CRESPI, Silvio Benigno
Nacque a Milano il 24 sett. 1868, primogenito di Cristoforo Benigno, e di Pia Travelli. Frequentato il liceo classico, si iscrisse a Pavia alla facoltà di giurisprudenza; durante le vacanze estive compiva viaggi in Francia, Germania e Gran Bretagna, dove ebbe modo di effettuare un buon tirocinio industriale, impiegandosi temporaneamente sia presso aziende cotoniere sia presso imprese meccaniche sia infine presso una banca inglese. Laureatosi nel 1889 con una tesi di argomento particolarmente caro ai cotonieri (L'arbitrato nelle controversie commerciali, Milano-Busto Arsizio 1889), l'anno seguente ottenne dal padre la procura generale e la direzione tecnica dello stabilimento di Crespi d'Adda. Ben presto ebbe le responsabilità maggiori nella conduzione dell'impresa, che dopo il suo ingresso conobbe un vistoso potenziamento degli impianti e della produzione. Benché molto giovane, il C. si fece subito conoscere negli ambienti economici milanesi per le notevoli capacità intellettuali: entrato nel Circolo agricolo industriale e commerciale di Milano, ne fu il relatore in un primo tempo delle proposte sulle tariffe doganali relative ai prodotti di cotone (Osservazioni e proposte sulla vigente tariffa doganale, Milano 1891, pp. 15-40) e poi nel 1893 sulla spinosa questione degli istituti di emissione (Relazione sul disegno di legge pel riordinamento degli istituti di emissione, Milano 1893), in cui sosteneva il principio dell'unicità della banca di emissione.
Impressionato favorevolmente dalla consimile associazione inglese, nel 1894 si fece promotore con altri imprenditori della Associazione fra gli industriali cotonieri e Borsa cotoni, di cui divenne il primo presidente. In questa veste sostenne una dura battaglia contro il ministro del Tesoro Boselli che nel 1894 aveva introdotto con un decreto legge un dazio sull'importazione del cotone greggio (La questione del dazio sul cotone, Milano 1895). Particolarmente attento alle questioni di carattere sociale e alla necessità per gli imprenditori di prevenire i contrasti di classe, il C. partecipò con una interessante relazione (Dei mezzi di prevenire gli infortuni e garantire la vita e la salute degli operai nell'industria del cotone in Italia: memoria, Milano 1894) al Congresso internazionale degli infortuni sul lavoro e delle assicurazioni sociali, svoltosi a Milano nel 1894.
Nella memoria, oltre ad illustrare i dispositivi antinfortunistici messi in atto nello stabilimento di Crespi d'Adda, forniva ampie notizie sul villaggio operaio, uno dei primi del genere in Italia, da lui fondato attorno alla fabbrica e costituito da villette a schiera, nonché da asili, scuole e una chiesa che riproduceva esattamente quella di S. Maria a Busto Arsizio (cittadina da cui proveniva la famiglia). Scriveva il C. che "i più bei momenti della giornata" erano "per l'industriale previdente quelli in cui vede i robusti bambini dei suoi operai scorrazzare per fioriti giardini, correndo incontro ai padri che tornano contenti dal lavoro... un idillio... in cui fra rocchio del padrone e quello del dipendente corre un raggio di simpatia, di fratellanza schietta e sincera. Allora svaniscono le preoccupazioni d'assurde lotte di classe...".
Nel 1896, resosi conto che l'industria cotoniera si stava avviando verso una pericolosa crisi di sovraproduzione, auspicò coraggiosamente che i cotonieri "diminuissero di numero" o che comunque prendessero accordi per limitare la produzione (Associazione fra gli industriali cotonieri e Borsa cotoni, Rapporto della Presidenza sulle cause della crisi nell'industria cotoniera, Milano 1896). Questa presa di posizione non incontrò allora il favore degli altri industriali, come del resto anche il suo appoggio a una abolizione del lavoro notturno nelle fabbriche, alla quale il C. era favorevole soprattutto per contenere il già citato fenomeno della sovraproduzione. Come membro del Consiglio dell'industria e del commercio stese la relazione con cui il Consiglio sosteneva, a certe condizioni, la convenienza dell'abolizione del lavoro notturno (Disposizioni da adottarsi intorno al lavoro notturno nelle fabbriche e al lavoro delle donne e dei fanciulli: relazione, Milano 1897), ma ciò provocò aspri contrasti in seno all'Associazione cotoniera, cosicché il C. nel 1897 fu costretto a dimettersi da presidente del sodalizio milanese e venne sostituito da C. Cantoni.
