PASSERINI, Silvio
PASSERINI, Silvio (Filippo Silvio). – Nacque a Cortona nel 1469 da Rosado e da Margherita Del Braca.
La famiglia Passerini era insediata a Firenze dall’ultimo quarto del XII secolo. Il ramo cortonese aveva avuto origine da Giunta, esiliato da Firenze prima della metà del XIII secolo. Tra i suoi discendenti si distinse Mariotto, notaio pubblico di Cortona (assoggettata dal 1411 a Firenze). Suo figlio Rosado raggiunse la carica di priore del Comune nel 1486.
Passerini fu inviato in giovane età presso la corte di Lorenzo il Magnifico. Presa la laurea in utroque iure, dopo la caduta dei Medici nel 1494, seguì il secondogenito di Lorenzo, il cardinale Giovanni, sia nel suo esilio da Firenze sia nel suo rientro a Roma (maggio 1500); quindi, lo accompagnò nell’incarico di legato pontificio presso l’esercito che muoveva contro i francesi; nella primavera del 1512, ne condivise le sorti quando, alla battaglia di Ravenna, prima cadde prigioniero e poi tornò fortunosamente libero.
Il 23 luglio 1512 fu nominato protonotario apostolico. Eletto Giovanni de’ Medici papa l’11 marzo 1513 (con il nome di Leone X), ne divenne cameriere e commensale; quindi, dal giugno 1513, fu preposto alla Dataria. Tenne saldamente in mano le redini dell’ufficio, competente sulle concessioni pontificie emanate con bolla, soprattutto in materia beneficiale: in particolare, mise a punto le attività di registrazione delle suppliche pervenute. Nominato primo canonico e rettore del capitolo della cattedrale di Cortona, entrò in possesso di ricchi benefici, fra cui le entrate della basilica ravennate di S. Martino In coelo aureo, la commenda dell’abbazia olivetana di Farneta, presso Cortona, e pensioni per un totale di 150 scudi d’oro annui. Il 1° luglio 1517 fu creato cardinale (con il titolo di S. Lorenzo in Lucina): nell’occasione corsero voci che avesse pagato 20.000 ducati al pontefice. Leone X gli affidò presto incarichi di fiducia: sfumata nel febbraio 1518 l’ipotesi di una missione in Francia come legato apostolico, alla fine del mese successivo Passerini fu inviato ad Ancona per migliorarne le difese e per vigilare sulla riscossione dei tributi; quindi, in maggio, istruì il processo per i disordini verificatisi ad Anagni tra le fazioni aristocratiche. Infine, quando – alla fine dell’estate 1519 – il cardinale Giulio de’ Medici lasciò Firenze (di cui controllava il governo dopo la morte di Lorenzo duca d’Urbino), Passerini vi fu inviato al suo posto.
Partì l’11 settembre 1519, dopo che – con bolla del 26 marzo dello stesso anno – era stato creato conte di Petrignano, in Umbria. A Firenze governò autonomamente, senza collaborare con le istituzioni del Comune: probabilmente per questo, nel febbraio 1520, dopo esplicite pressioni della signoria, fu richiamato presso la Curia pontificia. Nel dicembre successivo fu nominato legato di Perugia. Assunse l’incarico solo nel maggio 1521 e avviò nella città – sconvolta da contrasti interni alla famiglia Baglioni – una dura politica di repressione. Nell’agosto successivo era in procinto di raggiungere l’esercito pontificio inviato contro i francesi in Lombardia; tuttavia, arrivato al campo il cardinale Giulio de’ Medici, fu nuovamente inviato a Firenze per riprendere le redini del governo. In questa veste, quando gli giunse la notizia della morte di Leone X (1° dicembre 1521), varò corpose misure di sicurezza. Fu invece Perugia a conoscere un violento rivolgimento: il 6 gennaio 1522, infatti, fu conquistata dai fuoriusciti Orazio e Malatesta Baglioni e i capi della fazione filopontificia, Gentile Baglioni e Vitello Vitelli, ne furono cacciati.
Passerini era in quel momento a Roma, dove il 27 dicembre 1521 si era aperto il conclave. Nei primissimi giorni, dopo qualche voto nei primi quattro scrutini, la sua elezione a pontefice parve non impossibile. Ascese invece al soglio – il 9 gennaio – l’assente cardinale Adriano Florisz (Adriano VI). Il quadrante umbro-toscano richiamò subito Passerini all’attività politico-militare: dopo che Malatesta, Orazio Baglioni e i loro alleati si erano mossi contro il governo del cardinale Raffaello Petrucci a Siena, il cardinale Giulio de’ Medici, rientrato a Firenze, predispose un soccorso armato in suo favore con la supervisione di Passerini. Tuttavia, nonostante qualche successo colto nel Senese, egli si occupò soprattutto di sovrintendere allo sganciamento dalle operazioni dell’esercito fiorentino, comandato da Giovanni de’ Medici. Riuscì comunque a concludere un accordo tra Gentile e Orazio Baglioni (il 9 febbraio 1522), perfezionato il 19 aprile seguente.
