CURTONI, Silvia
Nacque a Verona nel 1751 da Antonio e da Elisabetta Maffei, stretta parente di Scipione. Presso le suore benedettine del monastero di S. Maria degli Angeli nella città natale ricevette probabilmente un'istruzione molto elementare, poiché non vi apprese neanche il francese, che studiò più tardi. Dissuasa dal padre dal proposito di farsi suora., sposò il conte Francesco Verza Guastaverza.
In quegli anni A. Carli aveva dato vita nella città scaligera ad una compagnia teatrale, in cui confluivano i personaggi più vivaci della Verona colta del tempo. La sede stabile fu fornita, nella sua villa di Chievo, dal conte Marco Marioni; i testi erano soprattutto le opere francesi, che il gruppo si proponeva di far conoscere. Fu nell'inverno del 1774 che la C. recitò nella parte di. Berenice, nella tragedia omonima di Racine, tradotta per lei e dedicata "solo" a lei da I. Pindemonte (traduz. pubblicata a Verona nel 1775).
L'amicizia, della C. con il Pindemonte, iniziata circa in quegli anni, si protrasse con assiduità e continuità fino alla morte del poeta. Nell'epistola in versi del 1778, compresa nella raccolta Versi di Polidete Melpomenio (Bassano 1784, pp. 93-98), il Pindemonte si rivolge alla C., che canterà anche nel Saggiodi poesie campestri (Parma 1788, p. 58), sostenendo di essere stato colpito dal dardo che gli ha tolto il sonno, di non goder più della sua pace interiore da quando l'ha veduta sulle scene, di considerare fortunati quelli che hanno recitato con lei e beati coloro che possono godere della sua intimità. Quanto il testo galante lo sia solo letterariamente non è dato sapere, ma che avesse un riferimento nella realtà può essere dedotto da quanto afferma Giustina Renier Michiel in una lettera di molti anni dopo; in essa, a proposito di un sonetto scritto dalla C. per un ristabilimento del Pindemonte, in cui si accennava alle sue "pupille brillanti e il pie' leggero alla danza", si descrive la C., che "nel recitarlo parla di nuovo accesa di lui", concludendo: "Ciò non sta affatto bene colla santità delle loro idee attuali" (Vaccalluzzo, p. XVII). L'edizione delle Epistolein versi del Pindemonte del 1809 (Piacenza), pur non contenendo alcuna epistola alla C., le fu dedicata con una lettera sentitamente elogiativa dall'editore, Giampaolo Maggi, verosimilmente con l'assenso dell'autore. E quest'ultimo le rivolse il Discorso primorisguardante la recitazione scenica e una riforma del teatro, premesso alla quinta edizione dell'Arminio (Verona 1812). In esso sono ancora ricordate le interpretazioni della C. di quasi quaranta anni prima, anche se l'autore ammette che il maggior merito di lei era stato quello di "sostenere ottimamente la ... parte sulla scena dei mondo". Non ci sono altre dediche del Pindemonte alla C., ma sul finire della vita egli si recava ancora due volte al giorno nel salotto dell'amica, e quando nel 1819la C. dovette allontanarsi da Verona, egli si trovò sperduto, costretto, a recarsi in altre case, quando era abituato, come voleva la sua "antica amicizia con lei", a "passare per costume la sera con la Verza" (Vaccalluzzo, p. 86).
L'interesse della C., che interpretò anche altre opere teatrali, per la recitazione durò qualche anno ancora; quindi si volse tutta ad alimentare le amicizie e le conoscenze che mantenevano in vita il suo salotto nel palazzo Bra a Verona. Questo materialmente consisteva "in una grande stanza teatralmente in due scompartita, metà a stucchi ..., a specchi l'altra metà; cortinaggi di seta cilestra, raccolti o spiegati or una la rendevano, or due secondo tornava" (Montanari, p. 75).
In esso, nelle riunioni settimanali del venerdì, "si leggevano ... classici autori e Dante in particolare", si commentavano e si annunciavano le ultime novità letterarie dagli amici, in esso, cioè, la letteratura diveniva socialità e questa letteratura.
