MAGNAGO, Silvio
(Silvius)
Nacque a Merano il 5 febbraio 1914 da Silvio e da Helene Redler, secondogenito tra Maria, nata nel 1913, e Selma, nata nel 1916.
Il padre era nato a Rovereto, la seconda città del Trentino, che fino al 1918 faceva parte della monarchia austro-ungarica. Lì aveva coperto la carica di giudice (k. k. Oberlandesgerichtsrat), trasmettendo al figlio uno spiccato senso del diritto e della cultura giuridica. La madre, proveniente dal Land Vorarlberg in Austria, era di buona famiglia borghese; suo fratello diventò nel 1930 presidente della Provincia del Vorarlberg.
A casa si parlava il tedesco, lingua ufficiale della parte occidentale dell'Impero. Dopo un periodo a Merano, nel 1915 la famiglia si trasferì a Bolzano, città principale del Tirolo meridionale, dove il padre di Magnago assunse la posizione di presidente del Tribunale. A Bolzano, all’età di quattro anni, Magnago fu testimone oculare della ritirata delle truppe austro-ungariche nel novembre del 1918. In Alto Adige, annesso all’Italia nell’ottobre del 1920 a seguito del trattato di St. Germain del settembre 1919, la minoranza di lingua tedesca e ladina sin dall’avvento del fascismo subì le spinte di omologazione e di snazionalizzazione della propria lingua e della propria cultura. Il padre di Magnago, rifiutando l’iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF), si fece collocare a riposo nel 1929.
Il figlio, dopo tre anni di scuola madrelingua a Bolzano, frequentò la scuola elementare Regina Elena in lingua italiana, introdotta sin dal 1923, e in seguito il ginnasio, conseguendo la maturità nel 1936. Seguì l’iscrizione all’Università di Bologna nella facoltà di giurisprudenza, dove si laureò nel 1940 con un 'dottorato di guerra' in forma orale sul tema 'I reati contro la razza e il patrimonio biologico ereditario nella legislazione nazionalsocialista'.
Durante il servizio militare, prestato a Roma presso il primo Reggimento granatieri, nel maggio del 1938 Magnago assisté alla visita di Hitler a Mussolini, e ascoltò la dichiarazione del dittatore tedesco di non voler violare il confine del Brennero dopo l’annessione dell’Austria, l’Anschluss, avvenuta nel marzo dello stesso anno. Il giovane Magnago mantenne un atteggiamento di prudenza: pur non accettando la politica di omologazione e di snazionalizzazione del regime fascista contro i sudtirolesi, considerati 'allogeni', e osservando con simpatia l’ascesa del terzo Reich, non fece parte dei gruppi criptonazisti presenti fin dal 1933 nella provincia di Bolzano sotto il nome di Völkischer Kampfring Südtirol.
A seguito dell’accordo Italo-tedesco firmato a Berlino nel giugno del 1939, la popolazione di lingua tedesca e ladina della provincia di Bolzano fu posta davanti a un’alternativa cruciale. Per risolvere l’annosa questione sudtirolese, i due governi offrirono due opzioni: scegliere la cittadinanza tedesca emigrando nel Reich, oppure mantenere la cittadinanza italiana. In tal modo – così sperava il governo italiano – molti del gruppo di lingua tedesca e ladina avrebbero lasciato la provincia e sarebbe venuto meno l’irredentismo e il pangermanesimo crescente sul territorio. Dal trasferimento di molti sudtirolesi nel Reich, la parte germanica si aspettava l’arrivo di manodopera qualificata e di nuovi arruolati per l’esercito tedesco. In linea di massima si trattava di un’operazione di 'pulizia etnica', a vantaggio soprattutto del Reich nazista, mentre per il regime fascista l’esito delle opzioni, concluse in gran parte il 31 dicembre 1939, si rivelò una débacle, una sconfitta pesante per la politica di omologazione etnica. Circa l’86% dei sudtirolesi aventi diritto optò per la cittadinanza tedesca; dei 220.000 sudtirolesi di lingua tedesca e ladina circa 75.000 emigrarono effettivamente.
