silenzio
Vocabolo di uso limitato in pratica al Paradiso, fuori del quale ricorre una volta nell'Inferno.
La locuzione ‛ porre s. ' ha un duplice significato: vale " indurre altri a tacere ", in Pd V 89 Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante / puoser silenzio al mio cupido ingegno, XV 4, XXVII 18; indica invece l'atto del cessar di cantare, in XX 18 i cari e lucidi lapilli / ond'io vidi ingemmato il sesto lume / puoser silenzio a li angelici squilli. Viceversa ruppe il silenzio (XIII 31) significa " riprese a parlare ".
L'unica occorrenza dell'Inferno cade in uno dei luoghi più controversi del poema, e cioè nel verso che descrive l'improvvisa apparizione di Virgilio: Mentre ch' i' rovinava in basso loco, / dinanzi a li occhi mi si fu offerto / chi per lungo silenzio parea fioco (I 63). L'esegesi antica e gran parte dei commentatori moderni hanno rilevato come la fiocaggine di Virgilio è facilmente spiegabile nel senso allegorico (v. FIOCO), mentre di essa è difficile rendersi ragione nel senso letterale, almeno fin quando fioco e silenzio vengano interpretati in senso fonico. Anche richiamandosi ad analoghi traslati dell'Inferno, come là dove 'l sol tace (I 60) e luogo d'ogne luce muto (V 28), la critica più recente si è perciò orientata a ritenere che fioco indichi una qualità percepibile con gli occhi, ponendo così il problema di dare a silenzio un valore diverso da quello immediato e consueto. Il lungo silenzio starebbe quindi a indicare la mancanza della luce solare nella piaggia e tutto il verso dovrebb' essere interpretato " chi... per l'oscurità della piaggia non illuminata, mi apparve indistinto " (F. Manzoni, p. 114), ovviamente con riferimento al fatto che, nel senso allegorico, l'espressione " ne fait pas allusion au silence de la raison, mais à [la] voix de Dieu [di cui il sole è il simbolo], qui s'est tue dans la raison de Dante, dont Virgile est l'image " (R. Dragonetti, p. 71). Per il Pagliaro (Ulisse 37) è possibile che il poeta abbia dato a silenzio il significato di " assenza ", secondo un traslato di buona tradizione classica che avrebbe il suo fondamento nell'emistichio virgiliano " tacita per amica silentia lunae " (Aen. II 255), che D. potrebbe avere inteso " attraverso la favorevole oscurità dell'interlunio ", come poi farà il Poliziano. E poiché la qualifica di fioco, cioè di " indistinto ", per il Pagliaro, sarebbe " propria di tutte le anime e non solo di quella di Virgilio " (Ulisse 39), l'assenza, nel senso allegorico, sarebbe appunto quella della ragione, di cui il poeta latino è stato assunto a simbolo e che " ha a lungo taciuto " nella coscienza di Dante. Pur inquadrandola in una prospettiva figurale, e richiamandosi quindi ai moduli interpretativi dell'Auerbach, B. Porcelli torna invece a una chiosa letterale del passo. Per lui il lungo silenzio sarebbe " il modo di essere di Virgilio anteriore al suo intervento in favore di Dante, perché egli appare sulla scena infernale dopo lunghi secoli di inattività, quanti ne sono passati dal momento della sua morte alla data dell'immaginato viaggio ". Nel verso si dovrebbe intravedere un riferimento alla profezia di Isaia (Is. 40, 3) che annuncia la restaurazione della nazione giudaica dopo la punizione di Gerusalemme. Questa suggestione biblica sarebbe comprovata dalla presenza nel testo dantesco dell'espressione gran diserto (I 64), ricalcata su quella di Isaia " Vox clamantis in deserto "; la motiverebbe l'analogia figurale fra la rinascita del popolo ebraico e il fatto che D. restituisce a Virgilio la perduta facoltà della parola, rimettendo in atto la sua naturale funzione di famoso saggio.
Bibl. - R. Dragonetti, Chi per lungo silenzio parea fioco, in " Studi d. " XXXVIII (1961) 47-74; A. Pagliaro, Altri saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1961, 267-283, poi in Ulisse 23-43; B. Porcelli, " Chi per lungo silenzio parea fioco " e il valore della parola nella " Commedia ", in " Ausonia " XIX (1964) 32-38; F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 114-115.