SILVESTRO II Papa (Gerberto di Aurillac)
Nato verso la metà del sec. X, con tutta probabilità in Aquitania e certo da umilissima famiglia, fu educato nel monastero benedettino di Saint-Géraud ad Aurillac in Alvernia. La vivissima passione per lo studio manifestata da Gerberto indusse il suo maestro Raimondo, abate del monastero, ad affidare questo al duca di Spagna, Borel, il quale a sua volta lo affidò al vescovo dl'Vich in Catalogna. Gerberto rimase in Spagna tre anni (967-970) e dovette allora venire a contatto con la scienza araba (ma è pura leggenda la notizia di un viaggio a Cordova) approfondendosi nello studio delle matematiche, della filosofia e della teologia. Seguì quindi a Roma il suo protettore Borel conquistandosi con la sua preparazione umanistica e con la sua cultura matematica la stima di papa Giovanni XIII. Segnalato dal papa a Ottone I, Gerberto, per desiderio dell'imperatore, fu trattenuto a Roma a insegnare e forse ebbe fra i suoi ascoltatori lo stesso cesare Ottone II.
Quando Garamno, arcidiacono di Reims ed espertissimo maestro di logica, venne a Roma come ambasciatore di Lotario presso Ottone, Gerberto indusse l'imperatore e il papa a consentirgli di seguire Garamno a Reims (972) dove quell'arcivescovo, Adalberone, lo nominò scolastico. Durante dieci anni, G. si dedica all'insegnamento con un fervore e un successo crescenti, e spiega una febbrile attività nella ricerca di codici che copisti da lui pagati trascrivono per lui e che egli stesso acquista a Roma, in Italia, in Germania e in Belgio. La sua fama si è ormai diffiusa ovunque, rafforzata anche dalla sua vittoriosa disputa con lo scolastico Otrico (a Ravenna, di fronte a Ottone II, nel 980). Nel 983 Ottone II nominandolo abate del monastero di S. Colombano a Bobbio, gli affidava il governo di una delle più ricche abbazie d'Italia e lo legava a sé col giuramento della fedeltà feudale. Ma la rivalità dell'antico abate Petroaldo, il malcontento dei vassalli dell'abbazia e degl'Italiani verso quello che essi consideravano come un intruso, l'indifferenza quando non l'ostilità di vescovi e papi, lo stesso incerto atteggiamento dell'imperatore costretto a non alienarsi i suoi sottoposti Italiani ostili a Gerberto, costituivano altrettante pietre d'inciampo al governo di Gerberto che finì con trovarsi e sentirsi isolato. Morto Ottone II (7 dicembre 983), Gerberto fu costretto a ritornare a Reims. Amico e consigliere dell'arcivescovo Adalberone, cancelliere di Francia, guida praticamente la politica di questa: crea in Germania difficoltà di ogni sorta contro Enrico di Baviera, desideroso di assicurarsi, con la tutela del giovanissimo ottone III, il potere effettivo; in Francia, morto Lotario (marzo 986), guida gli atti della vedova Emma e, dopo il brevissimo regno di Luigi V, fa coronare re Ugo Capeto lavorando, in qualità di segretario, a rafforzarne il potere contro i maneggi di Carlo di Lorena, zio dell'ultimo re carolingio. Il 23 gennaio 989 muore Adalberone designando Gerberto a succedergli. Ma Ugo, ritenendo forse, da malaccorto politico, di vincere con questo il malumore dei Carolingi, volle fosse eletto Arnolfo, figlio naturale di Lotario. Gerberto, pur rimanendo a fianco del nuovo cancelliere, si rivolse per aiuto in Germania: ma non fu ascoltato. E quando Arnolfo aprì le porte di Reims a Carlo di Lorena, Gerberto, designato a Carlo come vero artefice dell'elezione di Ugo, fu indotto, a scanso di peggio, a fiancheggiare la politica di Carlo. Ma non per molto. Ugo prende di nuovo il sopravvento e un concilio della Gallia, radunato nel convento di Saint-Basle a Verzy (il famoso concilio di Saint-Basle al quale si richiameranno tante volte i difensori della superiorità del concilio sul papa), depone Arnolfo e nomina in sua vece Gerberto (17-18 giugno 991). Ma i vescovi francesi non avevano canonicamente il diritto di deporre un vescovo senza che il concilio fosse presieduto dai delegati della Santa Sede e d'altra parte questa, favorevole alla casa degli Ottoni, vedeva di malocchio la politica di Ugo Capeto. Giovanni XV incarica (992) il suo legato Leone, abate del monastero romano dei Ss. Bonifacio e Alessio, di agire contro i deliberati del concilio di Saint-Basle. Nonostante le