CALANDRA, Silvio
Nacque a Mantova intorno al 1540 da illustre famiglia (il Bertolotti lo dice figlio di Sabino). Ricevuta un'educazione adeguata al suo rango, ben presto ebbe accesso a corte grazie anche alle cariche che vi ricoprivano i suoi familiari e particolarmente Sabino, castellano ducale.
La prima missione gli fu affidata nel 1560 quando fu inviato a Innsbruck per trattare l'acquisto di grano onde rimediare alla carestia che si era abbattuta sull'Italia. Dovette certamente svolgere bene il suo compito se il duca Guglielmo, lo chiamò a ricoprire incarichi assai delicati in un momento grave per il dominio gonzaghesco.
La pace di Cateau-Cambrésis aveva restituito ai Gonzaga il Monferrato, ad essi devoluto per eredità dall'estinto ceppo dei Paleologhi; tale decisione aveva però contrastato le pretese sabaude sullo stesso territorio e diede inizio ad una serie di controversie fra i due duchi. D'altra parte Carlo V aveva sempre evitato un accrescimento del ducato dei Savoia, ritenendolo pericoloso per lo Stato di Milano e per il predominio spagnolo nella penisola. Senonché il fatto che i territori dei Savoia e dei Gonzaga risultassero confinanti e che il marchesato, con le sue molte ramificazioni, si insinuasse sino a breve distanza da Torino rendeva i rapporti tra Emanuele Filiberto e Guglielmo assai tesi. Complicava la situazione l'ostilità verso i Gonzaga della popolazione monferrina. I disordini a Casale e nel resto del Monferrato, spontanei o abilmente provocati e manovrati dal Savoia, erano all'ordine del giorno e rendevano ancora più grave una situazione già precaria.
Nel 1565 Guglielmo inviò a Torino il C., che nel frattempo aveva nominato suo segretario, con rincarico di cercare un accomodamento con Emanuele Filiberto: a questo il C. avrebbe dovuto proporre, per rendere più netti i confini tra i due Stati, la cessione delle Langhe in cambio del contado d'Asti o del Vercellese o di altro territorio di gradimento del Savoia. Tale trattativa si trascinò per le lunghe e Guglielmo, ritenendo opportuno che il C. restasse a Casale per seguire la questione da vicino, lo nominò segretario del Senato del Monferrato nel luglio del 1570. In seguito ai gravi disordini accaduti a Casale e in tutto il Monferrato, la tensione aumentò, e fu acuita dall'atteggiamento irritato di Filippo II nei confronti del Gonzaga, a cui il re richiese invano la consegna di Flaminio Paleologo. Contemporaneamente il re spagnolo stanziò un contingente di duemila fanti da inviare ad Emanuele Filiberto. Ciò fece pendere la bilancia in favore del Savoia e Guglielmo ordinò immediatamente al C. di recarsi a Torino per sondare le intenzioni del duca. La missione fu circondata della massima segretezza tanto che non si sono trovate, nell'Archivio di Mantova, copie delle istruzioni inviate al C.; essa dovette però avere un felice risultato, sia perché il Gonzaga espresse al suo agente il proprio compiacimento, sia perché il 12 novembre dello stesso anno incaricò il C. di annunciare ad Emanuele Filiberto l'istituzione di un'ambasciata permanente a Torino. Nel giugno del 1571 il C. gioca nuovamente un ruolo importante nella diplomazia mantovana: Guglielmo ed Emanuele Filiberto riprendono le trattative iniziate precedentemente; il C. si reca a Torino e il duca di Savoia invia a Mantova Baldassarre della Ravoira signore della Croce. Anche in questa occasione le istruzioni furono date solo oralmente, ma le lettere scambiate tra il C. e il della Croce hanno un tono eccezionalmente cortese. Il successo non diunse però neanche questa volta a coronare l'iniziativa diplomatica, e si rinviò all'imperatore il patrocinio dell'accordo.
