SILLOGISTICA
Termine filosofico, designante la teoria della natura e delle forme del sillogismo. Secondo la nota definizione aristotelica, quest'ultimo è un "ragionamento nel quale, poste alcune premesse, deriva da queste, e in forza di queste, necessariamente qualcosa d'altro"; ed è con ciò lo strumento fondamentale della logica dianoetica, qual'è principalmente teorizzata da Aristotele. Storicamente, la sua genesi s'inquadra nella complessa storia dei problemi logici del pensiero greco (v. logica), e particolarmente risponde alla concezione deduttiva o apodittica della conoscenza come tale che, discendendo da alcune necessarie premesse universali ("premesse immediate"), intuite noeticamente dall'intelletto, ne ricavi, con analitica necessità, tutte le particolari nozioni implicite.
Minutamente sviluppata nell'Organo aristotelico, e specialmente nei Primi analitici, la sillogistica, che costituisce il corpo principale della logica classica, ha avuto così vasto influsso su tutto il pensiero logico dell'antichità, del Medioevo e dell'età moderna ed è stata oggetto di tante ricerche e rielaborazioni, da rendere estremamente estesa una rassegna storica che volesse seguirne ordinatamente le manifestazioni. Queste d'altronde rappresentano, nella massima parte dei casi, piuttosto modificazioni, ampliamenti e perfezionamenti particolari della teoria aristotelica che vere e proprie mutazioni del suo contenuto ideale: basti quindi, per fornire un'idea sommaria della sua costituzione, limitarsi qui all'esame della fondamentale formulazione dello Stagirita.
A fondamento della sillogistica sta, si è detto, la concezione dianoetica della conoscenza come basata sul giudizio, o nesso predicativo collegante due noemi, cioè due contenuti ideali unitarî e determinati, in una sintesi asserente o negante che il secondo sia predicato del primo. E come il giudizio è sintesi di due noemi, così il sillogismo è sintesi di due giudizî: soltanto, perché sia possibile questa sintesi sillogistica, è necessario che i due giudizî abbiano un noema in comune. Questo noema assume il nome di "termine medio", appunto perché, mediando tra gli altri due termini, appartenenti ciascuno a uno dei due giudizî, ne rende possibile l'unità nel giudizio conclusivo. In contrapposizione al medio gli altri due noemi assumono quindi il nome di termini estremi, e in antitesi alla conclusione, costituita dal giudizio in cui culmina il sillogismo, i due giudizî che lo condizionano vengono chiamati premesse. Il rapporto che lega i tre termini del sillogismo deve essere d'altronde quello che nel sistema platonico delle idee ordinate secondo la loro estensione (v.) decrescente e comprensione crescente connette tre idee gerarchicamente dipendenti l'una dall'altra, nel senso che la prima contiene nella sua estensione la seconda e questa la terza, e la terza contiene di conseguenza nella sua comprensione la seconda e questa la prima (p. es., le idee di vivente, vertebrato, uomo). Il principio della deduzione sillogistica è invero costituito dal fatto che, venendo affermato dalle premesse che il primo termine è implicito, positivamente o negativamente, nel secondo e il secondo nel terzo, risulta perciò necessariamente che il primo è implicito nel terzo, giusta la legge logica espressa dalla formula generale nota notae nota rei. Dei due estremi il termine più esteso, cioè più universale, ha il nome di "termine maggiore", mentre l'altro ha quello di "minore": e conseguentemente le premesse che li contengono son chiamate premessa maggiore e premessa minore.