Magnago scelse la cittadinanza tedesca, spinto dalle esperienze col fascismo sul territorio e attratto dalle prospettive offerte dal Reich. Dal 12 luglio 1940 al 10 gennaio 1943 fu collaboratore giuridico presso la Commissione per la stima dei Beni degli optanti per la Germania, uno dei numerosi riferimenti amministrativi tedeschi in Alto Adige. Chiamato alle armi dall’esercito tedesco l'11 gennaio 1943, Magagno fu arruolato in una unità della Wehrmacht, i cacciatori della montagna (Gebirgsjäger) e inviato sul fronte sovietico. Nel corso di un combattimento a Nikopol, nel dicembre del 1943, fu ferito gravemente e perse la gamba destra. Scampò alla morte anche per merito della moglie, Sophia Cornelissen, sposata nell’ottobre del 1943. Nata a Düsseldorf, in Germania, dotata di una personalità forte, Sophia fu una compagna indispensabile anche nella futura vita politica di Magnago. La coppia, comunque, non ebbe figli. Dopo un lungo periodo di convalescenza e dopo la fine della guerra Magnago trovò un impiego presso l’Ufficio provinciale di assistenza postbellica di Bolzano. Nel 1947 passò alla Cassa di risparmio di Bolzano, ma fu presto coinvolto nella politica regionale, avendo riottenuto la cittadinanza italiana in base al decreto della revisione delle opzioni del febbraio 1948.
La provincia di Bolzano, occupata fino al 31 dicembre 1945 dalle truppe alleate, era oggetto di trattative nelle conferenze di pace di Parigi, dove fu discussa brevemente la possibilità di aggregarla all’Austria. Ma già nel settembre del 1945 emerse la volontà degli Alleati di mantenere integro il confine del Brennero, per rispettare gli interessi dell’Italia co-belligerante. La provincia di Bolzano rimase parte dell’Italia, nonostante la volontà della maggioranza dei sudtirolesi di lingua tedesca e ladina di vederla aggregata alla Repubblica austriaca.
Come rappresentanza politica, l’8 maggio 1945 nacque col consenso degli alleati il Südtiroler Volkspartei (SVP, Partito del popolo sudtirolese), fondato da Erich Amonn e altri personaggi che avevano militato nella resistenza antinazista, legittimati a rappresentare gli interessi sudtirolesi. A margine della conferenza di pace di Parigi, su insistenza degli Alleati, si giunse alla firma di un accordo di tutela delle popolazioni di lingua tedesca, l’Accordo di Parigi, firmato il 5 settembre 1946 dal presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi e dal ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber.
Magnago entrò presto nella SVP, dove rappresentò la posizione degli optanti per la Germania e dei numerosi invalidi di guerra. Il suo talento politico e retorico emerse presto e nell’aprile del 1948 si candidò alle prime elezioni politiche del dopoguerra, ma nonostante un successo personale non fu eletto. Invece nelle elezioni regionali del Trentino-Alto Adige, nel novembre del 1948, fu eletto con strepitoso successo: nel Consiglio regionale a Trento, governato da una coalizione tra la Democrazia cristiana (DC) e la SVP, gli fu affidata la carica di vicepresidente. Già nel maggio del 1948 si era presentato alle elezioni comunali di Bolzano sulla lista della SVP, superando gli altri candidati del suo Partito e ottenendo la carica di vicesindaco nella giunta DC-SVP, che mantenne fino al 1952.
Nonostante la nuova autonomia, promulgata nel febbraio del 1948, la Regione Trentino-Alto Adige dopo pochi anni entrò in uno stato di crisi cronica: la popolazione di lingua tedesca e ladina, presente sul territorio della regione, non vide realizzate le proprie richieste di autogoverno e di competenze maggiori per la Provincia di Bolzano, che secondo lo statuto dovevano essere delegate di norma dalla Regione alla Provincia. L’autonomia bloccata dal centrismo della DC aumentò la diffidenza verso Stato e governo, presente sin dagli anni del fascismo, stimolata dal nuovo centralismo di Roma. Anche a Trento la maggioranza DC, seppure in coalizione con la SVP, non concedeva spazi di autonomia, come previsto dall’accordo di Parigi. La crisi nei rapporti tra DC e Volkspartei culminò nella primavera del 1955, quando un assessore della SVP, Hans Dietl, si dimise dalla giunta regionale. Sempre nello stesso mese, l’Austria nel Trattato di Stato acquistò nuovamente la propria sovranità e diventò attiva anche nella politica sudtirolese. Nella SVP si aprì un conflitto tra le forze più oltranziste e quelle più moderate, che speravano nella possibilità di un dialogo positivo tra Stato e minoranza.
