ALDOBRANDINI, Silvestro
Nacque a Firenze da Pietro il 24 nov. 1499. Studiò diritto a Pisa, laureandosi il 25 maggio 1521; insegnò poi istituzioni nella stessa università. Nel 1527, durante i moti antimedicei scoppiati a Firenze, fu tra i primi ad assalire il palazzo del cardinale Passerini. Dopo la instaurazione della Repubblica fu nominato cancelliere delle Riformagioni. Fautore degli ottimati, nel 1528, per favorire N. Capponi contro il candidato popolare, incorse nell'accusa di frode negli scrutini per il rinnovamento del gonfalonierato. Fu allora deciso di sostituirgli nella carica G. Giugni, ma, poiché questi rifiutò, venne riconfermato.
Nel 1529 l'A. si trovava a Firenze durante l'assedio della città ad opera delle truppe di Clemente VII e Carlo V. Ma di lui, in questo periodo, si sa ben poco, oltre al fatto che fu incaricato di condurre Caterina de' Medici dal convento delle Murate a quello di S. Maria e che compose versi satirici contro Clemente VII e Baccio Valori. Quando questi entrò a Firenze, l'atteggiamento dell'A. fu, però, assai conciliante: non solo prestò la sua opera (come del resto tutta la Signoria) per convocare il popolo a Parlamento e farne consacrare il governo del Valori, ma continuò ad espletare le sue funzioni per breve tempo anche sotto il governo di questo. Soltanto nel 1530 l'A. fu imprigionato, ma, per intervento del Valori, ebbe salva la vita. Fu, però, confinato per tre anni fuori dello stato di Firenze. Egli si recò in un primo tempo a Venezia, dove fu incaricato della riforma delle leggi; poi, fino al 1533,restò a Faenza, dove pure si occupò di riforme giuridiche. Nel 1533 la sua condanna, come quella di molti fuorusciti fiorentini, fu ribadita. Passò allora a Roma, dove, dopo la morte di Clemente VII, si erano riuniti molti suoi compagni di esilio. Fu tra i sei procuratori dei fuorusciti, che, prima con petizioni scritte, poi, nel 1535 a Napoli, con perorazioni dirette, cercarono di ottenere un intervento favorevole di Carlo V presso Alessandro de' Medici. Ma nè le prime, nè le seconde ebbero alcun effetto: anzi, nel 1535,l'A., come molti altri, subì la confisca di tutti i beni.
Nello stesso anno accettò il posto di sostituto del vicelegato di Fano e nel 1536 si trasferì a Bologna, dove, prima, fu Giudice del Torrone per le cause civili, poi, nel 1537, vicereggente. Qui venne in contatto, primo tra i fuorusciti fiorentini, con Lorenzino de' Medici e ricevette la notizia dell'uccisione di Alessandro, notizia alla quale egli, secondo quanto narra il Varchi, in un primo tempo non credette. Nonostante il divieto di papa Paolo III, prese parte, seppure marginalmente, alla preparazione dell'impresa dei fuorusciti, che si concluse infelicemente a Montemurlo (1537). Dovette perciò abbandonare Bologna, passando al servizio del cardinale Ippolito IId'Este, come auditore, e del duca di Ferrara, Ercole Il, come auditore generale e consigliere (1538-45). Negli stessi anni rese numerosi servigi al cardinale B. Accolti. Del resto, già nel 1534, quando Paolo III aveva privato l'Accolti del governo di Ancona, l'A. gli aveva consigliato di resistere alla misura del papa; e, nel 1535,dopo l'arresto del cardinale, ne aveva assunto la difesa al processo. Dopo la liberazione dell'Accolti, l'A. fu da lui incaricato di ricuperare i beni che gli erano stati confiscati a Roma. Dal 1538al 1545, a Ferrara, svolse anche le funzioni di agente dell'Accolti.
Dal 1545 fu presso il duca d'Urbino, come auditore generale e consigliere. Verso la fine del 1548 infine ottenne, con l'appoggio del cardinale Farnese, il posto di avvocato concistoriale a Roma. Immediatamente dopo il suo arrivo, l'A. sollecitò ed ottenne dal duca Cosimo I la riconciliazione (gennaio 1549). Tuttavia essa ebbe breve durata. Già nel 1552entrò in rapporto, almeno indirettamente, con i Francesi, quando Ippolito IId'Este, incaricato da Enrico IIdi riformare lo stato di Siena, lo scelse come proprio consultore giuridico insieme con B. Cavalcanti. Diventò poi l'avvocato ufficiale del re di Francia a Roma e come tale partecipò al processo contro il conte del Bagno (ottobre 1554).