Non cessò comunque di dare in seguito il suo autorevole contributo all'Associazione: nel luglio 1907 fu nominato presidente della Società anonima Docks Cotoni (capitale 1.000.000 di lire), promossa dall'Associazione per sfuggire agli alti prezzi imposti nei magazzini portuali di deposito del cotone greggio; nel 1913 assunse la direzione dell'Istituto cotoniero italiano, un organismo che doveva dare pratica attuazione alle vecchie idee del C., regolando e coordinando la produzione delle industrie del settore.
In questi anni il C. è presente in varie imprese. È presidente della Società anonima per le forze idrauliche di Trezzo sull'Adda Benigno Crespi (Milano, capitale di 4 milioni); e vice presidente della Metallurgica Vittorio Cobianchi (Omegna, capitale di 3.600.000); è consigliere della Tranivia Monza-TrezzoBergamo (Monza, 1 milione), della Società Martesana per distribuzione di energia elettrica (Milano, 2.400.000), della A.E.G. Thomson Houston (Milano, 9 milioni), della Società commissionaria d'esportazione (Milano, 3 milioni), della Società commissionaria orientale (Milano, 1.500.000).
Il C. non trascurò la sua impresa cotoniera, pur delegando ad estranei alla famiglia una parte delle funzioni imprenditoriali (come la direzione della sezione commerciale) perché assorbito, a partire dal 1899, dall'attività politica. Nel 1910, quando la ditta paterna venne trasformata in società anonima (capitale 9.000.000 di lire), il C. ne divenne vicepresidente, amministratore delegato e direttore generale. L'azienda (che nel 1914 disponeva di 49.000 fusi di filatura, 4.500 di ritorcitura e di oltre 700 telai meccanici) fu molto avvantaggiata dalle ordinazioni statali durante la prima guerra mondiale. Soprattutto la produzione di tele per il rivestimento degli aerei apportò altissimi profitti al C., che già nel corso del conflitto progettò un raddoppiamento degli impianti. Il difficile e confuso periodo del primo dopoguerra rallentò l'esecuzione del progetto, anche perché i pur docili operai di Crespi d'Adda cominciavano a sentire l'influsso dei decisi sindacalisti cattolici del Bergamasco che tentavano di incrinare, in forme talora violente, la "fratellanza schietta e sincera" che il C. si vantava di aver realizzato nel suo villaggio operaio. All'inizio degli anni Venti, dopo che il figlio primogenito Benigno (n. 1895) si era assunto la responsabilità del settore commerciale, la società (che nel 1920 aveva aumentato il capitale a 20 milioni) aveva comunque portato il numero dei telai a 1.075. L'eccezionale periodo di espansione verificatosi nel 1923-1925 consigliò al C. ulteriori e cospicui investimenti, cosicché nel 1928 - nel cinquantenario dell'impresa - lo stabilimento contava 69.000 fusi di filatura, 12.000 di ritorcitura e 1.200 telai meccanici (di cui alcuni automatici), nonché un grande impianto di tintoria capace di una produzione giornaliera di almeno 50.000 metri di tessuti mercerizzati; nel complesso la Società Benigno Crespi occupava 3.600 operai e disponeva di una rete di rappresentanti sparsi pressoché in tutto il mondo. Ma proprio il momento di massima espansione dell'azienda corrispondeva a una sua fase piuttosto critica: la politica di rivalutazione della lira ("quota novanta") decisa da Mussolini - e alla quale il C. si era decisamente opposto, intervenendo più volte senza risultato presso lo stesso capo del governo - aveva avuto effetti deleteri per l'impresa. Questa, che era giunta a collocare all'estero oltre il 50% della produzione, con la rivalutazione si trovò drasticamente ridotta la corrente di esportazione, mentre per le stesse ragioni (e per la conseguente politica salariale fascista, accettata, a dire il vero, anche dal C.) si restringeva progressivamente anche il mercato interno.
