CAVALLI, Sigismondo
Nacque a Brescia, il 22 ott. 1530, verso la fine del mandato, in qualità di capitano, del padre Marino.
Testimoni della nascita sono Pietro Contarini e Francesco Nani, i rappresentanti delle stesse casate che compaiono, il 6 ott. 1550, al suo ingresso pubblico, al pari di ogni nobile veneziano, nella vita politica. Pertanto, a differenza degli altri appartenenti della famiglia, il C. non manca di risentire, pure nelle prospettive culturali, di tale iter amministrativo, usuale ai giovani nobili della Repubblica. Anche se nell'ottobre 1559 risulta "come commesso del Mag.co Capitano del Mare",in grado di informare il padre, bailo a Costantinopoli, sulle intenzioni di Girolamo Stella, "galant'homo" (Arch. di Stato di Venezia, Costantinopoli. Dispacci amb. al Senato, filza 2B, c. 194v), i suoi legami più vivi risultano quelli con la nobiltà padovana, con gli Obizzo, i Falier, i Capodilista, i Dondi dell'Orologio; con una nobiltà che al dibattito culturale preferisce una ricchezza sicura, garantita dagli investimenti in Zecca o negli ampi spazi agrari, o che sottopone all'alea del "giuoco": "et di più - afferma, infatti, nel testamento del 20 ag. 1579 - se nella pessima habitudine mia del giuoco havessi dato scandalo di poca riverenza et timor verso Dio, come so haver dato".
Gli stessi incarichi amministrativi, che scandiscono l'attività del C. fra il 1550 ed il 1559, da savio agli Ordini all'elezione alla Camera d'imprestidi, o ai Quindici savi, non fanno che accentuare un'idea rappresentativa della nobiltà, più che orientarla come la generazione di Cristoforo Canal, alla modifica delle strutture statali della Repubblica. L'ingresso nell'attività che, come per il padre (accanto a lui non aveva mancato di conoscere le principali corti europee, in particolare quella parigina e quella imperiale), resterà il suo specifico ruolo pubblico, vale a dire nella diplomazia, avviene ben presto con la nomina, nell'ottobre 1559, ad oratore al duca di Baviera, "per il negotio di formenti".
È la grande crisi granaria che la Repubblica, a partire dal 1557, sta vivendo a fornire alla missione del C. un'importanza determinante. Questi, d'altronde, non si limita a svolgere un ruolo di semplice acquirente, ma tenta di tracciare una nuova linea diplomatica. Partito con una "famiglia" di "dieci cavalli" nello stesso ottobre, è costretto a "fare uffitio d'Ambasciatore, secretario, mercante, et di corriero" (Ibid., Secreta. Archivi Propri Schulemburg, 33D, cc. 16v-17r), usando, per vivere, del suo denaro, mentre, solo nel dicembre, riesce ad ottenere da Venezia 2.000 ducati d'oro. Il tema della instabilità economica ed amministrativa del ruolo di "ambasciatore",da inquadrarsi, al contrario, per il C., entro una compatta struttura burocratica, è dominante nella corrispondenza da Monaco, che si dipana dal febbraio all'aprile 1560, mentre deve "cavalcar a Baviera" (c. 3v) per battere la concorrenza fiorentina e mantovana, e procacciare alla duchessa, nel tentativo di ottenere migliori prezzi, due pappagalli, "di quelli grandi, che parlano" (c. 24v). La funzione che i "doni di corte" giocano nei mercati europei, e che trova il C. preparato dalle sue stesse istanze culturali, portano al successo la missione, arricchendo, fra il marzo e l'aprile 1560,il mercato veneziano di circa 21.000 staia di frumento. L'ostilità che, durante il trasporto, viene manifestata dal Tirolo è equilibrata dall'intervento della Comunità di Salò. Ma è l'analisi politica che ne scaturisce il maggior risultato della missione del Cavalli. Infatti, se Venezia fra il 1557 e il 1559 per ben due volte ha dovuto ricorrere alla Baviera per sopperire al bisogno di grano, e se il doge è ritenuto "nell'Imperio... per Prencipe tanto amico e confidente",non resta che proporre "che la Provincia di Baviera fusse congiunta con li stati di V. Ser.tà, et che senza altro internimento di gente, o capitani forestieri, sempre che venisse bisogno, si potria sempre cavar di là 10.000 0 20.000 fanti lanzchenech, bravissima gente, et 80.000 et 100.000 stara tra frumento" (cc. 11v-12r).