Rimasta vedova e priva di preoccupazioni economiche la C., che nel 1783 aveva pubblicato un suo sonetto nella miscellanea veronese per le nozze Corsini Marioni (Per la venuta in Verona ... ) e che almeno nel 1784 era stata a Venezia, nell'autunno del 1786, in compagnia di uno scelto gruppo di amici, fra cui Claudio e Luigi Torri, Clementina Marioni e Camilla Strozzi, cominciò un Viaggio diretta a Sud. Per la via delle Romagne, giunse a Roma il 14 genn. 1787. Oltre a visitare i monumenti più notevoli e le biblioteche nelle varie città, la C. era presentata alle persone più in vista del luogo. Anche a Roma frequentò i salotti più in voga., fra cui quello di Maria Pizzelli Cuccovilla; conobbe Giovanni Gherardo De Rossi, con il quale poi si mantenne in relazione epistolare. Ma soprattutto la C. contrasse amicizia con Baldassarre Odescalchi duca di Ceri, con il quale poi rimase in affettuosa corrispondenza e che le dedicò l'anno dopo la sua Lettera ... intorno alla tragedia francese intitolata il Fanatismo ossia Maometto il Profeta. A Roma, dove videro la luce due suoi sonetti, uno sulla sua tomba e l'altro sulla morte del marito. ella fu ricevuta in Arcadia, ma, sopraffatta dall'emozione, le mancò la voce al momento di recitare dei versi. Il suo viaggio proseguì quindi verso Napoli, di dove poi raggiunse Palermo. Nel viaggio di ritorno verso Verona, dove era probabilmente nel giugno, si fermò anche a Firenze.
La C. conosceva Aurelio Bertola almeno dall'anno precedente, ma l'interesse per questo letterato si era fatto vivace in quel torno di tempo, se Elisabetta Contarini Mosconi, il cui rapporto con il Bertola era ormai logorato, gli scriveva appunto nel giugno di quell'anno: "La Silvia dice che farà all'amore con voi se sarete più robusto e non tanto molle nelle maniere". L'argomento veniva ripreso dalla Mosconi il 13 sett. 1788, dopo una grave malattia della C., dalla quale si stava riprendendo in quei giorni. Certo nell'estate il Bertola aveva composto dei versi per la C. e quando nel settembre ella si mise in viaggio per Milano, dove era il giorno 24, anche il Bertola partì per la medesima destinazione. Anche altri pensavano che in quell'epoca la C. fosse l'ispiratrice del Bertola, tanto è vero che Saverio Bettinelli lo esortava a godersi "la varietà dei paesi" e a trovarsi spesso con la C., che, diceva, "val più d'ogni libro e vi farà far nuovi epigrammi".
Dopo Milano la C. toccò Torino e Genova, dove le fece da guida Maurizio Gherardini; visitate alcune località della Riviera, ritornò in Lombardia e di lì a Verona. A Milano la C. aveva conosciuto G. Parini, con il quale ebbe una corrispondenza epistolare scarsa quanto intensa. Ci sono conservate infatti tre lettere direttele dal poeta, che in una, del gennaio 1789, traccia un vivido ritratto di lei, descrivendone "la vivacità degli occhi, l'energia dell'espressione e quelle grazie dello spirito e della persona tutte sue, che ravvivata da una lievissima tinta maschile sono tanto più singolari e prepotenti". Nel marzo, il Parini, che in una lettera precedente galantemente si era profferto quale "vecchierello immaginoso" pronto a sospirarle "da vicino", le inviò il sonetto che inizia "Silvia immortal ..." (G. Parini, Poesie, a cura di E. Bellorini, II, Bari, 1929, p. 273). F. Reina pubblicando nel 1803, a Milano, il quarto volume delle Opere del Parini, ove sono contenute le tre lettere citate, lo dedicava alla C., pregandola di non volersi turbare per la pubblicazione di queste epistole, in cui ci si rivolge a lei con "il divino linguaggio dell'amore". Si propende ora a credere che anche l'ode del Parini "Sul vestire alla ghigliottina" (A Silvia, 1795) sia rivolta alla C., la quale pare si fosse attirata altri biasimi per aver adottato quella moda.
Tornata dunque dalla Lombardia a Verona, la C. non vi restò a lungo e nell'estate del 1790 intraprese un altro viaggio, questa volta accompagnata dal conte Francesco Emili, che da allora fu il suo accompagnatore ufficiale. Ancora una volta la C. si diresse a Sud. A Firenze conobbe Dionigi Strocchi, che le dedicò la sua traduzione degli Inni a Venere, usciti nella stessa città l'anno stesso. Proseguì poi verso Roma, dove ritrovò gli amici conosciuti nel 1786, passò a Napoli, dove si mise in relazione con Alberto Fortis, ed arrivò fino a Palermo, dove soggiornò un mese. Sempre nel 1790, a cura di A. M. Pedrotti, uscirono a Verona i tre volumi delle Opere di Gerolamo Pompei, intrapresa voluta e favorita dalla C., che si professava allieva del Pompei, morto due anni prima e che ella aveva fatto onorare con l'erezione di un busto.