Nel 1572 il C. compì due missioni a Roma per conto del Gonzaga: una nel maggio, in occasione del conclave (ma vi giunse a conclave finito), e una nel luglio, di cui però non conosciamo l'oggetto. Nel 1572 Guglielmo incaricò nuovamente il C. di proporre agli agenti del Savoia di barattare quella parte del Monferrato, che era intersecata dai domini sabaudi, con la signoria di Asti, scambio che avrebbe dato maggiore omogeneità ai due Stati. Ma da parte del duca di Savoia giunse un nuovo rifiuto. Nel frattempo il duca di Mantova, sempre preoccupato per l'atteggiamento di Filippo II, e per la tensione tra Francia e Spagna per il predominio in Italia, intensificò le trattative con le corti di Madrid e di Vienna, e mentre chiedeva ripetutamente sovvenzioni a Filippo II per le fortificazioni di Casale, Alba e Verolengo, e nell'ottobre disponeva il completamento dei lavori iniziati nelle fortezze del Monferrato, trattava con la corte di Vienna l'erezione del Monferrato in ducato. Tale concessione giunse e Guglielmo fu incoronato duca del Monferrato nel 1575. Dovette però ben presto tranquillizzare quanti temevano la concessione di tale privilegio o tendevano a sminuirne il valore se il C., il 9 febbraio del 1575, segnalava che l'ambasciatore di Savoia aveva fatto in maniera che si spargesse la voce che tale privilegio non fosse esente da riserve.
Non minori preoccupazioni causava a Guglielmo l'atteggiamento francese: nel 1575 il re di Francia consegnò a Emanuele Filiberto le piazzeforti di Pinerolo, Savigliano e Perosa, mentre Filippo II gli consegnava quelle di Asti e Santhià. L'accresciuta potenza del duca sabaudo non poteva non preoccupare il Gonzaga e le lettere del C., nel frattempo nominato agente mantovano a Milano, erano quanto mai allarmanti. D'altra parte da simili preoccupazioni non era esente neppure il governatore di Milano -, il marchese d'Ayamonte. Già nel 1574 questi aveva accennato al C. la possibilità di eventuali permute di territori tra lo Stato di Milano e il ducato di Mantova, limitate ai luoghi che avrebbero potuto costituire per gli Spagnoli un miglior argine di difesa, e il C. comunicava a Guglielmo che gli era stata sottolineata la necessità di mettere presidi spagnoli in territorio gonzaghesco. Il duca rispose immediatamente al C. di non essere disposto ad accettare simile proposta. Nel novembre il C. avvertì il duca che il marchese d'Ayamonte gli aveva comunicato di essere stato avvertito che i Francesi, connivente il Nevers, intendevano introdursi a Casale, Alba e San Damiano. La supposizione corrispondeva alla verità e l'Ayamonte continuò l'opera per indurre Guglielmo, tramite il C., alla permuta dei luoghi utili alla sicurezza dei domini spagnoli. I diplomatici accreditati presso l'Ayamonte parlavano senz'altro di trattative di permuta tra Mantova e Milano; già l'Ayamonte ventilava l'invio sui luoghi di una persona di sua fiducia, il conte Giovanni Anguissola, perché concordasse con Guglielmo quali zone permutare; l'atteggiamento laconico del C., che preferiva non entrare in particolari per non compromettere il suo duca, irritava l'Ayamonte e la controproposta di Guglielmo (lettera del Cavriani al C. del 13 febbr. 1575), di permutare il Monferrato con Cremona e il Cremonese, non venne accolta dal governatore. I disordini scoppiati a Genova interruppero tali trattative mentre Guglielmo, vistosi negare l'aiuto finanziario richiesto alla corte spagnola, per provvedere alla difesa di Alba, nonostante il parere negativo di alcuni suoi consiglieri, decise di abbandonare la costruzione della piazzaforte e troncò le pratiche che erano state già avviate per ottenere il transito, attraverso i domini sabaudi, dei materiali destinati a tale scopo.
Nel 1578 era giunta all'orecchio di Guglielmo, sebbene in forma inesatta, la notizia di un accordo pattuito tra la Savoia e la Spagna per la conquista di Ginevra. Su questa circostanza, il C. fu incaricato di indagare presso l'Ayamonte. Ma questi negò l'esistenza di tali trattative, come scrisse nel giugno 1578 il C. a Guglielmo, affermando che né Spagna né Francia avrebbero tollerato un accrescimento della potenza del Savoia.