L’ala più radicale della SVP nel congresso del 25 maggio 1957 sostenne la candidatura di Magnago come presidente del Partito: eletto con grande maggioranza, si rivelò ben presto esponente di una posizione di compromesso, convinto della necessità di proseguire la trattativa con il governo, forte del sostegno dell’Austria. L’obiettivo di Magnago era un’ampia autonomia, liberata dal condominio con la Provincia di Trento, in grado di soddisfare le richieste di autogoverno dei sudtirolesi. Nello stesso tempo respinse tendenze secessioniste o separatiste, presenti nella SVP ma anche al di fuori del Partito, dove si formò un’organizzazione clandestina pronta a intraprendere la strada della violenza.
Nel corso di una manifestazione di protesta con oltre 30.000 partecipanti a Castelfirmiano presso Bolzano, Magnago riscosse un enorme successo. Davanti alla grande folla, riunitasi per chiedere l’autonomia provinciale, Magnago proclamò il 'Los von Trient!'(Liberi da Trento!), formula calzante di un’autonomia per la Provincia di Bolzano liberata dal controllo della Regione e della maggioranza DC. Castelfirmiano inaugurò un lungo percorso verso una soluzione della questione sudtirolese, segnato da numerosi ostacoli e da successi tardivi.
Mentre la SVP a Roma spinse per una verifica dell’autonomia, il governo di Vienna, cofirmatario dell’accordo di Parigi del 1946 e potenza tutrice dell’autonomia, entrò nuovamente in gioco sostenendo le posizioni della minoranza tedesca e ladina. Uno dei protagonisti del governo viennese fu il socialista Bruno Kreisky, fin dal 1956 segretario di Stato al ministero degli Affari esteri, dal 1959 anche ministro nella coalizione tra il Partito popolare austriaco (ÖVP) e i socialisti della SPÖ (Sozialdemokratische Partei Österreichs). Kreisky riattivò le trattative sull’autonomia, riuscendo a portare il problema dell’Alto Adige davanti alle Nazioni Unite. Una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU (n. 1407 del 1960), impegnò l’Italia e l’Austria a riprendere le trattative al fine di chiarire le rispettive divergenze sul trattato di Parigi, per arrivare a una soluzione congiunta sulla questione dell’autonomia. Ciò nonostante, vari incontri bilaterali tra rappresentanti dei due governi non ebbero sbocchi positivi e le trattative si bloccarono. Fin dal 1957 nella popolazione sudtirolese crescevano anche le tensioni e vari gruppi oltranzisti erano sempre più disposti a forme di violenza. Il loro obiettivo era quello di provocare lo Stato italiano mobilitando la popolazione e spingerla verso posizioni secessioniste. Si formò clandestinamente il Befreiungsausschuss Südtirol (Comitato per la Liberazione del Sudtirolo), che in un primo momento si limitò a operazioni simboliche, intraprendendo ben presto una strategia violenta con attentati che raggiunsero l’apice nella 'notte dei fuochi' (11-12 giugno 1961), quando attorno a Bolzano furono fatti esplodere 37 tralicci, lasciando gran parte della città al buio e seminando terrore.
Magnago, presidente della SVP e dal 31 dicembre 1960 anche presidente della Provincia, si trovò in gravi difficoltà: aveva sempre respinto con fermezza ogni forma di violenza e oltranzismo, confidando nel dialogo e nella trattativa. Ma dovette tener conto anche del fatto che all’interno della SVP molti esponenti di spicco simpatizzavano con la violenza politica e dovevano essere strettamente vigilati. Quando Mario Scelba, ministro degli Interni, arrivò a Bolzano immediatamente dopo gli attentati del giugno 1961 convocando alti rappresentanti dello Stato e del governo locale, Magnago vide chiaramente che il governo stava anche valutando la possibilità di uno scioglimento della SVP. Come presidente del Partito, ma anche come presidente della giunta provinciale, carica coperta dal 1960 al 1989, Magnago condannò inequivocabilmente ogni forma di violenza, esortando il governo a rivedere la propria posizione di centralismo e di blocco verso l’estensione dell’autonomia provinciale. Il governo italiano decise allora di nominare una Commissione per l’esame delle richieste di autonomia e per il suo miglioramento. La 'Commissione dei diciannove', insediata nel settembre del 1961, fu composta da undici rappresentanti di lingua italiana, da otto di lingua tedesca e da un ladino. Anche Magnago fece parte dei diciannove, che dal settembre del 1961 all’aprile del 1964 si riunirono per ben quaranta volte, formulando in modo unanime una serie di richieste.