Anche se la proposta del C. non riesce a sfociare in un quadro rinnovato degli orizzonti politici ed alimentari della Repubblica, la sua ascesa nei quadri della diplomazia non manca di avvantaggiarsene, di modo che il 2 ag. 1561 (ma accetta il 25 ott.) è eletto ambasciatore al duca di Savoia. La Relazione della corte di Savoja del 1564 poneva vieppiù in rilievo la prospettiva diplomatica del C., cioè la progressiva "centralità" della funzione politica e religiosa di Venezia nel Mediterraneo e nell'Europa: "la protezione della Signoria... è da stimare assai",fa dire al duca di Savoia, adombrando il significato che assume, per il C., il "mito" della Repubblica, a cui l'attività diplomatica va piegata.
Anche nella vita culturale veneziana le sue possibilità di creare un nucleo nuovo di "intellettuali" attorno al tema del "mito" statale ed urbano di Venezia si incrementano: le edizioni veneziane del 1562 e del 1566 dell'opera di Francesco Sansovino, Cento novelle scelte da più nobili scrittori della lingua volgare..., glisono dedicate, e lo tratteggiano nelle vesti di colui che salvò la "Patria" dalla fame; e ne evidenziano le capacità "retoriche": "Voi, essendo più volte Savio de gli Ordini, spiegando felicemente i vostri concetti con faconda e pura eloquenza, havete spesso fatto vedere al Senato la bellezza del chiaro animo vostro" (c.s.n.).
Il 21 nov. 1566 il C. è nominato ambasciatore presso Filippo II, succedendo ad Antonio Tiepolo; gli si apre così un campo insperato di analisi politica.
Già il "diario" di viaggio (questo inizia il 24 marzo 1567), con il registro delle spese, la descrizione dei paesaggi, dei monumenti, delle forme di cultura, continuamente rapportate al modello veneziano, permette di individuare alcune prospettive che verranno sviluppate. Nella "commissione" allegata alla nomina ad ambasciatore, del 9 apr. 1567, l'amicizia con la Spagna trova la maggiore preminenza: "caro di conservar la ferma et certa amicitia" (Ibid., Senato Secreta III. Spagna, filza 6). I suoi dispacci, inoltre, risentono del progressivo clima di "crociata" mediterranea, e del lento prevalere di un cattolicesimo missionario, ad essa conseguente, che si respira nelle corti europee. Come condanna il pericolo del calvinismo per la Francia (4 maggio 1567), in quanto appare in grado di creare rigide strutture ecclesiastiche in concorrenza con la Chiesa e con lo Stato, così analizza con precisione gli effetti della guerra di rapina dei corsari francesi ed inglesi sulle flotte spagnole provenienti dalle Indie, sulle sue ripercussioni finanziarie, non solo in rapporto alla burocrazia statale ed agli investimenti ma anche alle fiere di Medina del Campo (l'8 luglio 1567 il volume degli affari si era aggirato intorno ai trentacinque "millioni d'oro"), sulla guerra che la Francia conduce fin dal 1565 per il possesso della Florida: il 19 luglio 1567 la "flotta della nova Spagna",attaccata dalle navi francesi, trasportava "più di doi millioni d'oro". La condanna di tale realtà atlantica accentua l'importanza che il C. acclude all'ideale di una compattezza delle alleanze religiose, alle quali la Spagna e Venezia dovrebbero apportare un contributo essenziale: il 22 ott. 1567 può comunicare che il re cattolico assicura ogni aiuto, unitamente al pontefice, qualora