Nel corso del 1929 la situazione della società si fece preoccupante; dopo l'ottobre di quell'anno - quando si diffusero anche in Europa gli effetti della "grande crisi" - divenne drammatica. Il C. aveva realizzato un'errata politica di acquisto del cotone greggio, convinto che i ribassi delle materie prime sarebbero stati solo temporanei. Si procurò così ingenti scorte di cotone greggio, che in un brevissimo lasso di tempo si rivelavano straordinariamente svalutate rispetto al prezzo d'acquisto. Poiché per queste operazioni si avvaleva di cospicui crediti concessi dalla Banca commerciale italiana (della quale era, tra l'altro, presidente sin dal 1919), nel corso del 1930 il C. si trovò esposto verso la banca per circa 40 milioni di lire, una cifra corrispondente a quasi il doppio del capitale della società cotoniera. Non essendo ovviamente in grado di saldare il debito, si dimise dalla presidenza della Commerciale e fu costretto a cedere alla banca, tramite la Sofindit, non solo l'azienda, ma anche tutti i suoi beni, compreso il prestigioso palazzo di via Borgonuovo acquistato cinquant'anni prima dal padre e nel quale abitava egli stesso con i figli. Nell'ottobre del 1930 la Commerciale promosse così la costituzione, aggregando altri cotonifici in grave crisi, della Società commerciale dei cotonifici Benigno Crespi - Veneziano - Toscane, con un capitale di cento milioni. La nuova società - di cui fu nominato presidente il C. - ebbe vita breve e stentata: nel maggio 1931 cambiò la denominazione in Società anonima stabilimenti tessili italiani Benigno Crespi - Cotonificio veneziano - Manifatture toscane riunite, della quale il C. rimase presidente. Nemmeno questa società (che pure costituiva un grandioso raggruppamento di ventuno stabilimenti e impiegava circa 11.000 operai) ebbe vita facile, perché il bilancio del 1931 si chiuse con una perdita di 40 milioni, mentre i primi sei mesi del 1932 presentarono un'ulteriore perdita di 20 milioni.
In realtà i vertici della società erano scossi da profondi contrasti fra il C. (e i figli che collaboravano con lui) da una parte e gli uomini di fiducia della Commerciale dall'altra. Le divergenze riguardavano specialmente i criteri organizzativi da dare al nuovo gruppo industriale (organizzazione che i Crespi avrebbero voluto "più umana" e tale da conferire più autonomia alle singole fabbriche), ma, a ben vedere, erano in fondo originati dalla pretesa del C. di svolgere, come per il passato, un ruolo decisivo nella gestione della sua ex azienda, quando invece oramai non ne possedeva una benché minima parte del capitale. Va d'altro canto tenuto presente il giudizio di A. Beneduce che, in una sua lettera del 1936, presentò la Stabilimenti tessili italiani come "un esempio tipico del malgoverno delle aziende industriali per parte delle organizzazioni bancarie".
Sta di fatto che nell'ottobre 1932 il C., accusato persino di "sobillare gli operai" contro i nuovi amministratori, uscì dalla società ed iniziò una patetica, quanto sterile serie di tentativi (cercando più volte di far intervenire Mussolini) per rientrare in possesso della sua vecchia fabbrica, che comunque nel 1940 tolse per sempre dalla sua denominazione il nome dei Crespi. Il C. dedicò gli ultimi anni di vita ad alcune iniziative industriali di modesto rilievo. Tra queste va segnalata la sua attiva opera di propaganda per le casse mobili ferroviarie o "containers", per le quali acquistò rinomanza internazionale sino a divenire presidente del Bureau international des containers.
Partecipò anche ad altri organismi aventi caratteri e scopi più o meno direttamente economici. In particolare nel 1896 il C., che era già membro della Società d'esplorazione commerciale in Africa, fu tra i fondatori della Società anonima commerciale italiana del Benadir, che si proponeva in primo luogo di sviluppare la coltivazione del cotone in Somalia (la Società del Benadir fu poi travolta, nel 1904, da un grave scandalo - dal quale il C. uscì personalmente indenne - per le ferocie e gli abusi commessi dal governatore della colonia Dulio, che faceva parte del consiglio della Società). Fu anche presidente dal 1905 dell'Automobile Club di Milano e in seguito dell'Automobile Club d'Italia. In questi sodalizi profuse molto del suo impegno, promuovendo gare automobilistiche e la costruzione di circuiti (come l'autodromo di Monza), e presiedendo dal 1923 la Società autostrade, che realizzò nel 1925, pur tra vivaci polemiche, la prima autostrada italiana, la Milano-Laghi.
