sigle
Le sigle – dal lat. tardo sigla, probabilmente derivato da singŭla (littera) – sono ➔ abbreviazioni composte dalle lettere iniziali di una o più parole. La sigla è, quindi, una nuova parola formata da una o più iniziali di altre parole che, insieme, formano una denominazione o una frase (sono sigle SLI per Società di Linguistica Italiana, MODEM per modulatore demodulatore, ma anche l’esortazione formale RSVP per répondez, s’il vous plaît).
Come ricorda Patota (2000: 492), l’acronimo (dal gr. ákron «estremità» + ónοma «nome») è il vocabolo che risulta dalla pronuncia di una sigla. Una particolare sigla è, invece, l’acrostico, parola composta dalle iniziali delle singole parole che la compongono (ALFA, Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).
Il ricorso alle sigle risponde all’esigenza di usare termini più brevi, ma ugualmente identificativi, in luogo di sequenze di parole, ed è una necessità sentita fin dall’antichità. Ci sono, infatti, sigle nelle scritture esposte del mondo classico greco-latino, cioè nelle iscrizioni di templi, necropoli ed edifici importanti (➔ iscrizioni e lapidi, lingua delle): sequenze di lettere, talvolta, ma non sempre, seguite da un ➔ punto basso o medio, che stanno al posto una serie di parole. Si pensi a casi noti come S.P.Q.R. (interpunto anche S·P·Q·R·) per Senatus PopulusQue Romanus «il senato e il popolo romano» o come INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum «Gesù Nazareno re dei Giudei»).
Le sigle usate per sfruttare al meglio lo spazio nella scrittura epigrafica e per rendere più veloce la scrittura manoscritta erano numerosissime: erano sigle latine, per es., AVC (ab urbe condita «dalla fondazione della città di Roma», parametro in uso nell’indicazione dell’anno) oppure OBQ (ossa bene quiescant «le ossa riposino in pace», tipica delle epigrafi funerarie). Era consuetudine, poi, scrivere l’iniziale puntata dei nomi di persona, soprattutto se molto noti (come C.C. o G.C. per Gaius Caesar, I.C. per Iulius Caesar, M. per Marcus, L. per Lucius e via dicendo); inoltre, erano spesso abbreviati con sigle termini e formule ricorrenti del lessico giuridico, politico e religioso, e parole d’uso comune (per fare qualche esempio tra i molti: EQM Equitum Magister «maestro dei cavalieri»; IE id est «cioè»; IDM Iovi Deo Magno «al grande dio Giove»; RC Romana civitas «cittadinanza romana» o Romanus civis «cittadino romano»). Alcune sigle si mantennero nell’uso anche dopo la caduta dell’Impero romano, mutando in parte il loro significato, come nel caso di DOM (Deo optimo maximo «a Dio ottimo massimo»), dedicatoria trasferita dai templi pagani alle chiese cristiane.
Le sigle, però, sono anche uno dei tratti salienti della lingua moderna e contemporanea nei vari settori della comunicazione e dei servizi. La creazione di sigle è, infatti, in crescita per tutto il Novecento e oggi non tende a diminuire, forte dell’utilità pratica di identificare un referente o di esprimere un concetto in modo veloce ed economico, riducendo il numero di parole: per es. INPS invece di Istituto nazionale della previdenza sociale, CGIL in luogo di Confederazione generale italiana del lavoro o FAQ per frequently asked questions. Per non parlare dei notissimi casi di TG per telegiornale e di TV per televisione, sigle che ‘rismontano’ i composti col prefissoide tele (tele + giornale, tele + visione; ➔ prefissi), ormai stabilizzati, recuperandone le iniziali.
Questo stretto legame con la modernità spiega perché solo in poche grammatiche novecentesche siano date spiegazioni sulla presenza delle sigle in lingua italiana. Un cenno allo spirito ‘internazionale’ della creazione di sigle è, però, fornito da Giacomo Devoto nella sua grammatica del 1941, in cui si legge che «una derivazione di tipo ormai europeo è quella per mezzo di sigle costituite dalle lettere o dalle sillabe iniziali di parole che compongono una formula» (Devoto 19427: 65).