Magnago, alle prese con le trattative sull’autonomia, impegnato a contenere le spinte oltranziste e a prendere le distanze da ogni forma di oltranzismo e di terrorismo, nell’autunno del 1961 si trovò anche di fronte a un’opposizione interna al Partito. Sotto il nome Aufbau (ricostruzione) si era formata una corrente che accusava la direzione del Partito e la giunta provinciale, ambedue guidate da Magnago, di non considerare in modo sufficiente lo stato difficile dell’economia e del sociale. Infatti, nella provincia di Bolzano fin dagli anni Cinquanta era in atto un profondo processo di trasformazione economica e sociale che dall’agricoltura tendeva verso altri settori. La debolezza del comparto manifatturiero e industriale costrinse molti giovani di lingua tedesca e ladina a lasciare la provincia, per emigrare in Germania e in Svizzera. La nuova corrente, oltre a spingere verso una nuova strategia di crescita per superare l’arretratezza del territorio, puntò anche su 'un'autonomia leale' verso il governo. Come obiettivo centrale cercò soprattutto di mettere in difficoltà Magnago e di spiazzarlo come presidente. Ma gli sforzi della nuova corrente non ottennero i risultati previsti e Magnago rimase saldamente sulla propria posizione di presidente della SVP. Ormai la sua presenza carismatica e la sua linea politica si basavano su un'autorevolezza sempre più indiscussa tra la popolazione.
Il centro-sinistra, avviato con il governo Moro-Nenni il 4 dicembre 1963, inaugurò un clima più favorevole per l’autonomia della Provincia di Bolzano. Il governo prese in seria considerazione i risultati della Commissione dei diciannove e nell'ambito di trattative bilaterali tra i due socialdemocratici Giuseppe Saragat, ministro degli Esteri e Bruno Kreisky, il suo collega viennese, si raggiunse nel dicembre del 1964 a Parigi un accordo sulla futura autonomia. Ma quando il progetto, all’inizio del 1965, fu presentato ai vertici della SVP e dell’ÖVP tirolese, fu respinto per la mancanza delle necessarie garanzie internazionali. Enorme fu la delusione di Kreisky, che dichiarò di non voler più portare avanti i negoziati. Dopo una battuta d’arresto ebbero pertanto inizio trattative dirette tra Roma e Bolzano, con Aldo Moro e Magnago come protagonisti, i quali in lunghi incontri – preparati e affiancati da Alcide Berloffa, deputato della DC altoatesina – crearono un’atmosfera di fiducia reciproca che portò finalmente a risultati concreti.
I colloqui dimostrarono la straordinaria abilità di Moro nel comprendere fino in fondo i motivi del suo interlocutore ma anche la capacità di Magnago di spiegare in linee generali, come pure nei dettagli, il senso dell’autonomia, che sembrava essere ancora un corpo estraneo nel clima di centralismo degli anni Sessanta.
