CALTABELLOTTA, Sigismondo de Luna conte di
Nacque negli ultimi anni del sec. XV o nei primi del XVI da Giovanni Vincenzo e da Diana Moncada, e per la posizione preminente della famiglia e gli alti uffici ricoperti dal padre si trovò avviato ad occupare un posto di rilievo nella vita politica isolana. Crebbe educato alla vita delle armi e giovinetto conobbe anche i disagi ed i pericoli della fuga improvvisa davanti alla piazza scatenata, quando nel 1517 a Palermo Giovanluca Squarcialupo si ribellò al viceré. Nel 1523 sposò Luisa Salviati figlia di Iacopo e di Lucrezia de' Medici, sorella di Leone X, e l'importanza di questa unione si coglie meglio se la s'inquadra nella politica di potenziamento della famiglia che il padre del C. perseguiva ormai da tempo. In questa occasione egli cedeva al figlio il titolo di conte di Caltabellotta con il feudo ad esso legato e vasti territori appartenenti agli stati di Bivona, Caltavuturo e Sclafani.
Storici e cronisti descrivono il C. di carattere malinconico e chiuso, non amante del fasto, ma certamente - è da aggiungere - egli dovette avere il senso pieno del potenziale politico ed economico di cui disponeva la famiglia e questo lo portò ad inserirsi rapidamente nell'azione già iniziata dal padre per dare alla famiglia una posizione di assoluto rilievo. D'altra parte lo svolgimento di un simile piano doveva fatalmente portare al turbamento d'interessi precostituiti e per questo il C. si trovò ad essere il protagonista di un grave fatto di sangue che nelle cronache siciliane prende il nome di "secondo caso di Sciacca".
La tradizione storica anche più recente tende a presentare l'avvenimento come una delle tante guerre di famiglie che nella prima metà del sec. XVI insanguinarono diverse città siciliane: scoppi improvvisi di rancori e gelosie a lungo covati. Ma a nostro parere questo evento si distingue dagli altri non solo per le sue proporzioni, ma anche perché vero obiettivo della contesa era il conseguimento dell'egemonia in una zona di grande rilievo economico: Sciacca era infatti città demaniale di notevole importanza (al decimo posto tra quelle dell'isola), aveva territorio vasto ed in essa convergevano i tanti nobili i cui feudi occupavano l'entroterra. Essa era anche uno dei pochi porti di rilievo della costa sudorientale dell'isola, aveva un ricco "caricatore", numerosi magazzini di grano, era centro di un vasto mercato. Per ricchezza e tradizioni vi primeggiava, accanto alla famiglia dei Luna, quella dei Perollo, ed antichi rancori le avevano nel passato divise. Intorno alle due famiglie si raccoglieva la folla dei feudatari minori in modo da formare due fazioni ben distinte.
L'annosa emulazione tra le due famiglie doveva concludersi, con il C. e Giacomo Perollo, barone di Pandolfina, regio portulano di Sciacca e possessore di ricchi feudi in Val di Mazara, in una faida senza quartiere. Dopo una lunga alternanza di affronti, aggressioni e accordi provvisori (invano per porre fine alla contesa il viceré inviò a Sciacca, come mediatore, nel 1528, il barone di Mongellino, Girolamo Statella), nel luglio 1529 il C., a capo di trecento fanti e cavalieri, irruppe a Sciacca dal suo feudo di Caltabellotta, assaltò e mise a sacco la residenza del Perollo, il Castelvecchio. Il Perollo e lo stesso Statella furono uccisi. Il saccheggio della città, durato una settimana, fu spietato: si calcola che il solo saccheggio di Castelvecchio abbia fruttato 100.000 fiorini.