Fattosi notare negli ambienti politici sin da quando era presidente dell'Associazione cotoniera, nel 1899 il C. riuscì a farsi eleggere deputato nella circoscrizione di Caprino Bergamasco. Assiduo ai lavori parlamentari, si mise a capo di una pattuglia di deputati - denominati scherzosamente "giovani turchi" - che si caratterizzava per un deciso e intransigente liberalismo e soprattutto per la netta opposizione a qualsiasi intervento dello Stato nell'attività economica (salvo i provvedimenti di carattere protezionistico, ai quali come industriale cotoniero era ampiamente favorevole). Di conseguenza fu contrario nel 1905 al passaggio delle ferrovie sotto il controllo dello Stato, e nel 1911 al progetto di istituire un monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. In quest'ultima occasione sostenne un memorabile scontro con F. S. Nitti, relatore del progetto: in un lungo discorso il C. sostenne, tra l'altro, l'incapacità "imprenditoriale" dello Stato a gestire un ramo così importante dell'economia. Si occupò anche dell'importante problema della derivazione delle acque pubbliche (a proposito delle quali si batté sempre contro ogni proposta di nazionalizzazione delle forze idriche) e del loro sfruttamento come forza-motrice. E appunto nella appropriata utilizzazione di alcuni fiumi meridionali (come il Volturno) egli vedeva una delle possibili soluzioni della cosidetta questione meridionale.
Generalmente gli interventi del C. erano di argomento economico o socio-economico, il che è comprensibile data la sua attività industriale. Anche se questo suo "mestiere", certo non comune tra i deputati, gli fu spesso rinfacciato in Parlamento dagli oppositori, non si può negare che il C. mostrò sempre buona capacità di mediazione tra i generali problemi della politica e quelli strettamente attinenti alla sua categoria industriale. Non fu cioè un puro e semplice "rappresentante autorizzato" dei cotonieri, come ben comprese nel mezzo della prima guerra mondiale V. E. Orlando. Nel marzo 1917 il C. aveva attirato l'attenzione attaccando violentemente la politica degli approvvigionamenti e in particolare Arlotta, ministro dei Trasporti. Questi, per mettere in difficoltà l'avversario, aveva rivelato come nel 1916 il C. si fosse offerto, a nome di altri cotonieri, di acquistare una flotta di bastimenti da affittare allo Stato per il trasporto di merci varie e, quando le navi non fossero utilizzate a questo scopo, da adibire al trasporto di cotone greggio. Arlotta giudicava la proposta di contratto "immorale", donde nacque un lungo strascico di polemiche e di controaccuse. In realtà le critiche del C. alla completa disorganizzazione dei trasporti non erano infondate, cosicché, costituitosi dopo la disfatta di Caporetto il gabinetto Orlando, questi impiegò le capacità del C. dapprima come sottosegretario agli Interni per gli approvvigionamenti ed i consumi alimentari (5 nov. 1917 - 22 maggio 1918), poi, innalzati i servizi a ministero, come ministro (22 maggio 1918 - 18 giugno 1919).
Alle prese con una situazione alimentare disastrosa e con una pericolosa scarsità di materie prime (fondamentali per le industrie di guerra), il C. dimostrò volontà ed energia e soprattutto portò una ventata di efficientismo "manageriale" nella farraginosa burocrazia romana dei ministeri. Volle dirigere il suo servizio "come un'azienda", a cominciare dalla contabilità - si portò a Roma il suo contabile di Crespi d'Adda - e riuscì a migliorare l'afflusso di rifornimenti, anche perché nei contatti con gli esponenti delle potenze dell'Intesa gli fu preziosa la sua esperienza da uomo d'affari nelle trattative commerciali. Ottenne perciò considerevoli aiuti soprattutto da parte dell'Inghilterra, aiuti che tuttavia risollevarono in parte la situazione alimentare dell'esercito, ma non quella della popolazione civile, che fu sottoposta dal C. a rigidissime restrizioni, almeno fino alla metà del 1918. D'altra parte il C., che per sua stessa ammissione riteneva improponibile in tempo di guerra la sua vecchia idea del "non intervento" dello Stato nell'economia, combatté con durezza gli imboscamenti e i rialzi artificiosi dei prezzi, giungendo ad effettuare vaste requisizioni di prodotti alimentari e a proporre "il monopolio, la statizzazione del commercio dei generi alimentari e di prima necessità, e la loro ripartizione statale senza distinzioni, senza privilegi, strettamente commisurata ai bisogni reali dei singoli cittadini". Dopo la nomina a ministro riuscì a concludere importanti acquisti di grano dall'America meridionale, che consentirono un allentamento del razionamento della popolazione civile.