Bruno Migliorini, poi, collega gli anni della seconda guerra mondiale e del dopoguerra alla comparsa di molte sigle in Italia, una per tutte l’onnipresente OK:
Correnti di scambio linguistico s’instaurarono […] per mezzo della lingua scritta e della lingua parlata. […] Si cominciarono subito a conoscere molte sigle […]. Più famosa di tutte O.K., la misteriosa sigla che simboleggia in tutto il mondo l’ottimismo statunitense. Ho detto misteriosa, perché si continua periodicamente ad accumulare ipotesi sulla sua origine, benché recenti ricerche abbiano ormai messo fuori discussione che si tratta in origine del titolo d’un comitato elettorale, O.K. Club (cioè Old Kinderhook Club), sorto nel marzo 1840 per appoggiare la rielezione alla presidenza degli Stati Uniti di Martino van Buren, l’uomo nato a Kinderhook. La sigla piacque e si divulgò con la rapidità del fulmine (Migliorini 1975: 154)
La paternità di OK secondo lo studio di Metcalf (2010) va attribuita a Charles Gordon Greene, editore del «Boston Morning Post» che comunicava abitualmente coi suoi lettori tramite acronimi freschi d’invenzione: OK era semplicemente l’abbreviazione ‘sgrammaticata’ (cioè fonetica e graficamente più accattivante) di all correct, comparsa per la prima volta in un articolo del 1839, ma poi sfruttata e portata alla ribalta da Martin van Buren (l’Old Kinderhook).
Per quanto riguarda la ➔ grafia, tradizionalmente le sigle sono state scritte con un punto tra una lettera e l’altra, ma si trovano ormai sempre più spesso senza punti (C.I.S.L., ma anche CISL). Nella creazione di sigle di solito non sono considerati articoli e preposizioni (CNR Consiglio nazionale delle ricerche), ma nulla vieta di farlo (si pensi a coniazioni del mondo politico dei primi del XXI secolo, come IDV, Italia dei valori, e PDL, Popolo della libertà).
Per quanto riguarda il carattere, è diffusa sia la modalità tutta ➔ maiuscola, sia quella di scrivere maiuscola solo la lettera iniziale (Pd, Partito democratico; Ogm, organismi geneticamente modificati), soprattutto per le sigle molto usate, oppure nei testi divulgativi (in quelli tecnici resiste di più la grafia maiuscola). Ci sono anche sigle che sono diventate, nel tempo, lessemi a tutti gli effetti: per es., laser, radar, ufo si sottraggono, ormai, anche all’uso della maiuscola iniziale. Alcune sigle, infine, comportano lettere maiuscole intercalate a minuscole (per es. SpA, Società per azioni).
La pronuncia degli acronimi risultanti dalle sigle è, talvolta, oscillante. Ci sono, infatti, sigle largamente utilizzate e percepite dalla coscienza linguistica del parlante come parola vera e propria la cui pronuncia è stabilmente fissata (come CGIL [ʧiʤiˈeːlːe], UIL [uˈiːl], RAI o Rai [ˈraːi]), ma compaiono costantemente sigle di nuova coniazione, spesso legate a settori specifici, le cui grafia e pronuncia sono variabili e per le quali non può esserci da subito unanimità nella comunità linguistica. La stabilità grafica e fonica verrà raggiunta se queste sigle si affermeranno e si diffonderanno nell’uso comune in risposta alla diffusione di ciò che identificano.