Ora, tali essendo i costituenti comuni di tutte le forme sillogistiche, la loro varietà dipende dalle differenze qualitative e quantitative delle premesse e dalla posizione che in esse ha il medio a seconda che vi compare come soggetto o come predicato. Qualitativamente diverse possono essere le premesse in quanto si presentano come affermative o negative ("A è B"; "A non è B"); quantitativamente, in quanto possono essere universali e particolari, cioè asserenti o neganti il predicato per tutta l'estensione del soggetto o soltanto per una sola parte ("tutti gli A sono B"; "alcuni A sono B"): dov'è da notare che la particolarità è del tutto diversa dall'individualità, identificandosi praticamente quest'ultima, in sede di sillogistica, con l'universalità, giacché dire "l'uomo è mortale" val quanto dire "tutti gli uomini sono mortali" (né il giudizio propriamente individuale, quale p. es. "Socrate è mortale", può naturalmente nel sillogismo, basato su rapporti di estensione e cioè di universalità dei termini, comparire altrimenti che come premessa minore). Dalla posizione del medio nelle premesse deriva la distinzione delle forme gillogistiche nelle principali "figure" (σχήματα, "schemi"), che per Aristotele sono tre, nella prima il medio presentandosi come soggetto nella premessa maggiore e come predicato nella minore, nella seconda come predicato in entrambe, e nella terza come soggetto in entrambe. A queste tre figure già l'antichità classica (secondo la tradizione per opera di Galeno, per quanto le sue singole forme fossero già state studiate dallo scolaro di Aristotele Teofrasto) ne aggiunge una quarta, nella quale il medio è predicato nella premessa maggiore e soggetto nella minore. In ciascuna di queste figure poi le singole forme sillogistiche, o "modi" (τρόποι), dipendono dalle già ricordate varietà qualitative e quantitative che possono presentare le premesse.
Non è peraltro da credere che le effettive figure sillogistiche siano determinate senz'altro dalla possibilità di combinare diversamente quelle varietà. Secondo il puro calcolo combinatorio, infatti, quattro essendo quelle varietà, per ciascuna delle figure si avrebbero sedici modi, e per tutt'e quattro le figure essi sarebbero sessantaquattro. Invece i modi "validi", cioè effettivamente concludenti con logica necessità, sono per tutt'e quattro le figure soltanto diciannove, la cui particolare costituzione è indicata dalle parole mnemoniche usate dalla scolastica, quando si tenga presente che, sempre secondo la sua terminologia simbolica, in ciascuna sillaba di tali parole la lettera A significa la premessa universale affermativa, la lettera E l'universale negativa, la lettera I la particolare affermativa e la lettera O la particolare negativa. Le parole designanti i quattro modi validi della prima figura sono Barbara, Celarent, Darii, Ferio, quelle designanti i quattro della seconda Cesare, Camestres, Festino, Baroco, quelle indicanti i sei della terza Darapti, Felapton, Disamis, Datisi, Bocardo, Ferison, e infine quelle significanti i cinque della quarta Bamalip, Calemes, Dimatis, Fesapo, Fresiso.
Quale il motivo di tale limitazione in fatto di validità logica, che fin da principio esclude la possibilità di considerare la sillogistica come semplice prodotto di un giuoco combinatorio dei suoi elementi, mostrando come la sua consistenza logica debba essere determinata da un assai più concreto e unitario principio? In realtà, tale principio è appunto quello che si è ricordato come espresso dalla formula nota notae nota rei, e cioè quello della possibilità di mostrare la sussistenza del termine minore nell'estensione del maggiore in forza della sua sussistenza nell'estensione del medio a sua volta contenuto nell'estensione del maggiore. Aristotele non deduce esplicitamente le figure sillogistiche da questo principio, ma implicitamente lo presuppone, in quanto controlla caso per caso la validità dei singoli modi sillogistici constatando se essi possono essere convertiti nel primo modo della prima figura. Tale risolubilità è per Aristotele