Nel gennaio 1919, a guerra conclusa, fu nominato rappresentante dell'Italia nel Consiglio supremo interalleato degli approvvigionamenti, un organismo che aveva il compito delicato e importante di sovraintendere al rifornimento delle popolalazioni di pressoché tutta l'Europa. A Parigi prese parte a varie altre commissioni di carattere economico e nel maggio 1919, partiti per protesta Orlando e Sonnino, rimase da solo a rappresentare la delegazione italiana. Benché F. S. Nitti abbia scritto che in questa occasione il C. "pareva pazzo ed era certamente vanesio", il suo è nondimeno un giudizio malevolo, perché il C., forse a disagio quando trattava questioni esclusivamente politiche o territoriali (sulle quali peraltro era assai poco informato dai colleghi di governo, che gli nascosero persino il contenuto del patto di Londra del 1915), non pregiudicò assolutamente la posizione italiana. Nominato ministro plenipotenziario, fu tra i firmatari a Versailles del trattato di pace con la Germania (28 giugno). Ammalatosi improvvisamente e in contrasto con gli altri membri della delegazione sulla questione di Fiume, il C. si dimise dalla carica nell'agosto 1919 e ritornò in Italia. Di tutti questi avvenimenti il C. stese un resoconto vivace e puntuale nella sua opera Alla difesa dell'Italia in guerra e a Versailles. Diario 1917-1919, Milano 1937, ricca di notizie ma soprattutto sincero documento del "mondo" culturale e del senso politico di un grande esponente della borghesia imprenditrice.
Nell'immediato dopoguerra il C. continuò a sostenere la necessità di un coordinamento economico tra gli Stati europei (quale si era realizzato durante la guerra) e di una collaborazione fra le classi sociali. Le sue posizioni ideologiche personali non ebbero più tuttavia molto peso politico, sebbene nel 1920 fosse nominato senatore e godesse ancora di grande prestigio. Del resto le sue idee erano superate dagli eventi e anch'egli, fortemente impressionato dall'ondata di "bolscevismo bianco" che pareva lambire persino la sua intatta oasi paternalistica sull'Adda, cominciò a guardare con favore al movimento fascista. Incontratosi con Mussolini il 28 ott. 1922, il giorno seguente fu proprio il C. che, a nome di altri importanti industriali-parlamentari lombardi, telefonò a un uomo di Salandra, facendo pressioni affinché il re affidasse il governo al capo del fascismo. Nel luglio del 1925 gli fu concessa la tessera ad honorem del partito fascista, con la motivazione, tra l'altro, di "avere sempre dimostrato e nei discorsi e nelle manifestazioni pubbliche, il suo consentimento nelle direttive del partito fascista e del governo di Benito Mussolini". In realtà i rapporti del C. con il regime non furono sempre facili: già si è visto quanto egli disapprovasse la decisione di Mussolini (del quale era peraltro devotissimo) di rivalutare la lira italiana; inoltre nel 1926 Farinacci lo attaccò violentemente sul Regime fascista e lo accusò di aver cooperato, come presidente della Banca commerciale, alla caduta della Banca italiana di sconto, minacciandolo altresì di farlo deferire all'Alta Corte di giustizia. E ancora nel 1940 il C. si dovette giustificare presso Mussolini perché non appariva al duce abbastanza "interventista".
Morì a Cadorago (Como) il 15 genn. 1944.