Nell'ottobre del 1966 e nel gennaio del 1967 Moro e Magnago si incontrarono a Palazzo Chigi, dove il presidente della SVP fu in grado di esporre e motivare analiticamente la sua posizione. Dai colloqui emerse la prospettiva di delegare molte competenze dal livello della Regione Trentino-Alto Adige a quello delle due province Trento e Bolzano. La strategia trovò anche il consenso della DC trentina di Flaminio Piccoli e di Bruno Kessler, che videro nuovi spazi di autogoverno per la propria provincia. L’autorevolezza e la caparbietà di Magnago riuscirono a superare le resistenze all’interno del suo Partito; il 20 ottobre 1969 il direttivo della Volkspartei votò con una chiara maggioranza per la bozza di autonomia presentata da Magnago. Ma la via verso una nuova autonomia era sempre in salita, anche per una nuova vampata di terrorismo che bloccò trattative e dialogo con l’Austria, accusata di coprire i responsabili. L'immutato clima di fiducia tra Magagno e Moro superò tuttavia anche queste difficoltà. Si concretizzò così il 'pacchetto', una serie di 137 misure volte ad ampliare l’autonomia. Magnago e il direttivo della SVP furono impegnati a spiegare la bozza di autonomia alla base del Partito, dove erano presenti molte resistenze dovute anche alla scarsa fiducia verso Roma e il governo centrale. A distanza di cinquant'anni dall’annessione all’Italia, la diffidenza, cresciuta soprattutto negli anni del fascismo e riaccesa dal centralismo degli anni postbellici, era ancora presente. Fu merito della figura carismatica di Magnago se nel biennio 1968-69 il consenso verso l’autonomia si allargò e se nelle trattative col governo furono raggiunti ancora miglioramenti sensibili. Le questioni centrali attorno alle quali si svolse la discussione furono le garanzie sul bilancio della Provincia e l’ancoraggio internazionale del nuovo statuto dell’autonomia. Per quanto riguarda l’assetto internazionale Roma, Bolzano e Vienna concordarono il 'calendario delle operazioni'. Si trattò di una serie di misure consecutive e strettamente interconnesse tra Austria e Italia, volte a stabilire un clima di reciproca fiducia e di realizzazione della nuova autonomia. Il calendario prevedeva di alternare l’impegno di una parte con quella successiva dell’altra parte in modo da realizzare un condizionamento reciproco. Come tappa finale del calendario era prevista la dichiarazione secondo cui Vienna riteneva «conclusa la controversia sull’attuazione dell’accordo di Parigi» (Manuale dell'Alto Adige …, 2019, p. 42), controversia ancora pendente presso le Nazioni Unite sin dal 1960.
Il 22 novembre 1969 a Merano si riunì l’assemblea generale della SVP con la presenza di oltre mille delegati per discutere e votare il 'pacchetto' della nuova autonomia. Protagonista importante dell’assemblea, Magnago difese in vari interventi appassionati i risultati delle annose trattative con Roma, descrivendo le prospettive della futura autonomia ed esortando a non lasciar perdere l’occasione storica del momento. Il dibattito proseguì con toni accesi per ben trentasei ore, in cui anche i grandi avversari di Magnago (trai quali Peter Brugger e Hans Dietl) misero in campo le riserve e la forte opposizione contro un’autonomia che a loro non sembrava sufficientemente protetta. Il risultato della votazione dell’assemblea, che si concluse nella mattinata del 23 novembre, fu inizialmente per Magnago motivo di delusione: soltanto il 52% votò la mozione a favore del pacchetto, mentre ben il 43% espresse un voto contrario. Il Partito sembrò nettamente spaccato, ma subito dopo il voto l’avversario più importante di Magnago, Peter Brugger, dichiarò di voler rispettare il risultato, confermando una leale collaborazione anche per il futuro.
Il dibattito e la votazione ebbero un’eco forte nei media, che oltre a un passo significativo dell’autonomia riconobbero nel voto e nel mutato clima politico anche la presenza di una nuova stagione regionalista e federalista in Italia. Dopo il voto del congresso, furono avviati i primi passi del 'calendario operativo': il ministro degli Esteri austriaco, Kurt Waldheim, e Aldo Moro firmarono pacchetto e calendario in un incontro a Copenaghen il 29 novembre 1969. In dicembre il Parlamento italiano e quello austriaco approvarono a maggioranza i due documenti, confermando con il voto il carattere bilaterale dell’autonomia.
Dopo ulteriori passaggi in Camera e in Senato il nuovo statuto fu confermato come legge di rango costituzionale ed entrò in vigore il 20 gennaio 1972. Oltre a un ampliamento notevole di competenze, l’autonomia sancì una netta separazione fra Trento e Bolzano; ad ambedue le province fu conferita un'autonomia, mentre la Regione Trentino Alto Adige, fino a quel momento attore centrale dell’autonomia stessa, fu svuotata del suo ruolo istituzionale lasciandole poche competenze.