Nella dedica alla C. il Pedrotti, mettendone in rilievo la devozione e l'amore che aveva portato al Pompei, tornò - anche lui - ad attribuirle la qualifica di "immortale"; la dedica non incontrò l'approvazione del Pindemonte, il quale scriveva a Clementino Vannetti, altro amico della C., che la giudicava "un riso ... un umore rarissimo", che "l'offrir cosa latina ad una signora ha sempre del ridicolo, perché non si suppone mai che una donna benché ingegnosa e colta, sappia di latino" (Cimmino, II, p. 125).
Nei primi mesi del 1791 la C. si recò prima a Brescia per ragioni di salute e quindi a Venezia, dove soggiornò qualche mese e dove frequentò il salotto di Isabella Teotochi Albrizzi. In seguito la C. non intraprese che brevi viaggi, mentre la sua vita mondana rimaneva intensa e il suo salotto nel pieno fulgore. Lettere del 1793 illustrano i suoi rapporti con Vincenzo Monti, che le accennava in una lettera del settembre a un contrasto che lo divideva da Saverio Bettinelli, altro corrispondente assiduo della Curtoni. Con l'arrivo dell'esercito francese una grave sciagura si abbatté sulla C., poiché il conte Emili, che era provveditore di Verona, dopo le Pasque veronesi, fu giustiziato nel maggio del 1797. Tuttavia nelle drammatiche vicende di quel periodo la C. si mantenne sempre in relazione con la fazione dominante. Pare che sia stata presentata a Napoleone; quando però la Repubblica veneta fu annessa all'Austria, ella fece buona accoglienza agli Austriaci, tanto che il Pindemonte scriveva nell'agosto del 1800 di averla vista "circondata da ufficiali tedeschi come fosse una fortezza francese".
Le vicende pubbliche della città e private della C. non impedivano che gli scambi culturali incentrati sul suo salotto continuassero. Nel 1802 e nel 1804 G. I. Dionisi dedicava alla C. la prima e la seconda edizione del suo De' vicendevoli amori. Sirinnovavano gli scambi di versi con gli amici lontani e le gentili riunioni. Continuavano i brevi viaggi della C.: nella primavera del 1800 a Venezia, nel 1801 a Mantova, nel 1802 a Milano; nell'estate del 1803 si recava a Padova, nell'aprile 1805 a Mantova, ove visitava il Bettinelli, nel 1806 a Parma.
Nel giugno del 1806 giungeva nel salotto della C. Ugo Foscolo, che scrivendo alla Albrizzi diceva: "la Verza m'ha del maschile ...", soggiungendo poi che dovendo rimanere a Verona avrebbe preferito la conversazione di Camilla Strozzi "alle sentenze dell'Amazzone". Se era difficile ormai per la C. di conquistarne di nuovi, tuttavia i vecchi amici le restavano fedelissimi e fra loro la C. cominciò a far circolare i suoi Ritratti, che sottopose all'approvazione dei ritratti viventi, accettandone i consigli. Ad imitazione di un'opera simile della Albrizzi, uscita nel medesimo anno, nel 1807 a Verona furono pubblicati della C. i Ritrattid'alcuni illustri amici. Essi, dedicati a B. Odescalchi, contengono il profilo di concittadini della C., in compagnia dei quali ella dice di aver passato le sere "più liete ed utili della [sua] vita".
Oltre al Pindemonte, al Bettinelli, al Pompei, al Carli, già nominati, appaiono i ritratti di B. Lorenzi, che nel 1811 le dedicò la terza edizione del suo Della coltivazione de' monti e alla morte del quale la C. si adoperò perché gli fosse posto un busto nella chiesa di S. Anastasia di Verona, di A. M. Lorgna, di M. Sagramoso, di P. Cossali, che l'anno dopo le dedicava i suoi Sonetti VII e che in una lettera del 1812 la qualificava ancora una volta immortale, anzi "veracemente immortale", e di altri letterati, storici, astronomi, medici. Parlando di Benedetto Del Bene la C. difende la validità delle "dotte adunanze", in cui "la presenza dell'uomo dotto e virtuoso instruisce l'ignorante, incoraggia i buoni e serve di specchio a' malvagi". Nell'operetta trovano posto anche i ritratti di quattro donne.