Giunta a Palermo la notizia dell'avvenimento, il viceré reagì con disposizioni severissime. A Sciacca fu inviato con ampi poteri il luogotenente del maestro giustiziere e presidente della Magna Curia Niccolò Pollastra, e con lui uno dei giudici della stessa corte, Giovanni Reganati, con flirizioni di procuratore fiscale. Con loro si muovevano da Messina, per ristabilire l'ordine ed il rispetto della sovranità, seicento fanti spagnoli ed una compagnia di cavalieri siciliani. L'autorità degli uomini inviati dal viceré ed il numero dei soldati avrebbero dovuto incutere un certo timore, ma invece quando l'avanguardia di quelle truppe giunse nei pressi di Bivona fu audacemente attaccata dagli armati del C., che uccisero una trentina di uomini. Non si sa se l'azione fu il frutto dell'iniziativa di uno dei tanti capibanda al soldo del C. oppure venne ordinata proprio da lui per evitare che le truppe viceregie entrassero nei suoi feudi; certo essa convinse il Pollastra a marciare direttamente su Sciacca. Qui giunto egli dichiarava delitto di lesa maestà quanto avvenuto, pubblicava editto di condanna a morte contro il C. e dichiarava confiscati a favore del Regio patrimonio tutti i suoi beni. Nello stesso tempo venivano catturati e passati per le armi molti degli uomini che avevano partecipato ai sanguinosi eventi e molti nobili, simpatizzanti per i Luna, venivano imprigionati ed inviati a Messina. Pure in carcere venivano posti i giurati della città e due d'essi vi morivano forse per i supplizi cui furono sottoposti perché sospetti di avere aiutato il Caltabellotta.
Di fronte ad una reazione di sì vaste proporzioni il C. cercò la salvezza nella fuga. Con la moglie, i tre figli, il vecchio conte Giovanni ed alcuni fedelissimi si imbarcò per Roma, dove si pose sotto la protezione di Clemente VII, zio della moglie.
Quando l'anno appresso Clemente VII incoronò Carlo V a Bologna, i cronisti affermano che il papa chiedesse insistentemente grazia per l'esule, ma l'imperatore fu fermo nel negarla. Solo dopo alcuni giorni, per le nuove insistenze del pontefice, concedeva che venissero restituiti ai figli del C. i beni confiscati dal viceré; ma la famiglia restava obbligata a risarcire gli eredi di Giacomo Perollo per i danni subiti. Di fronte a questa decisione dell'imperatore, che lo costringeva all'esilio perpetuo, il C., secondo la tradizione, preso da scoramento, si sarebbe ucciso gettandosi nel Tevere. Non silianno documenti che confermino l'evento, ma è certo che di lui dopo il 1530 si perde ogni traccia. Il padre, i figli e la moglie rientravano nell'isola ed il 5 dic. 1533un privilegio imperiale concedeva che, alla morte del vecchio conte Giovanni, Pietro, figlio del C., gli succedesse come erede legittimo. Lo stesso documento precisava che in ogni caso il C. era da considerarsi escluso dalla successione, anche se fosse risultato in vita.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno, vol. 249, f. 98; vol. 250, f. 99; vol. 256, f. 260; Regia Cancelleria, vol. 347, f. 681;Palermo, Biblioteca comunale, ms. Qq. G. 95: Processus casus civitatis Saccae;ms. Qq. C. 22: Il caso di Sciacca;ms. Qq. F. 77: Istorie del caso della città di Sciacca (pubblicato da V. Di Giovanni, Ilcaso di Sciacca. Cronaca sicil. del sec. XVI, Palermo 1874);ms. Qq. B. 11: A. Candela, Ilcaso memorabile di G. Perollo … commesso da don S. Luna conte di Caltabellotta…; ms. 3Qq. B. 151, n. 22:G. Renda Ragusa, Breviarium historicum casus saccensis (publicato in Nuova raccolta di opuscoli di autori siciliani, VI, Palermo 1793);ms. 2Qq. D. 143:G. Polizzi, Veridico racconto del successo volgarmente detto del caso di Sciacca;F. M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, Della Sicilia nobile, III, Palermo 1759, pp. 107-111;G. E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré presidenti e luogotenenti del Regno di Sicilia, Palermo 1842, pp. 168-169;C. D. Gallo, Annali della città di Messina, II, Messina 1879, p. 490;F. Savasta, Ilfamoso caso di Sciacca, Sciacca 1880, pp. 89-95, 239-431;I. La Lumia, La Sicilia sotto Carlo V imperatore (1516-1535), in Storie siciliane, III, Palermo 1882, pp. 248-282;I. Scaturro, Storia della città di Sciacca, Napoli 1924-1926, I, p. 646; II, pp. 34-55, 105-106;F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo 1924-29, I, p. 366; II, p. 79;I. Scaturro, Ilcaso di Sciacca, Mazara s.d. (ma 1948), pp.88-106;H. Koenigsberger, The govemment of Sicily under Philip II of Spain, London s.d. (ma 1951), p. 75;V. Titone, La Sicilia dalla domin. spagnola all'unità d'Italia, Bologna 1955, pp. 63-64.