reiterate difese di Gerberto, l'opposizione di Ugo e Roberto, figlio e successore del primo e la conferma delle decisioni di Saint-Basle deliberata dal concilio dei vescovi francesi radunato a Chelles (9 maggio 994), il legato pontificio in una serie di concilî (Aquisgrana; Ingelheim; Mouzon in Lorena del 2 giugno 995: il più importante; Reims, del 1° luglio 995, l'identificazione del luogo è dubbia) fece annullare le decisioni di Saint-Basle, sospendere Gerberto dalle sue funzioni ecclesiastiche e dichiarare illegali e invalide sia la deposizione di Arnolfo, sia l'elezione di Gerberto. Il quale frattanto, alienatasi la simpatia di Roberto per avere dichiarato contrario alle leggi della Chiesa il progettato matrimonio di questo con Berta, si era rifugiato in Germania presso Ottone III; quando questi nel 996 si recò in Italia per farsi coronare imperatore, Gerberto lo seguì in qualità di maestro, di segretario e di consigliere. Nominato arcivescovo di Ravenna (aprile 998) da Gregorio V, cugino di Ottone, Gerberto sottoscrive col papa l'atto di scomunica contro Roberto andato sposo a Berta. È ormai la guida ascoltata del giovanissimo imperatore e il suo vero ispiratore nel piano vagheggiato della renovatio imperii Romanorum (v. ottone iii), sicché quando, alla morte di Gregorio, Ottone volle papa Gerberto (2 aprile 999), questi assunse il significativo nome di Silvestro. Eletto papa, Gerberto riconferma Arnolfo sulla sede arciepiscopale di Reims e nomina Petroaldo abate di Bobbio; promuove l'espansione del cristianesimo in Polonia e in Ungheria; elabora la costituzione del nuovo impero. Ma la realtà politica dell'Italia e della stessa Roma erano allora troppo distanti da un piano di restaurazione imperiale, che trascurava troppo col suo programma sostanzialmente italiano le basi tedesche della potenza ottoniana, sembrava non avvertire il pericolo insito in una situazione di condominio fra i due poteri e appariva infine viziato alla radice dallo stesso ideale classicheggiante, il quale, più che una realistica consapevolezza delle necessità politiche del momento, aveva suggerito quel piano a Gerberto e al suo ventenne discepolo imperiale. Il 16 febbraio 1001 papa e imperatore erano costretti a fuggire da Roma a seguito di una insurrezione dei Romani malcontenti del trattamento troppo benevolo usato da Ottone verso i loro eterni rivali di Tivoli.
Ai primi di maggio S., condotto dal marchese Ugo di Toscana, può rientrare nella città tornata sotto il potere dei Crescenzî. Visse ancora tre anni fino al 12 maggio 1003 impotente a frenare il corso degli avvenimenti e il crollo del suo ideale.
L'attività politica di Gerberto in Francia e l'avere egli legato il suo nome al tentativo di Ottone III, non possono fare dimenticare l'importanza che ha l'attività di Gerberto, erudito e maestro, nella storia della cultura medievale. Anzi si potrebbe dire che la stessa incertezza di atteggiamenti che contraddistingue la politica francese di Gerberto, troppo spesso e arbitrariamente imputata a machiavellismo politico, e quel tanto di astratto e di intellettualistico che si può riscontrare nel programma della renovatio, mostrano quanto in lui potessero le sue attitudini di uomo di cultura. Attraverso ciò che sappiamo del suo insegnamento (sopra tutto a Reims), attraverso il suo prezioso epistolario, attraverso le sue opere filosofiche e teologiche (Libellus de rationali et ratione uti; De corpore et sanguine Domini) risulta evidente che quanto caratterizza l'opera speculativa e pratica di Gerberto è soprattutto la sua varietà e molteplicità di aspetti e un profondo sforzo sintetico per coordinare queste membra sparse in un'unica visione d'insieme. Dotato di un'erudizione forse unica ai suoi tempi (egli peraltro ignorava il greco) ma non di un'intelligenza originale, Gerberto non ha, in fondo, apportato nulla di nuovo al patrimonio della cultura medievale. Ma la sua importanza sta in questo suo sforzo di ritrovare, assimilare, coordinare, e far rivivere per i suoi contemporanei tanta parte, smarrita, della cultura antica, traendo da questa partito per esaminare le questioni d'interesse attuale o per sollevare problemi, la soluzione dei quali doveva condurre a conoscenze e a vedute nuove.
