SILVANO da Venafro
SILVANO da Venafro. – Nacque a Venafro, non si sa in che data. Il nome Marco, riportato da Camillo Minieri Riccio e ripreso da Pietro Manzi, si deve presumibilmente a un errato scioglimento dell’abbreviazione M., per ‘Messer’, che precede il nome «Sylvano da Venaphro» nel frontespizio dell’unica opera di questo letterato alla quale è legata la sua pur limitata notorietà: Il Petrarca col commento di M. Sylvano da Venaphro, dove son da quattrocento luochi dichiarati diversamente da gli altri spositori, nel libro col vero segno notati (Napoli, A. Iovino & M. Canzer, 1533).
Le notizie relative alla sua vita sono piuttosto scarse e incerte. Fu certamente attivo a Napoli già nel decennio precedente la pubblicazione del commento, dato che Antonio Minturno, accusando Silvano di plagio nei confronti del commento petrarchesco di Andrea Gesualdo, uscito qualche mese dopo, ipotizzò che questo fosse stato possibile grazie alla lettura da parte del venafrano di alcuni scritti su Petrarca raccolti dagli allievi di Minturno quando l’Accademia pontaniana era ancora attiva e che ebbero poi ampia circolazione a Napoli (Minturno, 1549, c. 161v).
Poche altre informazioni sono ricavabili dal paratesto dell’opera. Nell’indirizzo ai lettori Silvano afferma di essere stato incoraggiato a intraprendere la fatica del commento dagli amici Antonio da Venafro e Vincenzo di Pari, il primo dei quali potrebbe essere identificato con il giurista Antonio Giordano da Venafro, attivo a Napoli dal 1519 fino alla morte, avvenuta nel 1530.
Nella stessa introduzione afferma di aver ritardato la pubblicazione dell’opera, conclusa da più di dieci anni, a causa delle guerre d’Italia, nelle quali quindi potrebbe essere stato in qualche modo impegnato.
Il Petrarca col commento di M. Sylvano da Venaphro, dedicato a Filippo della Noi (di Lannoy), principe di Sulmona, e pubblicato nel marzo del 1533, presenta qualche problema di datazione compositiva che ne rende incerta l’anteriorità rispetto alla Spositione di Gesualdo. Nella dedica l’autore afferma che da molti anni era «stata già l’ultima mano imposta» al commento (c. †2r) e nella dedica ai lettori precisa di averla portata a termine già da dieci anni (c. A1r). Inoltre, l’opera reca un privilegio di stampa di papa Clemente VII del 1526 (c. †2v). Tuttavia, il commento di Gesualdo pubblicato nel luglio del 1533, è introdotto da una lettera di Giovambattista Bacchini, indirizzata a Minturno e datata 1532, in cui il mittente lamenta il ritardo nella pubblicazione dell’opera, che sarebbe stata inviata a Venezia per la stampa più di due anni prima. Al ritardo della stampa veneziana fa riferimento anche Minturno in una lettera non datata indirizzata a Maria de Cardona, marchesana di Padula, nella quale accusa Silvano di aver plagiato l’opera dell’allievo Gesualdo, che egli aveva autorizzato all’uso delle sue acquisizioni intorno al Petrarca volgare. Più precisamente, secondo Minturno, Silvano avrebbe avuto la possibilità di conoscere alcuni scritti tratti dalle lezioni su Petrarca da lui tenute all’Accademia pontaniana e che avevano ormai avuto ampia diffusione a Napoli. Come prova del plagio operato da Silvano, Minturno adduce l’esposizione di un luogo della canzone Sì è debile il filo a cui s’attene, il cui rapporto con un passo dell’Eneide sarebbe stato da lui stesso individuato per la prima volta e illustrato pubblicamente presso l’Accademia napoletana: «Mostrerò un luogho, il quale si credeva essere stato all’hora prima dichiarato nella Canzone Sì è debile il filo, ove dice, che portaron le chiavi de’ miei dolci pensier mentre a Dio piacque. Si disse publicamente all’hora esser questo detto ad imitatione di Virgilio, che nelli iiii de l’Eneida cantò Dulces exuviae dum fata deusque sinebant» (Minturno, 1549, c. 161v). Un plagio almeno parziale è in effetti verosimile se, come ricostruito da Gino Belloni (1992, p. 196) già intorno al 1525 Gesualdo aveva concluso una prima redazione dell’opera.
Al di là delle vicende compositive ed editoriali, il commento di Silvano non raggiunse il successo che toccò all’opera di Gesualdo e non fu più ristampato.
Il commento è introdotto dalle biografie di Francesco Petrarca e di Laura. La prima, Vita et costumi del poeta, è dichiaratamente un volgarizzamento dell’epistola Posteritati, integrato con un breve resoconto in terza persona della vita di Petrarca, dal punto in cui si interrompe l’epistola fino alla morte del poeta. Nella biografia di madonna Laura, invece, più che a ricostruire le vicende biografiche della donna, l’autore è interessato ad argomentare le tesi della sua origine nobiliare e del suo status di donna sposata, messi in discussione da «alcuni dispositori» (c. A4r).
Nel titolo e poi nella dedica a Filippo della Noi, Silvano si vanta di aver fornito una nuova esegesi per quattrocento luoghi petrarcheschi che erano stati trascurati dagli altri commentatori perché considerati di facile comprensione o per i quali erano state proposte interpretazioni a suo parere errate o non soddisfacenti. Tra gli espositori di Petrarca da cui Silvano prende le distanze vi è sicuramente Alessandro Vellutello, al quale, nella dedica ai lettori, egli rimprovera, con tono ironico e polemico, di aver reso con il suo commento, pubblicato nel 1525, ancora più intricati molti nodi che si era invece proposto di districare: «Et per dire il vero, i’ ho gran paura che ’l Vellutello un dì non venga a trovarmi, per carminarmi a guisa di Martinello: perch’ho trovato in molti di quei nodi più faticosi del Petrarca quali ha persuaso altrui di haver disciolti, che gli ha radoppiati et inviluppati sì, ch’io son stato costretto a dirlo» (c. A1r).