Le trame del maresciallo di Francia Roger de Saint-Lary, signore di Bellegarde, comandante delle fortezze di Carmagnola e Revello nel marchesato di Saluzzo, contro Carlo Birago, governatore dello stesso marchesato, intervennero a complicare le cose.
Il marchesato di Saluzzo, infatti, dopo la pace del 1559, era rimasto in mano francese, oggetto delle cupidigie del Savoia, del Gonzaga, del Birago e del Bellegarde stessi, nonché degli ugonotti che intendevano stabilire nel Saluzzese una solida base di operazioni per tutto il 1575 gli ugonotti rappresentarono infatti un grave pericolo sia per il duca di Savoia sia per il Birago. Il Bellegarde non nascondeva la sua ostilità verso quest'ultimo, nei confronti del quale si trovava in una posizione di dipendenza, e di tale stato di cose tentarono di approfittare sia il duca di Savoia sia l'Ayanionte, che offrirono aiuti al Bellegarde perché si ribellasse al Birago. Il Bellegarde si era inoltre garantito l'appoggio degli ugonotti e del loro capo nel Delfinato, il Lesdiguières.
Tali movimenti rappresentavano un grosso pericolo per il Monferrato, per cui il C. non poteva non interessarsene attivamente. Ai primi del marzo 1579 glungeva a Milano il Baudise, uomo di fiducia del Bellegarde, per acquistare armi e cavalli e avviare segreti maneggi tramite il capitano Alessandro Del Carretto e il conte della Vezza. Inoltre il Baudise aveva fatto intendere di essere a conoscenza di segreti importanti per il Gonzaga per cui il C. cercò di comprendere cosa si celasse dietro quelle losche beghe. A detta del governatore di Alba, Giovanni Andreasi (marzo 1579), il duca di Savoia si mostrava molto preoccupato dei movimenti di truppe che avvenivano nel Saluzzese e apprestava grandi opere di difesa.
Sulla missione del Baudise, per quanto riguardava il Bellegarde, il C. scriveva "et che se pur Bellegarda volesse ribellare dal re Christianissimo et impadronirsi del Marchesato di Saluzzo non vorrebbe dipender dal Re Cattolico, ma si haver lega con heretici, et forse coi Turchi…" (al duca di Mantova, Milano, 20 marzo 1579). Risultava al C. che l'Ayamonte era informato di quanto riguardava il marchesato di Saluzzo e poiché costui non faceva nessun preparativo di difesa e non mostrava nessuna premura di parlare col C., rappresentante del Gonzaga, contro il cui Stato poteva volgersi opponendosi al Bellegarde, ne arguiva "che il Marchese sa che Bellegarde non si muove contro il re cattolico e gli amici suoi". Ma la convinzione di un'intesa tra il Bellegarde e l'Ayamonte si rinsaldò nei giorni seguenti poiché giungevano sicure notizie di preparativi del maresciallo e di leghe tra il Bellegarde e l'insofferente nobiltà francese. Supponendo poi qualche segreto accordo tra l'Ayamonte, il Bellegarde, il Birago e il duca di Savoia, come peraltro lo stesso C. gli faceva sospettare, Guglielmo incaricò Camillo Castiglione di recarsi dall'Ayamonte per chiedere aiuti onde provvedere alla sicurezza del Monferrato. L'Ayamonte aveva già detto al C. di aver provveduto di vettovaglie e di aver inviato truppe a Felizzano, e il C. aveva compreso che l'Ayamonte avrebbe volentieri assunto la difesa del Monferrato per quanto si capiva che non doveva nutrire dubbi sulle intenzioni del Bellegarde (lettera al duca del 25 marzo 1579). Nel frattempo l'Ayamonte cercava di placare le preoccupazioni sorte circa l'atteggiamento del Bellegarde, riducendole alla discordia esistente tra lui e il Birago. Il C. ebbe così modo di entrare nella parte più delicata dell'argomento chiedendo all'Ayamonte se conosceva il piano del Bellegarde; l'Ayamonte non si sbilanciò, ma è sicuro che un accordo era stato stretto tra i due: il Bellegarde (come due mesi più tardi disse allo stesso C.) aveva offerto di consegnare al re di Spagna il marchesato di Saluzzo intendendo in tal modo assicurarsi forti sovvenzioni dal governatore di Milano. Di tale contesa Emanuele Filiberto tentava di approfittare pur preoccupandosi attivamente della difesa dei suoi territori. Il 4 aprile giunse a Milano il Baudise e il C. pensò bene di parlargli, per informare Guglielmo, prima che si