Gerberto di Aurillac (n. 940 circa - m. 1003), di umile famiglia dell'Alvernia, educato nel monastero benedettino di Saint-Géraud ad Aurillac in Alvernia, fu affidato poi al conte catalano Borrel; avendo accompagnato quest'ultimo a Roma, per la sua preparazione umanistica e la sua cultura matematica vi fu trattenuto da Giovanni XIII. Conosciuto Garamno, arcidiacono di Reims e celebrato maestro di logica, ottenne di seguirlo (972) nella sua città, dove per dieci anni insegnò, dedicandosi anche a una febbrile raccolta di codici. Ottone II lo volle (983) abate del grande monastero di S. Colombano a Bobbio, nonostante l'opposizione dei vassalli del monastero e della gerarchia ecclesiastica. La morte di Ottone II lo persuase a ritornare a Reims, dove, a fianco dell'arcivescovo Adalberone, guidò la politica francese, portando al trono Ugo Capeto, contro i tentativi di Carlo di Lorena, zio dell'ultimo re carolingio. Designato a succedere ad Adalberone (989), da Ugo gli fu anteposto Arnolfo, figlio naturale del re Lotario, per la speranza di aggirare così l'opposizione carolingia. Ma, di fronte alle pretese regali di Carlo di Lorena, il re Ugo, nel concilio di Saint-Basle, depose Arnolfo nominando in sua vece Gerberto (991). Contro tale decisione, illegale, non essendo il concilio presieduto dal legato pontificio, prese posizione Roma, annullando, con una serie di concilî, gli atti del concilio di Saint-Basle. Gerberto intanto, perduto l'appoggio del re Roberto, successore di Ugo, per essersi opposto al progetto di matrimonio con Berta, contrario alle leggi della Chiesa, s'era rifugiato in Germania alla corte di Ottone III, del quale era diventato maestro e consigliere. Nominato arcivescovo di Ravenna (998), fu l'ispiratore della renovatio imperii perseguita dal giovane imperatore. Eletto papa (999), riconfermò Arnolfo nell'arcidiocesi di Reims, promosse l'espansione evangelica in Polonia e in Ungheria, elaborò soprattutto il progetto teorico della restaurazione, centrata su Roma, dell'Impero cristiano. Questo programma, che teneva troppo poco conto delle basi tedesche dell'impero ottoniano e della situazione di Roma, subì un primo insuccesso, quando il contrasto locale tra Romani e Tivolesi fu causa di una insurrezione che lo costrinse a lasciare Roma insieme a Ottone III (1001). Accompagnato dal marchese di Toscana, rientrò nella città, in mano ormai ai Crescenzî, senza che per altro gli riuscisse di imporre le sue direttive. La sua visione politica, per quel tanto di astratto che ebbe, fu strettamente legata alla sua cultura. Erudito grandissimo, il suo sforzo nel campo filosofico e teologico fu quello di assimilare e coordinare la cultura antica in un'unica visione d'insieme cristiana, e per tale sforzo, e per il suo interesse anche scientifico, nacque più tardi la leggenda (secc. 11º-12º) che lo volle mago ed eretico. Di lui ci restano, oltre un prezioso epistolario, una Geometria e opere filosofiche e teologiche.