Consapevole della propria posizione culturale arretrata e marginale, Silvano si rivolge, nella stessa dedica, a Pietro Bembo chiedendo perdono per non aver seguito rigorosamente i precetti linguistici da lui forniti nelle Prose, che mostra di conoscere bene e delle quali riconosce l’autorità, e giustificando tale inadempienza con le difficoltà che incontra un non toscano nel farsi toscano in poco tempo: «Prego solamente il mio Bembo, non li dispiaccia di perdonarmi, se non ho osservato tutto quel ch’egli scrive della volgar lingua al suo Medici: Ch’io ci ho faticato assai: Ma non si può da un nato nelle selve et nutrito, senza gran tempo diventar Toscano». Soltanto in parte o soltanto apparentemente, però, l’imperfetto adeguamento alla norma bembesca è addebitato da Silvano alla propria incapacità di mettere in atto le regole fissate da Bembo; l’allontanamento dai precetti delle Prose, infatti, è presentato subito anche come una scelta in parte consapevole e motivata dalla volontà di adoperare quella che in due punti del commento egli chiama la «lingua nostra comune» (cc. A1v, l3v), in cui potevano trovare spazio forme non toscane ma ampiamente condivise dagli altri volgari italiani e forse anche elementi linguistici locali: «Né gli orecchi m’han voluto assentire, ch’io dica, Chenti, Altresì, Guari, Sappiendo, Guatare, conchiudere, Testé, Pecché, hoggimai, con alcune altre voci ch‹e› ’l mio odito rifuge. In questo, so che si potrà tener ben servito da me, che qualhor non mi è uscito di mente, ho detto Agevole, a suo modo, et non Facile, Malagevole, et non Difficile, Lui, et Lei negli obliqui, et Loro. È ben vero, ch’io mi sono alle volte scordato, et ho detto, Lui et Lei, nel primo caso, col verbo sustantivo: Facciami intender che pena ne va, ch’io ci la inviarò fin a Venetia» (c. A1r).
In linea con la lezione di Bembo è invece la tendenza di Silvano a presentare Petrarca come un modello di comportamento umano nella sua totalità. Se il commento di alcuni componimenti si riduce a semplici parafrasi, a scarni riassunti o addirittura all’esposizione di un solo verso, altri sono invece densi di osservazioni anche minuziose volte a ricostruire le occasioni dei singoli componimenti e a far emergere l’immagine di un uomo moralmente esemplare.
Per quanto riguarda il commento al Canzoniere, esso non presenta la divisione tra rime in vita e rime in morte di Laura e i componimenti sono numerati progressivamente secondo la forma metrica. L’ordinamento è vicino a quello della forma Malatesta, come dichiara lo stesso autore nel commento al sonetto proemiale: «L’ordine di Sonetti e Canzoni non l’habbiam voluto mutare, certi che di tal modo ridutti in libro li mandò al Signor Pandolpho Malatesta, che per una sua epistola li fur domandati» (c. B1v).
Il libro si chiude con nove rime disperse e quattro di corrispondenza di Geri Gianfigliazzi, Giovanni di Dondi, Sennuccio del Bene, Giacomo Colonna.
Non si conosce la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: A. Minturno, Lettere, Venezia 1549, c. 161v; N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato agli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678, p. 283; G.M. Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, Roma 1714, p. 306; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel regno di Napoli, I, 3, Napoli 1750, p. 265; G. Fontanini - A. Zeno, Biblioteca dell’eloquenza italiana, II, Venezia 1753, pp. 25 s.; L. Giustiniani, Saggio storico-critico sulla tipografia del Regno di Napoli, Napoli 1793, p. 139; D. Rossetti, Petrarca, Giulio Celso e Boccaccio. Illustrazione bibliologica delle vite degli uomini illustri del primo, di Cajo Giulio Cesare attribuita al secondo, e del Petrarca scritta dal terzo, Trieste 1828, p. 301; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 331; F. Casotti, Esposizione d’un luogo del Petrarca di varia e dubbia lezione, Napoli 1855, p. 18; F. Petrarca, Le Rime su gli originali, a cura di G. Carducci - S. Ferrari, Firenze 1899, p. XXVIII; P. Manzi, La tipografia napoletana nel ’500. Annali di Mattia Cancer ed eredi (1529-1595), Firenze 1972, pp. 30 s.; A. Quondam - G. Ferroni, La locuzione artificiosa. Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del manierismo, Roma 1973, pp. 42-47; P. Sabbatino, Il modello bembiano a Napoli nel Cinquecento, Napoli 1986, pp. 19-26; N. De Blasi - A. Varvaro, Napoli e l’Italia meridionale, in Letteratura italiana, Storia e geografia, II, L’età moderna, 1, Torino 1988, p. 306; G. Belloni, G. Andrea Gesualdo e la Scuola a Napoli, in Id., Laura tra Petrarca e Bembo. Studi sul commento umanistico-rinascimentale al «Canzoniere», Padova 1992, pp. 189-225; G. Petrella, Un commento ‘nato nelle selve’. Il Petrarca col commento di S. d. V., Napoli 1533, in Il Fondo Petrarchesco della Biblioteca Trivulziana. Manoscritti ed edizioni a stampa (sec. XIV-XX), a cura di G. Petrella, Milano 2006, pp. 117-120.