Le sigle che arrivano da altre lingue all’italiano, in particolare dall’inglese, sono moltissime e sono spesso soggette a differenze di pronuncia. A volte si è diffusa la pronuncia secondo la fonetica della lingua di partenza: UK, BBC, CNN, FBI sono comunemente pronunciate [juˈkeːi], [bibiˈsi], [sieˈneːn] ed [efbiˈaːi]. Allo stesso modo, il francese TGV (Train grande vitesse) è pronunciato [teʒeˈve]. Spesso, invece, è seguita la fonetica dell’italiano: si pensi alle porte USB del computer (compitato [uesːeˈbi]), all’URL ([uerːeˈeːlːe]) o al virus HIV, da tempo sulla bocca di tutti come [akːaiˈvːu]. Diversa la sorte di AIDS, diffuso sia in dizione spelling ([aidiˈeːsːe]), sia in parola unica che suona pressappoco come [ˈaːiʣ] per ovviare al nesso ds, estraneo all’italiano e faticoso per la glottide. La dizione spelling è diffusa nelle sigle brevi, soprattutto se prive di vocali, come sms o SMS [esːemːˈeːsːe], pdf o PDF [pidiˈefːe]; di alcune sigle pronunciate come parole, invece, si perde presto la percezione e la coscienza: basti pensare a un caso come SUV (o suv) [suːv], che sta per sport utility vehicle.
A differenza della comunissima sigla AIDS, una sigla ormai quasi dimenticata come SARS (severe acute respiratory syndrome «sindrome acuta respiratoria severa»), diffusa su larga scala per un breve periodo, era stata da subito acquisita dai parlanti come una parola unica e pronunciata [saːrs]: la fonetica non disturbava, infatti, più di tanto, quella dell’italiano (se non per la sequenza rs), mentre la dizione [esːeaerːeˈesːe] sarebbe stata disagevole. Va notato che sono, in genere, lette come parole uniche le sigle composte da molte lettere, per evitare lunghe sequenze da compitare (per es. GISCEL, Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica, si legge [ˈʤiːʃel]).
Ancora a proposito delle sigle inglesi, è interessante evidenziare che in Italia si tende a mantenere l’ordine originale dei costituenti delle sigle di ambito medico: AIDS (acquired immune deficiency syndrome), tradotto in italiano, sarebbe SIDA, sindrome da immuno-deficienza acquisita (come è in francese e in spagnolo).
Diverso il caso delle sigle di nomi di prodotti tecnologici e informatici, soprattutto di quelli utilizzati dalle nuove generazioni. Pochi direbbero all’italiana [i poːd] per [ai poːd] (I-Pod) o [i ˈfoːn] per [ai ˈfoːn] (I-Phone): ormai, anche per chi non conosce l’inglese, queste parole sono così note che non esistono varianti di pronuncia. Non è, però, sicuro che siano sigle: se I, che forse sta per Internet, è il segno distintivo della casa produttrice, su pod proliferano le interpretazioni. Una molto diffusa in rete è che pod sia l’acronimo di portable open database; Adamo & Della Valle (2005: ad vocem), però, sostengono che pod sia la parola inglese «baccello» (per traslato «contenitore»).
Talvolta le sigle possono essere di difficile interpretazione, in particolare quelle occasionali e quelle specifiche, sconosciute ai lettori non competenti in un certo settore (per es., una sigla come AGI in un testo di linguistica indica il titolo della rivista «Archivio glottologico italiano»). In simili casi, è opportuno sciogliere tra parentesi la sigla la prima volta che viene usata o dare all’inizio del testo l’elenco di tutte le sigle sciolte per esplicitarne il significato e per chiarirne le caratteristiche grammaticali. Stabilire qual è l’elemento portante della sequenza (la ‘testa’) permette, infatti, di determinare se la sigla è maschile o femminile, singolare o plurale e di accordarla in genere e numero con gli altri elementi della frase. Per es., nella frase La SIG (Società italiana di glottologia) si è riunita per un convegno, l’accordo è al femminile singolare perché dipende dalla parola Società.
Dalle sigle, specialmente nel campo dell’associazionismo, possono derivare nomi (spesso in -ino) identificativi dei membri di un gruppo: abbiamo avuto missino (da MSI, Movimento sociale italiano), ciellenista (da CLN, Comitato di liberazione nazionale), psiuppino (da PSU, Partito socialista unitario); in tempi recenti i diessini (da DS, Democratici di sinistra), i ciellini (da CL, Comunione e liberazione) e i pidiellini (da PDL, Popolo della libertà). Termini più o meno astrusi, noti e duraturi a seconda della resistenza dei partiti e delle associazioni.