recasse a Mantova. Il Baudise si recò egli stesso presso il C., dichiarandosi devotissimo al Gonzaga e accennò al C. il fatto che il Bellegarde, per vendicarsi di essere stato tenuto in poco conto dal re di Francia, aveva deciso di privare il sovrano di Saluzzo e per far ciò si era procurato i mezzi presso il governatore di Milano. D'altra parte, sottolineava il Baudise, a nessuno come al duca di Mantova e del Monferrato sarebbe riuscito profittevole l'appoggio del Bellegarde. Costui chiedeva aiuti in denaro offrendo in cambio a Guglielmo pezzi di artiglieria presi a Carmagnola e alcune terre del Saluzzese, su cui Guglielmo vantava dei diritti. Inoltre, sempre in cambio di aiuti, il Bellegarde si impegnava a devolvere ai Gonzaga lo Stato di Saluzzo quando si fosse estinta la linea dei suoi discendenti. Tutto questo e altre cose scrisse il C. il 5 aprile, da Milano, al duca Guglielmo in una lettera inviata prima della partenza del Baudise da Milano, desiderando il C. che il duca venisse informato di tutto prima dell'incontro con costui. In un'altra lettera sempre del 5 aprile il C. informava che il Baudise gli aveva offerto a prezzo vantaggioso l'acquisto di alcuni pezzi di artiglieria. Spinto però dal desiderio di districare la matassa e di acquistarsi grande onore, il C. s'incontrò col Baudise, di ritorno da Mantova e Parma, a Voghera. Nel corso di tale colloquio il Baudise informò il C. che solo tra Carmagnola e Bologna si trovavano 100.000 eretici e affermò che il Bellegarde era in grado di esibire un "rollo" contenente informazioni sugli ugonotti. Il C., eccitato da tale rivelazione, si lasciò andare a grandi promesse di ricompense e aiuti, in cambio della consegna del documento. Il Baudise gli fissò un appuntamento per il 28 aprile al santuario della Madonna della Crea presso Carmagnola. L'avere nelle mani un documento comprovante la vasta diffusione dell'eresia in Italia elettrizzò sia il C. sia l'Ayamonte, subito informato dall'agente mantovano, che temeva, per tutti i principi italiani e per il re spagnolo in particolare, che sotto la bandiera ugonotta si radunassero tutti i malcontenti e i proscritti. Il Bellegarde, da parte sua, cercò di sfruttare nel modo più vantaggioso per lui il terrore suscitato nei vari Stati italiani dal pericolo ugonotto, mentre il C. addirittura architettava un piano per smascherare gli eretici: il Bellegarde avrebbe finto di dar loro ricetto in Carmagnola, dove avrebbe cercato in qualsiasi modo di ottenere da loro tutte le informazioni possibili di cui avrebbe poi informato il S. Uffizio. Il C. dette informazione di ciò al cardinal Savelli, che lo incoraggiò nella sua missione e gli promise, unitamente a quelli che avessero cooperato con lui, "una honoratissima ricognitione in maniera che si loderanno di sua Beatitudine, la quale anchora gli avrà in protetione in tutte le loro occorrenze" (Pascal). Lo zelante C., nel recarsi al santuario della Madonna della Crea, passò per Torino ove espresse al duca la necessità di formare al più presto una lega di principi cattolici, sotto la protezione del pontefice, da contrapporre al pericolo ugonotto. Emanuele Filiberto approvò, ma espresse notevoli dubbi sull'onestà delle intenzioni del Bellegarde che, per essere creduto, avrebbe dovuto prima consegnare il documento famoso. Il C. proseguì quindi per Carmagnola, ma il "rollo" non venne alla luce. Fallì così lo scopo principale della missione del C. che, deluso, ritornò a Milano dove stese una relazione al duca Guglielmo (26 maggio 1579) in cui gli comunicava di aver saputo dal Bellegarde che Emanuele Filiberto trattava con il Lesdiguières, per il tramite del signore di Servet, un piano segreto in base al quale gli ugonotti avrebbero tentato di penetrare nel Monferrato. Emanuele Filiberto avrebbe dovuto far mostra di pagare gli ugonotti perché rivalicassero le Alpi, ma avrebbe tenuto in suo possesso ciò che gli invasori avevano occupato. Secondo il Bellegarde il duca non aveva ancora risposto al signore di Servet, ma sicuramente egli andava escogitando il modo di impadronirsi dell'intero marchesato di Saluzzo.
