Nelle prime fasi della sua militanza in GL, che lo portò a rompere con il Partito repubblicano dopo il luglio del 1931, rivendicò la necessità di una «rivoluzione italiana» in nome della democrazia ed espresse critiche acute alla degenerazione staliniana dell’Unione Sovietica.
In Francia prese contatti nel mondo universitario, in particolare con i giuristi Julien Bonnecase e Roger Bonnard (Università di Bordeaux), Etienne Cayret e Maurice Hauriou (Università di Tolosa) e maturò un forte interesse per Georges Gurvitch, teorico del diritto sociale. Mentre la sua riflessione giuridica compiva una svolta giusnaturalista, accentuando la polemica contro il neopositivismo di Hans Kelsen e Léon Duguit, su queste nuove basi si dedicò all’analisi del regime fascista tra il 1929 e il 1931. Il primo libro, pubblicato in esilio, fu L’aventure italienne. Légendes et réalités (Paris 1928), che mirava a dimostrare l’accidentalità del fascismo nella storia italiana, in polemica con la tesi gobettiana dell’«autobiografia della nazione». In Les transformations récentes du droit publique italien de la charte de Charles-Albert à la création de l’état fasciste (Paris 1929), proponeva un’indagine rigorosa circa l’impatto distruttivo che l’avvento del movimento fascista aveva avuto sullo stato di diritto. In questa chiave coglieva le tendenze generali della crisi giuridica e istituzionale del dopoguerra europeo, che l’avvento del regime fascista aveva rappresentato in una versione particolarmente violenta. Questo tema fu poi ripreso e approfondito in Antidémocratie (Paris 1930), pubblicato da quella stessa casa editrice Valois che un mese dopo pubblicò Socialisme libéral (Paris 1930) di Carlo Rosselli (nella collana Suite politique italienne). Facendo un’ampia ricognizione della storia europea, Trentin identificava la civiltà dell’Europa con la democrazia e il fascismo con la sua negazione radicale. Nel 1931 diede poi alle stampe a Parigi un testo già pronto dal 1929, Aux sources du fascisme, in cui esplorava le radici europee della crisi della democrazia.
Dopo aver liquidato l’impresa agricola per difficoltà finanziarie, nel 1931 fu assunto come collaboratore nella tipografia Bouquet, subendo quella che egli stesso definì «una proletarizzazione forzata» (Sugli obiettivi della rivoluzione italiana, in Problemi della rivoluzione italiana, marzo 1934, n. 21-22, ora in Antifascismo e rivoluzione. Scritti e discorsi 1927-1944, a cura di G. Paladini, Venezia 1985, p. 252). Dopo aver partecipato allo sciopero del 1° maggio 1934 fu licenziato e nel gennaio successivo ottenne la licenza commerciale per aprire una libreria, la Librairie du Languedoc, che presto sarebbe diventata il centro di riferimento dell’antifascismo a Tolosa. Dal febbraio del 1938, per ragioni economiche, ne lasciò la proprietà, ma non la gestione.
Nel quadro della crisi della Repubblica di Weimar e della conquista del potere nazista, dell’ascesa delle forze nazionaliste francesi e della repressione della Comune di Vienna, intraprese un percorso di radicalizzazione politica e delineò una prospettiva di collettivismo federalista che consegnò alle Riflessioni sulla crisi e sulla rivoluzione, pubblicate a Marsiglia nel 1933, ma composte alla fine del 1932 e sviluppate in altri saggi del 1934-35. Intanto strinse un legame personale e politico con un importante dirigente di GL, Emilio Lussu, suo ospite ad Auch nell’inverno 1933-34. Nell’articolo Bisogna decidersi (Quaderni di GL, gennaio 1934, pp. 99-108), proponendo una posizione che divergeva da quella del gruppo parigino, e che convergeva con quella di Lussu, Trentin rivendicò il carattere classista dell’antifascismo, escludendo la possibilità di un ruolo storicamente positivo delle classi medie. In questo percorso di radicalizzazione espresse una sempre più aperta ammirazione per le realizzazioni dell’URSS (a partire dal Piano quinquennale) ed elogiò la nuova costituzione sovietica del 1936, intesa – o meglio, fraintesa – come premessa di un’evoluzione democratica del regime di Stalin.