La nuova autonomia si fondò su una complessa base di norme. Delle sue 137 disposizioni, quindici erano attuate in base a leggi dello Stato di cui quattordici, fino al 1972, furono realizzate. Invece tutte le misure amministrative entrarono in vigore. La grande maggioranza delle competenze previste dal nuovo statuto si sarebbe basata su norme di attuazione elaborate dalla Commissione dei sei, quanto alle competenze della Provincia, oppure dalla Commissione dei dodici per le competenze di entrambe le province o della Regione Trentino Alto Adige. La Commissione dei sei, composta da tre rappresentanti dello Stato e da tre delle Provincia di Bolzano, sarebbe stata la più importante cabina di regia dell’autonomia, poichè avrebbe elaborato le norme concrete sulla base al nuovo statuto. Le norme attuative proposte dalla Commissione furono ratificate dal governo centrale, nella maggioranza dei casi senza alcuna modifica o veto. Le norme così promulgate sarebbero state alla base dell’attività legislativa del Consiglio provinciale.
All’inizio era previsto che tutte le norme di attuazione venissero definite nell’arco di due anni, ovvero fino al 1974, ma dopo un rapido avvio il lavoro si rese sempre più complicato e si protrasse fino al 1989. Il calendario delle operazioni prevedeva comunque che la vertenza tra Austria e Italia, sollevata davanti all ONU nel 1960, venisse chiusa soltanto a conclusione di tutte le norme di attuazione, per poter consentire il pieno compimento all’autonomia.
A Magnago, l’artefice più importante dell’autonomia a livello della Provincia di Bolzano, dopo il successo conseguito nel 1969-72 spettò il difficile compito di insistere sulle norme mancanti e di realizzare nello stesso tempo l’autonomia a livello legislativo e amministrativo. Un’impresa complessa, spesso ostacolata sia al livello provinciale sia del governo. Inoltre non mancarono i conflitti interni nella SVP: nel 1971 e nel 1975 Peter Brugger si candidò contro Magnago per la presidenza del Partito e ottenne – pur non riuscendo a spiazzare l’antagonista – un risultato di tutto rispetto. Il deputato Hans Dietl, che più di ogni altro rifiutava la linea di Magnago, alla Camera dei deputati votò contro la legge sull'autonomia e fu espulso dal Partito in un conflitto traumatico.
Gli effetti dell’autonomia, gestita in modo oculato dal gruppo di Magnago, si fecero sentire rapidamente dal 1972 in poi. Dopo l’emanazione della prime norme di attuazione il Consiglio provinciale inaugurò un’attività intensa di legislazione, promulgando fino al 1977 annualmente tra cinquanta e settanta leggi provinciali che incisero profondamente sull’urbanistica, sull’edilizia popolare, sull’economia, sulla tutela ambientale, sulla cultura e su molti altri settori. Anche il bilancio della Provincia, fino al 1971 ancora ristretto, crebbe rapidamente, permettendo di mettere in piedi un'amministrazione efficace e in grado di gestire con dinamismo le nuove competenze.
Ma Magnago, che mantenne la doppia funzione di presidente della Giunta provinciale e della SVP fino al 1989-1991, a metà degli anni Settanta si trovò di fronte a nuovi problemi. A livello della politica nazionale era preoccupato dalla prospettiva del 'compromesso storico' e di un possibile governo della DC con il Partito comunista italiano (PCI) che si profilò sin dal 1975, dopo le elezioni regionali. Un eventuale spostamento dell’Italia verso sinistra avrebbe aumentato in Alto Adige le spinte secessioniste, favorite dal tradizionale anticomunismo presente tra la popolazione. Infatti all’interno della SVP, esponenti come Peter Brugger dichiararono possibile la proclamazione dell’autodeterminazione nel caso di un’entrata dei comunisti nel governo.
Inoltre l’attuazione della nuova autonomia fin dal 1976 nella Provincia di Bolzano fece crescere l’insoddisfazione tra la popolazione di lingua italiana. Le nuove norme prevedevano una ripartizione dei posti nell’amministrazione pubblica secondo la forza numerica dei tre gruppi linguistici: tedesco, italiano e ladino. Tutti i futuri concorsi per l’impiego pubblico a livello di Stato o della Provincia avrebbero dovuto rispettare la 'proporzionale', ovvero la ripartizione tra i gruppi linguistici secondo la loro forza numerica. Mentre il gruppo italiano fino al 1975 era nettamente dominante nell’amministrazione pubblica, la nuova 'proporzionale' ridimensionò fortemente la posizione italiana nell’apparato statale e soprattutto provinciale. A ogni nuovo bando il gruppo di lingua tedesca aveva titolo di pretendere almeno i due terzi del contingente. Inoltre, l’introduzione dell’obbligo di bilinguismo per il settore pubblico creò ulteriori difficoltà di accesso.