Frattanto sempre più si andavano infittendo i preparativi di guerra e fin dal 1º giugno l'Ayamonte e il C. furono informati dal Baudise della decisione presa dal Bellagarde di muovere su Saluzzo. Il duca di Savoia lo aveva pregato, conosciute le sue intenzioni, di fare in modo che non apparisse chiara la sua connivenza (lettera del C. al duca, 1º giugno 1579, da Milano). Col precipitare degli avvenimenti il contegno del C. suscitò i sospetti della corte francese dove circolò addirittura la voce che Guglielmo avesse prestato al Bellegarde 46.000 scudi e che intendesse permutare Alba e altri territori del Monferrato con località del Milanese. Già il 23 maggio il C., avendo saputo dallo Zibramonti che la sua andata a Carmagnola era stata disapprovata e intuendo il pericolo che lo sovrastava, scrisse al duca per giustificarsi, dichiarando di essere stato indotto a recarsi dal Bellegarde dal desiderio di giovare alla causa del cattolicesimo. Il C. fu ripetutamente invitato a recarsi a Mantova; il 29 giugno rispose che si sarebbe messo in viaggio non appena la grave indisposizione di cui soffriva gliene avesse dato la possibilità. Giunto a Mantova ai primi di luglio, fu subito imprigionato. L'Ayamonte prese le sue difese e si raccomandò che gli vemsse usata clemenza; i dispacci del nuovo ambasciatore a Milano, Alessandro Torello, sono pieni, fino al gennaio 1580, di raccomandazioni in favore del Calandra. Insieme col C. furono messi in prigione anche un senatore di Casale ed altri monferrini, sospetti di congiura. Probabilmente si trattava di ugonotti o di complici del Bellegarde. Pochi credettero alle accuse mosse contro il Calandra. Così l'agente sabaudo a Milano, nel dare la notizia dell'arresto del C. alla corte torinese, commentava: "ma non crederò mai che l'ambasciatore Calandra fosse così schiocco, che abbia voluto trattar cosa alcuna con Monsr. di Bellegarda, né andato a parlar seco, senza saputa di suo padrone" (Pascal).
Il C. morì in prigione nel 1590.
Fonti e Bibl.: A. Bertolotti, Lettere del duca di Savoia Emanuele Filiberto a Guglielmo Gonzaga duca di Mantova, in Arch. stor. ital., s.5, IX (1892), pp. 265, 270 s., 275; D. Carutti, Storia della diplomazia della corte di Savoia, I, Roma 1875, pp. 395 ss.;A. Luzio, L'Archivio Gonzaga, Verona 1922, p. 80; R. Quazza, Emanuele Filiberto e Guglielmo Gonzaga (1559-1580), in Atti e mem. della R. Acc. virgiliana, n.s., XXI (1929), ad Indicem;Id., La diplomazia gonzaghesca, Milano 1941, p. 40; L. Mazzoldi, Da Guglielmo III duca alla fine della prima dominazione austriaca, in Mantova, La storia, III, Mantova 1963, ad Indicem;A. Pascal, Il marchesato di Saluzzo e la riforma protestante (1548-1588), Firenze 1960, pp. 441-44, 461.