Due anni più tardi la C., divenuta membro almeno dal 1805 (con il nome di Flaminda Caritea) della colonia veronese dell'Arcadia, scriveva per un suo nipote, alla cura del quale si dedicò con molta passione, i Consigli di Flaminda Caritea P. A. al suonipoteOrazio Verza (Verona), in versi anacreontici, che il Cossali definì "un tesoretto di elette massime moralì fregiate di poetiche venustà". Nel 1810 la C. pubblicava a Verona un volumetto di Terze rime, che conteneva tre liriche ispirate alla soppressione dei monasteri femminili. Un altro volumetto di versi con il medesimo titolo di Terze rime lo pubblicava sempre a Verona nel 1812. Conteneva tre poesie, di cui una dedicata a un lutto che aveva colpito Clementina Marioni, per la quale aveva pubblicato anche tre epigrammi in Versi in morte di CarloMarioni (Verona 1805). Le poesie di ambedue questi opuscoli confluiranno poi in una più consistente raccolta che la C. pubblicò a Verona nel 1822, sempre con il titolo di Terze rime, dedicato allo scomparso B. Lorenzi. Nel medesimo anno ella primeggiò durante il congresso di Verona e indirizzò un carme all'imperatrice d'Austria. Tale cortesia non fu, pare, apprezzata da tutti, se C. Betteloni sentì il bisogno di giustificarla "perché donna, mentre fur frasche al vento uomini egregi".
La C., di cui dipinse il ritratto Gaspare Landi, morì a Verona il 20 ag. 1835, ancora circondata da una rinnovata schiera di amici. Conchiudeva così una vita quasi identificata con la letteratura e la mondanità, in cui gli avvenimenti politici erano entrati quasi solo come spinta all'esercizio delle doti mondane e letterarie; moriva lasciando un'immagine abbastanza viva e coerente, contrariamente a quanto forse troppo recisamente giudicava il Carducci, che si chiedeva a proposito della C. e delle altre dame dei salotti settecenteschi: "Vissero queste donne?".
Nel ms. 1674 della Bibl. comunale di Verona sono conservati due sonetti della C. e alcuni epigrammi a lei dedicati. Non si sa dove sia finita la sua biblioteca, in cui, a detta del Pindemonte, confluirono nel 1808 i libri del Tiraboschi. Nel 1884 G. Biadego pubblicò a Verona il Carteggio inedito della Curtoni.
Fonti e Bibl.: Per le vicende biografiche, i giudizi sulla sua personalità e i rapporti con alcuni letterati: U. Foscolo, Epistolario, a cura di P. Carli, II, Firenze 1952, pp. 115, 137, 139; B. Montanari, Vita di S. C. Verza, Verona 1851; G. Biadego, Donna S. C. Verza a Milano..., in Da libri e manoscritti..., Verona 1883, pp. 107-16; T. Gargallo, Opere, I, Siracusa 1923, pp. 341 s.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929. pp. 136, 138, 162, 187, 709; N. Vaccalluzzo, Fra donne e poeti nel tramonto della Serenissima, Catania 1930, ad Ind.; A. Piromalli, Cultura e letter. nel secondo Settecento, in Lettere italiane, IX (1957), pp. 31, 54 ss.; Id., G. Parini, Firenze 1966, ad Ind.; N. F. Cimmino, I. Pindemonte ..., I-II, Roma 1968, ad Ind.; F. Piva, Voltaire e la cultura veronese nel Settecento ..., in Aevum, XLII (1968), pp. 324, 327; F. Giacobazzi Fulcini, Patrizi e cultura a Verona .... in Studi stor. veron. L. Simeoni, XXX-XXXI (1980-1981), p. 394. Per l'epistolario: V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, pp. 376 s., 380 s.; III, ibid. 1929, pp. 383, 386, 445; V. Vannetti, Epistolario scelto, a cura di B. Gamba, Venezia 1831, pp. 85-87, 93, 104 s., 175 s.; A. N., rec. al Carteggio della C., in Arch. stor. ital., s. 4, XIV [1884], pp. 436 s.; A. Pirornalli, A. Bertola..., Firenze 1959, ad Ind.