Seguì con partecipazione le vicende della guerra civile spagnola e la sua libreria a Tolosa si trasformò in un centro di propaganda per la Repubblica e di raccolta del volontariato; fece anche due soggiorni in Catalogna (settembre-ottobre 1936; dicembre 1937). In quelle circostanze ebbe occasione di stringere legami con Camillo Berneri, l’anarchico italiano che fu poi travolto dalle repressioni staliniane. Mentre era sottoposto a stretta sorveglianza da parte degli agenti del consolato generale d’Italia a Tolosa, su di lui cadde il sospetto che fosse in procinto di preparare un attentato contro Mussolini, recuperando la tradizione terroristica della prima GL, mentre prestava assistenza verso i profughi provenienti dalla Spagna dopo la caduta di Barcellona.
Tra il 1937 e il 1940 riprese la prospettiva dell’ultimo Rosselli, condividendo la sua preoccupazione per l’unità delle diverse famiglie politiche della sinistra italiana, rivendicando la prospettiva di «un unico grande Partito socialista» (S. Trentin, L’ostacolo, Giustizia e Libertà, 18 giugno 1937, p. 4). Espresse perciò il suo appoggio all’Unione popolare, formazione a guida comunista, mentre Lussu era ben più diffidente. Pur criticando il patto Ribbentrop-Molotov dell’agosto 1939, mostrò comprensione per la politica sovietica, perché aveva perso fiducia nelle democrazie occidentali dopo gli accordi di Monaco del settembre 1938. Dal giugno del 1940 la sua casa diventò il rifugio degli esuli (come Nitti) che avevano lasciato Parigi al momento dell’invasione nazista.
Il ripensamento delle fondamenta giuridiche della democrazia – ispirato, nel suo nucleo germinale, da Pierre-Joseph Proudhon – fu alimentato da una riflessione intorno alla crisi del diritto positivo nell’Italia e nell’Europa del dopoguerra, che fu condensata nello scritto del 1935 La crise du droit et de l’État. Il suo progetto di nuovo Stato delineava una struttura complessa del nuovo ordine che mirava a superare il collettivismo burocratico e insieme il capitalismo in cui sono compresenti i principi della rappresentazione politica, fondata sugli interessi generali dei cittadini, e della rappresentanza degli interessi o funzionale, basata sulla molteplicità di categorie produttive e professionali. Per individuare le radici della «crisi politica contemporanea», Trentin esplorò la lunga storia dello Stato moderno in Stato, nazione, federalismo (composto nell’autunno-inverno 1939 e pubblicato a Milano nel 1945). Il suo schema interpretativo individuava nella Grande Guerra il momento culminante dello Stato monocentrico e autoritario in quanto dotato di sovranità assoluta: per restituire all’Europa l’autonomia degli individui e dei gruppi sociali, occorreva avviare una rivoluzione emancipatrice e federalista. In quegli stessi mesi abbozzò il manoscritto L’abdicazione della Francia o la fine di un mondo. Note di un sopravvissuto (datato 1° ottobre 1940), in cui analizzava le responsabilità politiche e militari della classe dirigente repubblicana e la sua disponibilità a collaborare con il nuovo ordine fascista. Su questa linea proseguì la sua riflessione durante la Resistenza, racchiusa in due abbozzi di future costituzioni federali per la Francia e per l’Italia. Trentin definiva il suo sistema un «regime dei consigli», «concepiti e ordinati quali mezzi di espressione diretta e quali organi di esercizio dell’autonomia istituzionale propria dei centri di vita collettiva» (Scritti inediti..., a cura di P. Gobetti, 1972, p. 297).