conditio sine qua non della validità di ciascun modo: e perciò egli elabora minutamente una teoria della conversione (v.) delle premesse, cioè delle leggi secondo le quali è lecito, con opportune trasformazioni, sostituire a ciascuna premessa quella che se ne ottiene invertendo l'ordine dei termini, e cioè ponendo il termine che funge da soggetto al posto del predicato e viceversa. Egli determina a questo proposito come solo l'universale negativa e la particolare affermativa possano convertirsi mantenendo intatti i loro caratteri qualitativo e quantitativo (se è vero che "nessun mammifero è oviparo", è vero anche che "nessun oviparo è mammifero", e se è vero che "alcuni Ateniesi sono eroi" è vero anche che "alcuni eroi sono Ateniesi"), mentre l'universale affermativa può convertirsi solo diventando particolare (da "tutti gli uomini sono mammiferi" si può ottenere soltanto che "alcuni mammiferi sono uomini"), e la particolare negativa non ammette alcuna conversione (da "alcuni uomini non sono Ateniesi" non si può a rigore ricavare, convertendo il soggetto col predicato, alcuna premessa che appaia certa solo in virtù di ciò che è asserito dalla prima). Ora, il primo modo della prima figura, tutto composto di giudizî affermativi universali ("tutti gli uomini sono mortali, tutti gli Ateniesi sono uomini, dunque tutti gli Ateniesi sono mortali"), manifesta appunto nella forma più netta il rapporto di progressiva implicazione concettuale espressa dal principio nota notae nota rei. Con la sua riduzione di ogni modo valido a quel primo e fondamentale modo Aristotele manifesta quindi nel fatto come quel principio costituisca la condizione unica di ogni deducibilità sillogistica.
Ma per vedere come tale principio abbia effettivamente, in ogni caso, quel valore di condizione discriminante non c'è, allora, che da osservare come ogni modo invalido rappresenti una situazione logica dei termini escludente la possibilità di quel rapporto. Per veder ciò è necessario riferirsi alla teoria del giudizio (v.) e ricordare come le quattro forme predicative accolte nella sillogistica non abbiano in realtà lo stesso valore logico. Infatti le determinazioni di negatività e particolarità, che sembrano inerire all'attività sintetica della copula, non sono in realtà (giacché la copula non ha alcun concreto contenuto logico, designando soltanto verbalmente quella relazione dei termini che è già pienamente implicita nel loro singolo contenuto noetico) altro che elementi modificatori del contenuto dei termini stessi. In concreto, la premessa negativa non è altro che una premessa positiva il cui predicato è determinato soltanto negativamente dalla sua alterità rispetto a un predicato dato: "gli uomini non sono ovipari" non ha altro senso determinato all'infuori di quello che "gli uomini sono non-ovipari, altra cosa che ovipari". E la premessa particolare non è in concreto che una premessa universale riferita solo a una parte dell'estensione di un concetto, il quale risulta per ciò modificato nella sua portata logica, e in forma che resta indeterminata non meno di quanto rimanga indeterminato il predicato negativo, giacché non è chiarito quale sia la parte di quell'estensione per cui vale il giudizio che se ne esprime. Tutto ciò significa che il predicato delle premesse negative e il soggetto di quelle particolari è solo apparentemente lo stesso termine che nel medesimo sillogismo può altrimenti apparire in una premessa rispettivamente affermativa e universale: nel fatto è un termine diverso. S'intende quindi come, in tutti i casi in cui tale apparente identità e sostanziale dualità colpisce il termine che ha funzione di medio, non sussista più nel sillogismo quella essenziale identità del medio in entrambe le premesse, e quella conseguente trinità dei termini, che è presupposto imprescindibile della sua forza logica: e si abbia cioè quella duplicatio medii (duplicazione del medio) e conseguente quaternio terminorum (quadruplicità dei termini) che già per la logica classica appare come condizione negativa della possibilità del sillogismo.
