sigle [prontuario]
L’impiego di ➔ sigle soddisfa il bisogno di brevità con strutture (prevalentemente nomi di istituzioni, enti o associazioni) formate da due o più elementi: CEI sintetizza in tre caratteri «Conferenza episcopale italiana», FGCI in quattro «Federazione italiana giuoco calcio».
Di norma gli elementi della sigla sono, sempre in maiuscolo, le prime lettere di ciascuna parola, con l’esclusione di preposizioni e congiunzioni: UNUCI sta per «Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia», ACI per «Automobile club d’Italia», UGEI per «Unione giovani ebrei d’Italia».
Non mancano le eccezioni: una sigla può presentare più lettere di ciascuna parola (in questi casi si parla di acronimo): MODEM «modulatore/demodulatore»; possono esserci omissioni: in RID.IT «Rivista online del Dipartimento di Italianistica», il concetto di online è ripreso dall’indicatore dei domini Internet it. Possono, infine, essere accolte congiunzioni per conferire alla sigla aspetto di parola e garantirne pronunciabilità e leggibilità: è il caso di AGESCI «Associazione guide e scout cattolici italiani», o SpA «Società per azioni».
Se si trascura la leggibilità possono aversi catene di lettere che rendono la sigla impronunciabile: è il caso di ANCFARGL «Associazione nazionale combattenti forze armate regolari guerra di liberazione». Ma casi del genere sono evitati: si punta in genere a sigle che possano essere pronunciate come parole intere (OVI «Opera del vocabolario italiano»), sebbene sia diffuso anche l’uso di pronunciare le sigle lettera per lettera (PD [piˈdːi] «Partito democratico»).
Quando la sigla ha aspetto di parola può non essere più trasparente nei suoi elementi costitutivi: accade con FIAT, con RAI, con ANSA e con LASER. Che quest’ultima sia una sigla («Light amplification by stimulated emission of radiation») sfugge, di fatto, alla quasi totalità delle persone e questo si spiega anche col fatto che si tratta di una sigla tratta dall’inglese, al pari di AIDS.
Rimanendo all’angloamericano, va rilevato come anche le sigle ‘inglesi’ illuminino sul maggiore grado d’apertura, col passare del tempo, alla presenza di elementi forestieri non tradotti: affianca ONU «Organizzazione delle nazioni unite», la più recente FAO «Food and agricolture organization»; abbiamo ‘tradotto’ in sigla TAC «Tomografia assiale computerizzata», ma non la più recente PET «Positron emission tomography».
È recente la tendenza, nei titoli dei quotidiani a stampa e online, a ridurre a sigle o ad abbreviazioni contratte denominazioni che non hanno sigle rappresentative: PMI significa «piccole e medie imprese», tlc significa «telecomunicazioni». Per qualche tempo ha avuto corso la denominazione dot com (letteralm. «punto com.») alludendo alle compagnie operanti nel campo della telematica e delle comunicazioni, indicate negli indirizzi Internet dalla grafia ‹.com›.
È difficile in alcuni casi marcare (fatta eccezione per quelle di maggiore impiego sempre, peraltro, puntate: Dott., Ing.) un confine netto tra sigle e ➔ abbreviazioni: è il caso di AD «Amministratore delegato», o DS «Dirigente sportivo». Queste entità sono pienamente lessicalizzate e vanno scalzando nell’uso dei più i referenti tradizionali, rispettivamente, Anno Domini e Democratici di sinistra. Sono possibili anche formulazioni ibride: nell’epoca della leva obbligatoria un «Sottotenente di complemento di prima nomina di fanteria» vedeva sempre premessa alle proprie generalità scritte la stringa STEN CPL 1A F.
È bene che l’impiego di sigle in un testo obbedisca al criterio della misura: cioè che esse siano immediatamente intelligibili e quanto più possibile vicine alla forma ‘parola’. Nondimeno si può trovare in una testata giornalistica una frase come questa: «Sì del CDM al DPEF» («Sì del C[onsiglio] d[ei] M[inistri] al D[ocumento di] p[rogrammazione] e[conomica e] F[inanziaria]».