NEGRO, Silvio
NEGRO, Silvio. – Secondogenito di Raffaele e di Angela Filomena Cavaliere, nacque il 15 aprile 1897 a Chiampo, in provincia di Vicenza, in una tipica famiglia patriarcale contadina.
Il padre, agricoltore, fu anche sindaco del paese. Dal matrimonio con Angela Filomena, celebrato il 29 novembre 1893 nella parrocchia di S. Martino, nacquero sette figli, di cui tre morirono in tenera età.
Dietro consiglio del parroco, amico di famiglia, e del maestro elementare, Negro venne mandato a studiare presso il collegio vescovile di Thiene. Poiché si adattava difficilmente alla vita in collegio, la famiglia decise di farlo tornare a casa; ripetuta la quinta classe, fu iscritto all’istituto tecnico Vallisneri di Vicenza, per poi passare al liceo classico Pigafetta, dopo un anno da privatista, durante il quale si dedicò in particolare allo studio del latino e del greco. Dopo il trasferimento della famiglia nella frazione di Arso, i genitori decisero di farlo alloggiare nel pensionato scolastico Baggio, in Motton San Lorenzo, il cui fondatore nonché direttore, don Luigi Gerevini, ebbe una parte importante nella sua preparazione al nuovo percorso di studi e, essendo molto attivo nel campo giornalistico, lo influenzò anche nella scelta della futura carriera.
Durante la prima guerra mondiale fu ufficiale di artiglieria da montagna nella 140a batteria, di stanza sull’Altopiano di Asiago, a una sessantina di chilometri da Chiampo. Come tutti i coetanei, sostenne l’esame di maturità a conflitto terminato, quando ricevette anche decorazioni per meriti di guerra. Successivamente si iscrisse alla facoltà di lettere presso l’Università di Padova, sistemandosi in quella città, in Prato della Valle. Nel periodo universitario coltivò quella che ormai non era più definibile come una semplice passione per la scrittura, pubblicando anche alcune poesie firmate con lo pseudonimo «Orsobruno» (in Guarda, 1989, p. 26) nella rivista goliardica patavina Il Bò, e allargò i suoi interessi frequentando il caffè Pedrocchi di Padova, storico luogo di incontro di intellettuali, accademici e uomini politici, e il salotto vicentino di Maria Fogazzaro, figlia dello scrittore Antonio. In questo periodo strinse e consolidò amicizie importanti come quelle con lo scrittore e futuro presidente della Rai Novello Papafava dei Carraresi, con i fratelli Wart e Khayël Arslan e con Henry Furst.
Nella sessione del marzo 1922 si laureò a pieni voti cum laude con la tesi Canti carnascialeschi e mascherate fiorentine nei secoli XV e XVI (relatore Giovanni Bertacchi), nella quale passò in rassegna questo genere musicale quattrocentesco, inserendo in appendice anche alcuni canti e trionfi inediti. Lo studio condotto per la tesi gli permise di vincere il premio biennale Fusinato, che gli valse una borsa di studio mensile di perfezionamento. Grazie alla borsa, dopo una brevissima prova d’insegnamento a Oderzo, in provincia di Treviso, si trasferì a Roma dove iniziò una collaborazione che avrebbe segnato la sua carriera di giornalista e futuro vaticanista con L’Osservatore romano, permettendogli anche di allargare la cerchia di conoscenze e di prendere confidenza con l’ambiente romano. Proprio in quei primi mesi del 1922 il conte Giuseppe Dalla Torre, direttore del quotidiano della S. Sede, chiamò a Roma come caporedattore don Gerevini, il quale fece entrare Negro nella redazione. La sua collaborazione con il quotidiano vaticano durò fino all’autunno del 1923, quando il neodirettore de L’Italia Leone Gessi gli propose di trasferirsi a Milano per lavorare a quel foglio cattolico, dove rimase fino al 1926.
A Milano iniziò a gravitare attorno al gruppo de IlCaffè, la rivista antifascista nata nel 1924 per iniziativa, tra gli altri, di Riccardo Bauer e Ferruccio Parri, alla quale collaborava in quegli anni anche un altro scrittore vicentino, Filippo Sacchi. Negro vi pubblicò alcuni articoli tra il 1924 e il 1925. Poco dopo essere stato assunto a L’Italia, presentò domanda al Corriere della sera, dove riuscì a entrare, dopo un primo rifiuto da parte di Luigi Albertini, nel marzo 1926 e dove rimase fino alla morte. Dopo la gavetta nella cronaca della redazione milanese con i primi articoli non firmati, si guadagnò pian piano la sigla, fino ad arrivare a conquistare la firma completa. Risale al 1931 l’episodio fortuito che lo trasformò in celebre giornalista fondatore di un genere, quello dell’informazione religiosa. Il responsabile delle questioni vaticane da Roma Francesco Turchi, le cui cronache già più volte avevano lasciato insoddisfatta la direzione, omise di riferire la notizia di un’uscita di papa Pio XI fuori dalle mura vaticane e fu licenziato. Per coprire il posto lasciato vacante, il direttore Aldo Borelli scelse Negro, che andò a stabilirsi in modo definitivo nella capitale.