Ogni invalidità dei modi risale con ciò al verificarsi di una simile duplicazione del medio per l'intervento dell'alterità indeterminata arrecata al contenuto concettuale del medio dalla negatività o dalla particolarità. Come esempio della validità di questo principio, che non può naturalmente essere qui verificata caso per caso, valga il fatto che esso appare chiaramente applicato, se anche in modo inconsapevole, in tutte le regole e constatazioni generali enunciate dalla logica classica e scolastica in tema di distinzione dei modi invalidi da quelli validi. Tale, p. es., la regola dominante i modi della prima figura, secondo la quale la premessa maggiore dev'essere universale e la minore affermativa: infatti, essendo il medio soggetto nella maggiore e predicato nella minore, la particolarità e la negatività infirmerebbero rispettivamente, in ciascuno dei due casi, l'unità del termine medio. Tale anche quello secondo cui peiorem sequitur semper conclusio partem, e cioè la conclusione è sempre negativa o particolare quando tale sia una delle due premesse: quelle determinazioni, infatti, non potendo appartenere al medio, che ne risulterebbe infirmato nella sua identità, debbono necessariamente appartenere agli estremi, e quindi trasferirsi immutate nella conclusione, che i soli estremi comprende. E così si spiega, infine, perché, secondo altre famose regole tradizionali della sillogistica, nulla consegua mai da premesse entrambe negative o entrambe particolari: giacché in ambedue i casi o l'una o l'altra di tali determinazioni qualitativa e quantitativa non potrebbe non riferirsi anche al termine medio.
Una larga parte della teoria sillogistica di Aristotele è infine dedicata allo studio di quelli che si dicono sillogismi "modali" perché le premesse che li costituiscono sono determinate anche modalmente, cioè secondo la caratteristica di oggettiva necessità o di mera possibilità attribuita ai giudizî, che nella sillogistica semplice appaiono invece come pure enunciazioni di realtà. Questa parte non aggiunge peraltro nulla alla teoria sillogistica, perché, i valori di possibilità e di necessità oggettiva riferendosi al carattere esistenziale delle cose, le quali nella logica dianoetica sono invece pure essenze pensabili, la cui esistenza è presupposto estraneo a tutto il meccanismo deduttivo (donde il carattere propriamente "formale" o "formalistico" di questa logica), essi non possono non restare nel fatto estrinseci rispetto alle determinazioni logiche della sillogistica. Accade così che una critica approfondita non trovi difficoltà a far vedere come in tutta la sillogistica modale Aristotele, quando non cade in contraddizioni e incongruenze, non faccia in concreto che ripetere le teorizzazioni della sillogistica semplice. Quest'ultima d'altronde, intesa nei suoi limiti e soprattutto in funzione dell'unitario suo principio costitutivo, merita realmente quella lode di assoluto rigore costruttivo che ne ha provocato la fortuna millenaria e l'ha addirittura ipostatizzata ad esempio e legge di ogni logicità; né tale rigore è infirmato dalla critica che, già dal tempo dello scetticismo, colpisce la sillogistica chiarendone la natura di logo diallelo (v. apodissi), in cui cioè si dimostra solo quel che s'è già presupposto nelle premesse. Tale critica vale d'altronde a escludere ogni valore della sillogistica come fecondo metodo della scoperta della verità, così come la determinazione del motivo intimo della sua costituzione serve a mettere in luce come essa non determini alcuna particolare funzione o attitudine dello spirito logico degna di assoluta valutazione, ma solo un certo numero di rapporti intercorrenti fra tre concetti in seno alla gerarchia platonica della comprensione e dell'estensione, il quale potrebbe accrescersi all'infinito qualora analogamente si accrescesse il numero dei concetti base.
Bibl.: Per l'esposizione della sillogistica aristotelica fondamentale H. Maier, Die Syllogistik des Aristoteles, voll. 3, Tubinga 1896-1900; per l'interpretazione interna v. G. Calogero, I fondam. della logica aristotel., Firenze 1927; per la genesi F. Solmsen, Die Entwicklung der aristotelischen Logik und Rhetorik, Berlino 1929. Per l astoria della sillogistica v. logica, e la bibl. relativa. Cfr. inoltre apodissi; contraddizione; dialettica; identità; giudizio.