Queste caratteristiche della personalità intellettuale di Gerberto risultano anche più evidenti dall'indagine della sua attività più strettamente scientifica (alla quale si deve far risalire in parte la leggenda, così diffusa nei secoli XI e XII, di un Gerberto mago ed eretico) e delle pretese innovazioni che egli avrebbe arrecato in questo campo.
Dagli scritti matematici a lui attribuiti risulta che egli possedeva la cultura scientifica del suo tempo, cioè quella derivata dalle scuole romane della decadenza, le quali erano sopravvissute specialmente in Italia e in Francia. La sua opera maggiore è una Geometria, nella quale sono citati Plinio, Boezio, e varî agrimensori romani. È un trattato pratico, non originale, ma adatto ai bisogni. In una corrispondenza con Adelboldo benedettino, vescovo di Utrecht, Gerberto parla De modo inveniendi crassitiem [soliditatem] spherae: sono calcoli elementari, senza preoccupazione sull'approssimazione raggiunta. È stata attribuita a Gerberto l'introduzione delle cifre arabe in Europa. È una supposizione priva di ogni fondamento. Le conoscenze matematiche di Gerberto non superano quelle delle scuole di tradizione puramente romana, che egli continuò. I due opuscoli di Gerberto, Regula de abaco computi, e il Libellus de numerorum divisione, sono spiegazioni elementari del modo di eseguire le quattro operazioni di aritmetica sull'abaco dei Greci e dei Romani, adoperato in Europa fino al sec. XV, e ancor oggi in Cina. Le spiegazioni sono prolisse, ma l'uso dell'abaco è comodo e semplice. Si attribuisce infine a Gerberto la costruzione di una meridiana in Magdeburgo. Tra i discepoli è da annoverare Bernelino, che scrisse in Parigi un Liber abaci, in cui sono illustrate le regole del maestro. In conclusione le conoscenze matematiche di Gerberto sono assai limitate, cioè quelle dei letterati, degli amministratori, dei proprietarî terrieri dell'epoca sua. La rinascenza matematica dei secoli XII e XIII è dovuta a studiosi provenienti da altre classi sociali, i mercanti e i navigatori, che ai tempi di Gerberto stavano appena sorgendo.
Fonti: Opere di Gerberto, edite da A. Olleris, Parigi 1867; Lettere, edite da J. Havet, ivi 1889; Opere matematiche, edite da N. Bubnov, Berlino 1899; gli Historiarum libri quatuor di Richerio, in Mon. Germ. Hist., Script., III; cfr. Liber Pontificalis, ed. L. Duchesne, Parigi 1884 segg., II, pp. 263-264; Ph. Jaffè, Regesta, I. 2ª ed., p.469 segg.
Bibl.: E. Picavet, Gerbert, Parigi 1897; Duca de La Salle de Rochemaure, Gerbert. Silvestre II, ivi 1914; P. E. Schramm, Kaiser, Rom und Renovatio, Lipsia 1929; F. Eichengrün, Gerbert als Persönlichkeit, Lipsia 1928; A. Pérez Goyena, Théologos extranjeros formados en Espana. El monje Gerberto, in Estudios eccles., V (1926), pp. 224-249; M. Manitius, Gesch. d. lat. Lit. des Mittel., II, Monaco 1924, p. 729 segg.; W. P. H. Kitchin, A pope-philosopher of the tenth Century. Silvester II, in Cath. hist. Review, 1922, pp. 42-54; P. E. Schramm, Die Briefe Kaiser Otto III. und Gerberts von Reims aus dem J. 997, in Arch. f. Urkundenforschung, IX (1924), pp. 87-122. Per gli scritti matematici v. T. H. Martin, Les signes numeraux de l'aritmétique, XXI; Vie de Gerbert, in Ann. di Matematica, V, Roma 1864; M. Cantor, Vorlesungen üb. Geschichte der Mathematik, 3ª ed., I, Lipsia 1907, pp. 847-878: esposizione prolissa e confusa.