Tra la popolazione di lingua italiana cresceva lo scontento, che mise in difficoltà soprattutto la DC, dato il suo convinto sostegno al nuovo statuto, mentre cresceva il consenso per i partiti di destra come il Movimento sociale italiano (MSI). L’insoddisfazione per gli effetti dell’autonomia e le crescenti tensioni bloccarono l’emanazione di norme di attuazione, protraendo la conclusione del processo di autonomia anche per le crescenti resistenze a livello del governo. Fu ancora Magnago a portare avanti il dialogo con Roma, arrivando al traguardo nel 1989, quando larga parte delle norme contenute nel pacchetto del 1969 fu finalmente realizzata. Alla fine del 1989 Giulio Andreotti, presidente del Consiglio, affermò che la chiusura del pacchetto sarebbe stata imminente, ma si dovette attendere ancora l’inizo del 1992 affinchè il governo approvasse le norme ancora mancanti. L'11 giugno 1992, con la consegna della dichiarazione di chiusura della vertenza altoatesina davanti all’ONU, entrò in vigore la conclusione formale delle trattative riguardanti l’Alto Adige.
Magnago già nel marzo del 1989 aveva lasciato la carica di presidente della Provincia e nel 1991 si dimise anche come presidente della SVP, dopo aver ricoperto le due posizioni per oltre trent'anni. All’età di 77 anni si ritirò a vita privata, apparendo però in pubblico in molte occasioni e diventando sempre più una figura carismatica, quasi un’icona, come 'il padre dell’autonomia'. Tra le numerose onorificenze conferitegli spicca il premio Robert Schumann (1971) e quello di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana (1991).
All’età di 90 anni ancora in buona salute, dal 2005 il suo stato fisico venne sempre meno fino alla morte, avvenuta il 25 maggio 2010 a Bolzano.
L’addio dal personaggio che più di ogni altra figura aveva segnato le vicende della provincia di Bolzano-Alto Adige dal 1950, fu solenne e seguito da tutti i gruppi linguistici.
In un necrologio Francesco Palermo, professore di diritto costituzionale comparato a Verona, mise in risalto le sue qualità: «L’esempio di Magnago è stata la sua condotta integerrima e irreprensibile, la sua vita dedicata ai principi, la sua lontananza dalla politica come privilegio di casta. Persino l’aspetto fragile, magro e sofferente, il rifiuto ostentato del lusso, hanno contribuito a creare l’immagine di un politico dedito interamente alla sua missione, con una forza morale inversamente proporzionale alla presenza fisica. E anche questo gli ha consentito di spuntarla di fronte a governi romani deboli e progressivamente sempre più corrotti, fino al collasso di tangentopoli. Sotto questo profilo, di eredi ne ha lasciati pochi» (Alto Adige, 27 maggio 2010).
Parte della documentazione di Silvio Magnago è conservata presso l’Archivio provinciale di Bolzano.
Silvius Magnago. Eine Biographie Südtirols, a cura di G. Solderer, Bolzano 1996; R. Steininger, Südtirol zwischen Diplomatie und Terror 1947-1969, 3 voll., Bolzano 1999; A. Berloffa, Gli anni del Pacchetto. Ricordi raccolti da G. Ferrandi, Bolzano 2004; C. Gatterer, In lotta contro Roma: cittadini, minoranze e autonomie in Italia (traduzione di U. Gandini), Bolzano 2007; Silvius Magnago. Das Vermächtnis. Bekenntnisse einer politischen Legende, a cura di H.K. Peterlini, Bolzano 2007; Manuale dell'Alto Adige con lo statuto di autonomia, Bolzano 2019; M. Marcantoni - G. Postal, Il Pacchetto dalla Commissione dei 19 alla seconda autonomia del Trentino-Alto Adige, Trento 2012.
Crediti immagine per cortesia Provincia autonoma di Bolzano