Particolare influenza ebbe l'A. a Roma, dopo l'elevazione di Paolo IV al pontificato (1555). Fu scelto come segretario per gli affari fiscali e criminali dal nuovo segretario di stato, Carlo Carafa, e ne diventò uno dei più fedeli collaboratori. Insieme con Giovanni della Casa, l'A. prese allora posto tra i più accesi fautori della guerra antispagnola. Durante la legazione del cardinale Carafa in Francia, fu l'A. ad informarlo da Roma delle mene dei Colonna contro l'autorità del papa, e a fornirgli, quindi, un pretesto per orientare in modo tutt'altro che pacifico le sue negoziazioni alla corte di Francia. Il 27 luglio 1556 fu l'A., come procuratore della Camera apostolica, a leggere in concistoro la protesta redatta dal procuratore fiscale contro Carlo V e Filippo Il, colpevoli di sostenere sudditi ribelli al papa, e a richiedere, nei loro confronti, la scomunica. Il 14 nov. 1556, dopo la morte del della Casa, la nomina ufficiale dell'A. a segretario intimo di Paolo IV parve ancora rafforzare la sua posizione alla corte pontificia. Alcuni mesi prima, del resto, Paolo IV aveva dimostrato la propria personale stima per l'A., includendolo nella terza classe della Congregazione della Riforma, che doveva occuparsi della questione della simonia (24 febbr. 1556).
Durante la permanenza del cardinale Carafa a Venezia, Ferrara, Bologna (novembre 1556-marzo 1557), l'A. fece parte del consiglio particolare creato dal papa per regolare le questioni relative alla guerra durante l'assenza del segretario di stato. Qui, però, l'A. restò rapidamente isolato, per il prevalere del partito dei moderati, tra i quali si era schierato anche il fratello del cardinale, il duca di Palliano. Conseguenza di questa nuova situazione fu la caduta in disgrazia dell'A. (marzo 1557), accusato di avere aperto lettere inviate da Cosimo I, ricevuto indebite pensioni e regali (in particolare dai Farnese), seminato discordia tra i due nipoti Carafa, ed anche di avere taciuto a Paolo IV un processo contro alcuni sodomiti che si svolgeva allora a Roma. Per quanto giustificate potessero essere tali accuse, il suo allontanamento fu un colpo politico contro Carlo Carafa, che al suo ritorno cercò vanamente di difendere l'A. e poté soltanto evitargli la prigione. Èerroneo riferire all'A., come fa il Brown (Calendar of State Papers), la notizia comunicata da B. Navagero dell'arresto del fiscale avvenuto nel dicembre 1557. L'A. terminò la sua esistenza come privato cittadino; morì il 6 giugno 1558e fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Maria sopra Minerva a Roma.
Nel 1520 sposò Lisa Deti, dalla quale ebbe numerosi figli: quattro di essi, Giovanni, Ippolito (futuro Clemente VIII), Tommaso, Pietro, restarono al servizio della S. Sede; due, Bernardo e Ormanozzo, intrapresero la carriera delle armi. Una figlia, Elisabetta, sposò Aurelio Passeri, commerciante di Senigallia.
L'A. scrisse numerose opere di diritto. Particolare notorietà ebbero nei secc. XVI-XVII le sue edizioni commentate di Giustiniano, condotte secondo le norme della filologia umanistica, e in particolare le Institutiones iuris civilis,Venetiis 1538, con edizioni successive fino al 1580, e il Commentarium in librum primum Istitutionum Iustiniani,Venetils 1548, ristampato nel 1648. Pubblicò anche delle Additiones ad Commentaria Philippi Decii super decretalibus,Romae 1549 (Lugduni 1551, Romae 1579).Il nipote Pietro curò l'edizione postuma dei suoi Consiliorum libri, I, Romae 1594; II, ibid. 1597, raccolta dei pareri giuridici emessi dall'A. come avvocato concistoriale. Nel 1604 a Venezia vide la luce anche un suo trattato De Usuris.
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