Tra il 1940 e il 1941 si avvicinò ai primi nuclei della Resistenza francese, facendo da anello di collegamento tra gli agenti britannici dello Special operations executive e il Réseau Bertaux (dal nome del suo capo, Pierre Bertaux, un giovane professore di germanistica all’Università di Tolosa). Nell’aprile-maggio del 1941, per iniziativa dell’Italian emergency rescue committee – creato nel novembre del 1940 e gestito da Lionello Venturi, Roberto Bolaffio e Alberto Tarchiani – si prospettò per Trentin la possibilità di andare a insegnare negli USA, presso la New School for social research, ma la proposta, pur presa in considerazione, fu rigettata per volontà di continuare la lotta politica, oltre che per complicazioni nella sua condizione di salute.
Fu uno degli animatori del gruppo antifascista Libérer et fédérer e il teorico principale del giornale clandestino Libérer et fédérer. Organe du mouvement révolutionnaire pour la libération et la reconstruction de la France, pubblicato dal 14 luglio 1942. Nel dicembre dello stesso anno, temendo un arresto imminente, entrò in clandestinità; tra la fine di marzo e l’inizio di aprile del 1943 si rifugiò nel Lauragais (a Lauriac-de-Vendivelle, poi a Nailloux), più sicuro di Tolosa, pur mantenendo i contatti con Libérer et fédérer.
In quanto rappresentante di GL partecipò a un comitato d’azione che comprendeva anche rappresentanti del PCI (Emilio Sereni, Giuseppe Dozza) e del PSI (Giuseppe Saragat, Pietro Nenni), contribuendo agli appelli per l’unità antifascista delle forze politiche italiane lanciati nell’ottobre del 1941 e nel marzo del 1943. Tornò in Italia con la famiglia in modo legale, con la concessione dei visti che gli consentirono di varcare la frontiera italo-francese e di giungere in treno a Treviso, il 5 settembre. Operò attivamente per l’organizzazione politica e militare di nuclei di resistenza nel Veneto, insieme a Concetto Marchesi e a Egidio Meneghetti. Il senso della sua partecipazione all’incipiente Resistenza fu racchiuso nell’Appello ai Veneti guardia avanzata della nazione italiana. Il 12 novembre 1943 fu arrestato dalla polizia fascista; liberato per ragioni di salute, fu ricoverato presso l’ospedale Elena di Savoia a Treviso. L’11 (o il 12) febbraio 1944 fu trasferito alla clinica Carisi, a Monastier (tra Treviso e San Donà), dove i suoi problemi cardiaci peggiorarono: morì il 12 marzo.
Opere. Oltre quelle citate: Scritti inediti: testimonianze, studi, a cura di P. Gobetti, Parma 1972; Politica e amministrazione. Scritti e discorsi 1919-1926, a cura di M. Guerrato, Venezia 1984; Antifascismo e rivoluzione. Scritti e discorsi 1927-1944, a cura di G. Paladini, Venezia 1985; Federalismo e libertà. Scritti teorici 1935-1943, a cura di N. Bobbio, Venezia 1987; Diritto e democrazia. Scritti sul fascismo 1928-1937, a cura di G. Paladini, Venezia 1988.
Fonti e Bibl.: Le sue carte d’archivio sono conservate presso il Centro documentazione e ricerca Trentin, a Venezia, il Centro studi Silvio Trentin di Jesolo e il Centro studi Piero Gobetti di Torino. Quest’ultimo conserva il manoscritto L’abdicazione della Francia o la fine di un mondo.
F. Rosengarten, S. T. dall’interventismo alla Resistenza, Milano 1980; S. T. e la Francia: saggi e testimonianze, a cura di G. Paladini, Venezia 1991; P. Arrighi, S. T. Un européen en Résistance (1919-1943), Porter sur Garonne 2007; F. Cortese, Libertà individuale e organizzazione pubblica in S. T., Milano 2008; C. Verri, Guerra e libertà. S. T. e l’antifascismo italiano (1936-1939), Roma 2011; Liberare e federare. L’eredità intellettuale di S. T., a cura di F. Cortese, Firenze 2016.