MALATESTA, Sigismondo Pandolfo
Signore di Rimini, Fano e Senigallia, tipica figura del signore italiano del Rinascimento, figlio naturale di Pandolfo e di Antonia da Barignano, nacque nel 1417; fu uomo colto e magnifico protettore di artisti e di letterati; ordinò importanti costruzioni di castelli e rocche; ma monumento imperituro di bellezza fu, sopra ogni altra cosa, il tempio malatestiano o di S. Francesco (v. rimini).
Valente condottiero, ampliò il dominio ereditato. Già a 18 anni meritò d'essere eletto comandante dell'esercito pontificio nella Romagna e nelle Marche. Partecipò poi a tutte le guerre d'Italia dal 1433 al 1463, al soldo ora dell'una ora dell'altra signoria, sebbene non sempre con eguale onore; ebbe fama di signore sleale e feroce; ma molto si esagerò in proposito. Per avere nel 1447 violato i patti conclusi con Alfonso d'Aragona, re di Napoli e Sicilia, si attirò l'ira di costui e una guerra rovinosa, condotta dai suoi avversarî Federico di Montefeltro, signore di Urbino, e Giacomo Piccinino. La cattiva pace ottenuta con la mediazione del papa lo spinse ad altre infauste imprese, che gli alienarono l'animo di Francesco Sforza duca di Milano e di Pio II. Il quale ultimo volle disfarsi del vassallo ribelle e senza fede e gli provocò una guerra senza quartiere, che invano Sigismondo cercò di stornare, mettendosi ai servigi degli Angioini contro il re di Napoli, soccorso dallo Sforza e dal papa. Alle armi temporali Pio II aggiunse quelle spirituali, che furono precedute da una requisitoria sui veri o presunti delitti di lui, tenuta in pubblico concistoro (1461). Fiaccato a Senigallia dalle milizie pontificie e feltresche, perdette a una a una le terre del dominio e non poté conservare che Rimini con pochi casali attorno, che alla sua morte sarebbero passati alla S. Sede (1463).
A ristorare le sue decadute fortune, accettò l'offerta di Venezia di combattere i Turchi in Morea; ma quell'impresa, per l'insufficienza dei mezzi messi a sua disposizione, fu senza onore (1464-1465). Ritornato in patria, essendo pontefice Paolo II, un tempo a lui benevolo, sperò Sigismondo di ricuperare lo stato, ma invano. Ne ebbe tale angoscia, che andò a Roma col proposito di pugnalare il papa: ma giunto alla presenza di questo non osò. Morì poco dopo a Rimini il 9 ottobre 1468, avendo designato eredi e successori la moglie Isotta e il figlio Sallustio da lei avuto. Molti altri figli ebbe, tra cui Roberto di non legittima unione; prima di Isotta aveva sposato Ginevra, figlia di Lionello d'Este, e, morta questa, Polissena, figlia di Francesco Sforza, poi duca di Milano: consorti che Sigismondo fu accusato, forse a torto, di avere uccise.
Bibl.: A. Battaglini, Della corte letteraria di S. P. M. Commentario, Rimini 1794; id., Della vita e dei fatti di S. P. M., in Basinei parmensis poetae opera praestantiora, II, Rimini 1882; Ch. Yriarte, Un condottiere au XVe siècle, Parigi 1882; E. Hutton, S. P. M., Londra 1900; G. Soranzo, Pio II e la politica italiana nella lotta contro i Malatesti, Padova 1911; id., pubblicazioni varie intorno a questo signore in La Romagna, 1909-11; in Le Marche, 1912; in Atti del R. istit. veneto di scienze, lettere ed arti, 1915-17; in Atti della R. Dep. di st. pat. per le provincie di Romagna, 1918 e 1925; in Studi francescani, 1921; in Vita e Pensiero, 1925; A. Monferrato, Σιγισμοῦνδος Μαλατέστας, Atene 1914; A. F. Massèra, I poeti isottei, in Giorn. st. della lett. ital., LVII (1911); id., Amori e gelosie in una corte romangola del Rinascimento, in La Romagna, 1917; C. Ricci, Il tempio malatestiano, Milano 1925; A. Ricci, Sigismondo e Isotta, Milano 1929.