Fino ad allora, nei quotidiani laici e liberali non era prevista la figura del giornalista specializzato nelle questioni religiose e le notizie sul Vaticano erano seguite in modo piuttosto superficiale. Il Corriere della sera fu uno dei primi quotidiani a dare spazio all’interno della redazione a questo genere di informazionie e Negro fu il «caposcuola dei successivi vaticanisti», che marcò con il suo approccio «rispettoso e colto» (Marazziti, 1990, pp. 9 s.) un nuovo modo di fare cronaca religiosa.
Il punto di osservazione privilegiato che la sua posizione al giornale gli garantiva, gli stretti rapporti con gli ecclesiastici romani e la fine conoscenza della storia vaticana gli permisero non solo una intensa attività di pubblicista, ma anche la scrittura di numerose opere: nel 1936 diede alle stampe Vaticano minore per la casa editrice Hoepli – pagine consacrate al piccolo Stato, dalla breccia di Porta Pia al concordato del 1929, ma senza trascurare le curiosità e i particolari, che ne fanno anche un importante libro di storia del costume – con il quale vinse il Premio Bagutta nel 1937; nel 1940 preparò L’ordinamento della Chiesa cattolica per Bompiani, mentre nel 1943 pubblicò Seconda Roma per Hoepli.
Cattolico liberale, attraversò indenne il ventennio fascista, non compromettendosi in modo esplicito e arrivando a una evidente rottura solo dopo l’armistizio nel 1943, quando, per evitare di tornare in una Milano in piena occupazione nazifascista, rassegnò le dimissioni assieme ad altri suoi colleghi, avviando nel frattempo una collaborazione con il quotidiano Risorgimento Liberale e con Epoca . Tornò al Corriere solo a guerra conclusa, questa volta come capo dell’ufficio romano: il suo primo articolo del 1945 porta la data del 1° agosto.
Qualche mese prima, il 25 aprile, giorno della Liberazione e festa di S. Marco, si era sposato nella cappella dei canonici in S. Pietro con Lucilla de Fabii, dopo aver ottenuto la dispensa necessaria per la celebrazione di un matrimonio misto (Lucilla era infatti di famiglia protestante). Dall’unione nacquero due figli, Fabio e Angela.
Dal dopoguerra si distinse come una delle penne più importanti del Corriere della sera, non solo per le questioni vaticane. Coltivò intanto altre passioni: oltre a essere uno studioso di Gioacchino Belli, fu un importante collezionista di fotografie d’epoca, soprattutto romane, così da corredare ogni suo libro con un non banale apparato iconografico. Nel 1953 curò una mostra a palazzo Braschi (dove tutt’ora sono conservate le sue collezioni, nel Fondo Negro) e tre anni più tardi pubblicò Album romano. Fotografie di un secolo.
Nel 1958 venne nominato presidente dell’Ente Ville Venete. Infatti, sebbene Roma di fatto lo avesse adottato, il legame con la sua terra natale non si esaurì mai. Un omaggio sofferto alle sue radici vicentine, alla sua infanzia e a quelle terre contadine è il volume La stella Boara, nel quale la moglie raccolse una serie di scritti inediti e che uscì postumo nel 1964.
Morì a Roma il 3 novembre 1959. Quello stesso giorno, sul Corriere della sera, uscì il suo ultimo articolo, dedicato alla morte del cardinale Federico Tedeschini.
Opere: Per l’elenco completo delle opere e degli articoli si rimanda alla tesi di laurea di P. Ghirga, S. N. giornalista e scrittore, Università di Padova, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1980-81, pp. 193-295. In appendice, anche alcuni stralci del diario di Negro del periodo 1935-45.
Fonti e Bibl.: E. Radius, Cinquant’anni di giornalismo, Milano 1969; G. Licata, Storia del Corriere della sera, Milano 1976, ad ind.; A. Arslan, «Venezia bella»: echi di antiche polemiche in un inedito di S. N., in Ventitré aneddoti raccolti nell’Istituto di filologia e letteratura italiana dell’Università di Padova, a cura di G. Auzzas - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1980, pp. 103-107; A.M. Mutterle, Giacomo Zanella e S. N., in Annali di Ca’ Foscari, XXVI (1987), 1-2, pp. 193-226; L. De Fabii Negro, Ricordi in un quaderno, Roma 1987; G. Guarda, S. N. Testimonianze, ricordi, riflessioni nel 30° della scomparsa (1959-1989), Vicenza 1989; M. Marazziti, I papi di carta, Genova 1990, pp. 7-13, 41s.; A. Peretti, Le radici chiampesi di S. N., in Odeo Olimpico, XXI (1991-94), pp. 163-171; G. Afeltra, La porta stretta di via Solferino, in Corriere della sera, 15 dicembre 2000; E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, Soveria Mannelli 2005, pp. 365-371; Filippo Sacchi e S. N. scrittori-giornalisti vicentini del Novecento, a cura di A. Chemello, Venezia 2001, pp. XV-XX, 45-80, 101-117.