Il 2 aprile Passerini era solennemente entrato in Cortona, di cui era vescovo dal 21 novembre 1521. Il 21 agosto si trovava a Pisa, con i cardinali Medici, Petrucci, Giovanni Piccolomini e Niccolò Ridolfi, per ricevere Adriano VI in arrivo dalla Spagna. Il pontefice, oltre a nominarlo abate commendatario di Subiaco, lo confermò legato di Perugia e dell’Umbria, dandogli poteri ancora più ampi per il mantenimento dell’ordine pubblico. Essendo però spirato già il 14 settembre 1523, il 1° ottobre Passerini entrò nel difficile conclave che portò all’elezione del cardinale Giulio de’ Medici. Il neoeletto Clemente VII puntava a mantenere il governo della Repubblica fiorentina sotto il dominio della sua famiglia. Le ambizioni dinastiche si scontravano però con la critica congiuntura del casato: due soli erano i candidati potenziali, gli illegittimi Ippolito e Alessandro, entrambi di giovane età. Clemente VII decise di inviarli a Firenze, affidandoli alla tutela di Passerini, già confermato, il 23 dicembre 1523, legato di Perugia e dell’Umbria.
Giunto con Ippolito de’ Medici a Firenze l’11 maggio 1524 (l’anno seguente lo avrebbe raggiunto Alessandro), Passerini fu accolto da sfarzose cerimonie in suo onore. Oltre alla carica di legato apostolico, ebbe la cittadinanza fiorentina e si insediò nel palazzo Medici di via Larga. Si consultava frequentemente con il pontefice nel merito delle questioni e in modo più formale che sostanziale con gli organi di governo fiorentini (gli Otto di pratica e, più raramente, i Dieci di Balìa). I primi giudizi sul suo governo furono nel complesso positivi. In un secondo momento, però, stretto dalle necessità finanziarie, dovette accentuare la pressione fiscale, varando nuove imposte che colpirono anche il clero e le arti. Le misure si dimostrarono oltremodo urgenti dopo la conclusione della lega di Cognac e l’inizio della guerra fra il papa (e i suoi alleati) e l’imperatore Carlo V.
La calata in Italia dei lanzichenecchi guidati da Charles de Bourbon, nell’autunno 1526, provocò il deterioramento del quadro politico a Firenze. Passerini dapprima tentò di affrontare la situazione con nuove misure fiscali, in particolare con l‘imposizione di tributi straordinari per altri 100.000 scudi. Per tutto l’inverno 1527 poté così prepararsi alla difesa della città. Fu la tregua conclusa da Clemente VII con il viceré di Napoli Charles de Lannoy a metà marzo a provocare un nuovo scenario. L’armistizio – molto criticato in città – fu ratificato anche per Firenze il 29 marzo 1527. L’esecuzione degli accordi per la tregua, comprendenti il versamento di forti somme agli imperiali, risultò però più difficoltosa del previsto e i lanzichenecchi ripresero a muoversi minacciando la Toscana già all’inizio del mese successivo. Il consenso degli ottimati al governo mediceo, dopo un ultimo tentativo di fermare i nemici che sarebbe costato alla Signoria 40.000 scudi, si esaurì. Il clima generale divenne tesissimo: il 26 aprile i lanzichenecchi erano a venti miglia da Firenze; nella stessa mattinata si distribuirono le armi per le milizie cittadine che era stato necessario istituire. Quando Ippolito de’ Medici, Passerini, i cardinali Innocenzo Cibo e Niccolò Ridolfi uscirono da Firenze per incontrare il comandante della lega Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino, si sparse la voce che il regime mediceo era caduto. Ne scaturirono violenti disordini (noti come il tumulto del venerdì) e il palazzo della Signoria fu preso da 300 uomini armati. Passerini – appresa la notizia – incitò tutti a un veloce rientro e inviò in città un contingente di cavalleggeri, approfittando del fatto che una delle porte era stata lasciata sguarnita. Seguirono alcune ore di combattimenti: un accordo che prevedeva l’indulto generale per gli insorti pose fine alla rivolta. Sia Guicciardini sia Della Rovere si attribuirono il merito del veloce successo, ma secondo il testimone Fabrizio Peregrino (che scrisse ad Alessandro de’ Medici il 27 aprile 1527) «la prudentia et la sapientia del R.mo Corthona che in vero è stata grande ci ha salvati tutti, et ha hora dimostrato quanto sa far et quanto li vaglia» (Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del Principato, filza 126, c. 80v).