Le sigle sono presenti in svariati settori, in particolare quello tecnico-scientifico (come il campo medico; ➔ medicina, lingua della) e quelli burocratico e associativo (sono numerosissime e in costante aumento le sigle di enti, partiti, società).
Ma si hanno sigle negli ambiti più disparati: sigle per indicare gli anni prima o dopo Cristo (a.C., d.C.); sigle di parole latine come NB (nota bene), PS (post scriptum), a.m. (ante meridiem) e p.m. (post meridiem) per chiarire l’ora del giorno nei paesi anglofoni; sigle ‘organizzative’ (come l’accademico CdF, il Consiglio di facoltà), sigle grammaticali presenti nei vocabolari come s.m. (sostantivo maschile) e via dicendo (per un’amplissima raccolta si veda Righini 2001).
Serianni (2003: 132) nota che, di solito, ad essere sciolte parlando sono per lo più le sigle meno tecniche: il parlante dirà, per es., «anno accademico» e non [aa], ma difficilmente pronuncerà per esteso una sigla come VES (velocità di eritrosedimentazione).
Non poche sigle sono omonime per una quantità notevole di referenti disparati: SIM, per es., non indica solo il subscriber identity module del cellulare, ma anche la Società italiana di musicologia, la Società d’intermediazione mobiliare e molto altro. Come evidenzia Del Popolo (1994: 655), però, le sigle omografe sono facilmente disambiguabili col contesto: si pensi a d.C. dopo Cristo e DC Democrazia cristiana, PS post scriptum, ma anche Partito socialista, PC personal computer, ma anche Partito comunista.
Le forme attuali di comunicazione tramite sms (short message service), e-mail, chat e blog (➔ posta elettronica, lingua della; ➔ Internet, lingua di) sono una miniera di sigle espressive (come LoL, laughing out loud «ridendo rumorosamente»), spesso comprensibili solo a chi ha pratica con questi mezzi. Alcune, però, si affermano nell’uso così tanto da diventare note e da passare anche ad altre forme di comunicazione scritta e orale. Un esempio per tutti è il celebre TVB per «ti voglio bene», con le varianti estendibili e amplificabili a piacere dello scrivente in forme come TVTTTB (dove le T stanno per tanto) o TVUKDB (per «ti voglio un casino di bene», in cui la k spesso sostituisce la c). Sigla, quindi, come massima espressione di tachigrafia «scrittura veloce» e brachigrafia «scrittura abbreviata» (cfr. Antonelli 2007: 150-153).
Proprio per queste caratteristiche, le sigle sono un emblema del modo di comunicare delle giovani generazioni. Non a caso, sulla locandina del film tratto dal fortunato romanzo adolescenziale di Federico Moccia (Tre metri sopra il cielo) campeggia una sigla, 3 MSC, dichiarazione d’amore in forma abbreviata scritta a mo’ di murales.
Devoto, Giacomo (19427), Introduzione alla grammatica, Firenze, La Nuova Italia.
Adamo, Giovanni & Della Valle, Valeria (2005), 2006 parole nuove, Milano, Sperling & Kupfer.
Antonelli, Giuseppe (2007), L’italiano nella società della comunicazione, Bologna, il Mulino.
Del Popolo, Concetto (1994), Sigla, in Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, diretto da G.L. Beccaria, Torino, Einaudi, pp. 654-655.
Metcalf, Allan A. (2010), Ok. The improbable story of America’s great-est word, New York, Oxford University Press.
Migliorini, Bruno (1975), Parole e storia, Milano, Rizzoli.
Patota, Giuseppe (2000), Glossario e dubbi linguistici, in Serianni, Luca, Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Milano, Garzanti, pp. 487-609.
Righini, Enrico (2001), DidiSi. Dizionario di sigle, abbreviazioni e simboli, Bologna, Zanichelli.
Serianni, Luca (2003), Italiani scritti, Bologna, il Mulino.