Altri scritti: Sulla mano d'opera agricola esulla politica economica di guerra. L'incidenteArlotta-Crespi..., Roma 1917; L'alimentazionedell'Italia in tempo di guerra..., Roma 1917; La situazione alimentare nel giugno 1918..., Roma 1918; I problemi dell'alimentazione ela politica annonaria del governo..., Roma 1918; La politica degli approvvigionamenti inItalia..., Roma 1918; Cause e rimedi dellacrisi del dopoguerra. Conferenza..., Milano 1921; Sui trattati politici e commerciali sottoposti all'approvazione del Parlamento nel febbraio 1923. Esame della situazione europea…, Roma 1923; Le développement futur du traficdes containers, in Les Containers (Paris), genn. 1932, pp. 7-8; Sui servizi di trasporto merci..., Roma 1935; L'alimentazione dell'Italia inguerra. Discorso pronunciato davanti alle commissioni riunite della Finanza e dell'Agricoltura nella seduta del 19 maggio 1942, Roma 1942. Degli interventi in Parlamento del C., oltre a quelli già citati, va segnalato il suo discorso a proposito delle assicurazioni sulla vita (Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, tornata del 24 giugno 1911, pp. 16.195-16.216). Il C. scrisse anche qualche articolo su IlSole e altri giornali economico finanziari.
Fonti e Bibl.: Alcuni docum. sulla Società Benigno Crespi sono presso l'Arch. municipale di Capriate-San Gervasio. Si sono potute consultare alcune lettere del C. e del Toeplitz presso l'Arch. della Banca commerciale italiana; i discendenti della famiglia Crespi possiedono molti documenti relativi soprattutto alla trasformazione della Benigno Crespi prima nella ragione Benigno Crespi-Veneziano-Toscane e poi negli Stabilimenti tessili italiani. Numerose notizie si trovano nelle già citate memorie ined. del figlio Benigno. Nell'Arch. centrale dello Stato (Segreteria partic. del duce, Cart. ordinario, bb. 381 e 1984; Carte V. E. Orlando, Carteggio, b. 3) sono custoditi parecchi docum. e lettere del C. riguardanti gli Stabilimenti tessili italiani o altre iniziative industriali (compresa la cit. lettera di A. Beneduce). Il fondo Presidenza del Consiglio, Guerra europea, in fase di riordinamento, conserva qualche documento sull'attività politica del C. durante la prima guerra mondiale e la conferenza della pace a Parigi. Si vedano anche S. Sonnino, Carteggio 1916-1922, a c. di P. Pastorelli, Bari 1975, pp. 580 s., 639 ss., 660; e Società anonima commerciale italiana del Benadir (Somalia italiana), Convenzione e statuto, Milano 1898, p. 3. A. Bricchi, Risalendo un tratto d'Adda, in Illustrazioni di Lombardia, I (1909), 2-3, pp. 5-6; B. Crespi, Il lavoro e la giornata di otto ore. Tesi di laurea in giurisprudenza, Milano 1919, pp. 72-75; E. Savino, La Nazione operante. Profili e figure di ricostruttori, Milano 1928, p. 119; Cinquant'anni di operosa e feconda armonia fra capitale e lavoro, in Il Popolo d'Italia, 28 sett. 1928; G. Treccani, Crespi, in Enc. Ital., XI, Roma 1931, p. 842; P. Rossi, Dall'Olona al Ticino..., Varese 1954, p. 59; F. S. Nitti, Scritti politici, VI, a cura di G. Carocci, Bari 1963, p. 540; Id., Scritti di economia e finanza, III, parte II, a cura di D. Demarco, Bari 1966, pp. 140-142; Creatori di lavoro, Roma 1968, pp. 193-194; A. Lodigiani, Contributi alla storia dell'industria cotoniera, in Industria cotoniera, IV, ottobre 1969, pp. 847-851, 859-865; F.Grassi, L'industria tessile e l'imperialismo ital. in Somalia (1896-1911), in Storia contemp., IV (1973), pp. 718-724; A. Milanini Kemény, La Società d'esploraz. commerciale in Africa e la politica coloniale, Firenze 1973, pp. 164, 180, 203 s.; R. Rogora, I Crespi "Tengiti", in Almanacco della Famiglia Bustocca, Busto Arsizio 1974, pp. 921-09; G. Mori, Il capitalismo industriale in Italia. Processo di industrial. e storia d'Italia, Roma 1977, pp. 182-184, 325; F. S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, III, a cura di M. Rossi Doria, Bari 1978, pp. 143-145; E. e L. Mariani Travi, Il paesaggio ital. della rivoluz. Industriale, Bari 1979, pp. 11-20; Villaggi operai in Italia..., Torino 1981, pp. 111-199; A. Bernard, Storia dell'Associazione cotoniera italiana, Milano 1982, pp. 28, 35-100.