Una nuova sollevazione generale parve imminente quando l’11 maggio 1527 arrivò a Firenze la notizia del sacco di Roma. Passerini tentò in extremis una riforma istituzionale: alla metà di maggio, fece convocare settanta eminenti cittadini fiorentini e raddoppiò il numero degli Otto di pratica. Costoro, però, si riunirono senza di lui, eleggendo sette cittadini per quartiere. I 28 eletti, a loro volta, decisero che la città si sarebbe retta come prima del 1512, con i Medici ridotti a privati cittadini.
Passerini fu allora costretto a preoccuparsi della sorte di Ippolito e di Alessandro de’ Medici. Il 17 maggio uscì con loro da Firenze. Dopo una sosta nella villa medicea di Poggio a Caiano, fu a Pistoia e poi a Lucca. Solo dopo esser passato per Pisa (qualche tensione era creata dal suo rifiuto di consegnare alla nuova Signoria fiorentina le fortezze di Pisa e Livorno), tornò all’attività politica: il 17 luglio, insieme con il cardinale Cibo, entrò a Parma. Qui rimase per tutto l’autunno partecipando alle trattative per far entrare il duca di Ferrara Alfonso I nella lega di Cognac (concluse con successo a metà novembre). Quindi, nell’estate 1528 raggiunse il Mantovano: contattato da Andrea Del Borgo, oratore imperiale, ricevette la richiesta di far passare il papa dalla parte di Carlo V. Non ne scaturirono però novità di rilievo.
Prima della fine dell’anno rientrò nella sua legazione perugina e cadde malato. Dopo un fugace miglioramento e un viaggio a Roma, forse per tentare di giustificare la proprio condotta presso il papa, Passerini morì a Città di Castello il 20 aprile 1529. Fu sepolto nella cattedrale; nel 1581 la salma fu traslata nella basilica romana di S. Lorenzo in Lucina.
Passerini aveva continuato a cumulare benefici ecclesiastici. Particolarmente consistenti erano le rendite della diocesi di Sarno (assegnategli il 7 maggio 1518) e di Assisi (il 16 giugno 1526). Era stato altresì nominato vescovo di Barcellona il 28 luglio 1525; tuttavia, la presa di possesso della diocesi catalana fu contrastata da Carlo V fino all’anno successivo. Degli spogli scaturiti dalla sua morte la Camera apostolica rientrò in possesso solo dopo l’intervento del papa, che con motu proprio del 4 maggio 1529 intimò a Bindo Altoviti di restituire i 2745 ducati d’oro della Camera che aveva illecitamente trattenuto.
Sulla base delle consistenti dotazioni finanziarie, Passerini nutrì interessi artistici. In occasione della visita di Leone X a Cortona nel 1515, commissionò un ricchissimo parato liturgico, del quale Andrea Del Sarto e Raffaellino Del Garbo realizzarono i disegni preparatori: di manifattura fiorentina, esso era composto da dodici pezzi in velluto laminato d’oro e broccato. Fece poi iniziare importanti restauri nel palazzo del Popolo di Cortona, cedutogli dai Capitani della Parte guelfa nel febbraio 1514. Qui Guillaume de Marcillat – fra il 1515 e il 1517 – realizzò 44 finestre con vetri colorati (di cui otto con raffigurazioni di Virtù personificate) e dipinse sulla facciata in chiaroscuro i fondatori di Cortona. Sempre nel territorio della città natale (in località Fontecumula), Passerini fece erigere una grande villa. I lavori di quello che sarebbe stato conosciuto come il Palazzone di Cortona iniziarono nel 1521 sotto la guida di Giovan Battista Caporali. Fra il 1524 e il 1525 un allievo di Giulio Romano molto aggiornato sugli sviluppi pittorici romani, Tommaso Bernabei (detto il Papacello), decorò a fresco il salone d’onore con sedici scene di storia romana nella parte superiore e vedute prospettiche nella parte inferiore. La decorazione degli altri ambienti continuò fino al 1527. Nella cappella privata fu invece l’ultimo Luca Signorelli a impostare gli affreschi, con scene dalla vita di Cristo e di profezie del Vecchio Testamento.
Fino alla fine del XIX secolo si riteneva che Passerini fosse stato ritratto da Raffaello Sanzio in quello che attualmente è conosciuto come il Ritratto del cardinale Alessandro Farnese (Napoli, Museo di Capodimonte). Una sua effigie è conservata nel citato monumento funebre di S. Lorenzo in Lucina a Roma.
Fonti e Bibl.: Archivio diplomatico della nobile famiglia Passerini di Cortona, in Incunaboli e libri rari, 1974, II semestre, pp. 54-68 (unico esemplare noto nel Kunsthistorisches Institut in Florenz, segn. G.2160.b); Carteggi delle Magistrature dell’età repubblicana. Otto di pratica, Firenze 1987-96, ad indices.
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