Venezia venisse attaccata dal Turco. Ma il ritratto che del Mediterraneo e dell'Atlantico, e quindi non solo dell'Europa, fuoriesce dai dispacci rispecchia l'immagine di un asse di forze che da Venezia si volge alla Spagna ed al Papato, da salvaguardare ad ogni costo, e contro cui i "corsari" francesi ed inglesi, ed i pirati turchi rivelano tutte le loro possibilità dirompenti. Nei riguardi di Venezia, possono essere rimesse in gioco pure le rotte che interessano l'Atlantico, quelle che riguardano i trasporti verso l'Inghilterra, o provenienti dalle Canarie, con i loro carichi di zucchero: il 25 luglio 1569 comunica che i "corsari" atlantici hanno "combattuto una nave venetiana detta Lombarda che veniva di Canaria, carica di zucari, per Cadice, et è dubio se sia salvata o rimasta abbrusciata"; trasportava "900 casse de zucari" (Ibid., Archivio Proprio Roma. Dispacci amb. al Senato, filza 7). Quando, poi, il 24 luglio 1568 riporta la notizia della conquista della Florida da parte dei Francesi, non manca di descrivere le chiese da loro distrutte e bruciate, mentre a Cuba assaltano "una caravella molto rica, che veniva dal Mexico verso Spagna",ponendo in rilievo il legame che si intravvede fra "crisi" religiosa e potenziale rovesciamento di ruoli economici fra gli Stati europei. Ma il suo "dispaccio" assolve ad un più vasto compito, quello di immettere nella cultura veneziana, e farla circolare, la descrizione dei paesi sudamericani atlantici con le usanze e i costumi, con gli alberi rari od i fiori meravigliosi. Così il 18 ag. 1568 poteva annotare come dalle isole Tortore fosse giunta "una nave d'India che portava 5 mila cantara di pevere, 3 mila di cannella, et buona quantità di garoffoli per conto di quel Re",prodotti dei "los Malaveres, che sono quei popoli di dove si cavano li peveri" (Ibid., Senato Secreta III. Spagna, filza 6). Tuttavia, anche se il suo sguardo si apre ai nuovi mondi occanici, non riesce tuttavia ad accettare l'autonomia di qualsivoglia minoranza, etnica o religiosa, che possieda la capacità di porre in crisi lo Stato, e la vita religiosa, mai disgiunta, questa, dalla struttura gerarchica della Chiesa. Non solo il calvinismo, o l'anabattismo, ma gli stessi moriscos, che largo spazio hanno nei suoi dispacci, in quanto potenti alleati dei "Turchi" nel cuore della cristianità, hanno tale ruolo nefasto e distruttore, possessori di "un animo ferino et indiavolato": alcuni, infatti, di notte "hanno arrostito delli figliolini de lor patroni; altri, dormendo, han strangolato l'istesso patron, et morto altra gente della casa senza tema, anci con disprezzo di esser poi loro severissimamente giustitiati" (Ibid., Archivio Proprio Spagna. Dispacci amb. al Senato, filza 7). Non vi è dubbio, confida ripetutamente, che, se i "Turchi" l'assalissero, con l'aiuto moresco la conquisterebbero. Tanto più che si era costituita una più ampia rete di scambi di predicatori, di aiuti militari, di spostamenti di uomini fra le montagne spagnole ed i territori "turchi" tale da porre in crisi la stessa struttura militare del Mediterraneo.
Si tratta di un quadro di riferimento che non subisce sostanziali modifiche, neanche quando, il 29 luglio 1569, è eletto suo successore Leonardo Donà: fino al settembre 1570 i dispacci risultano stesi da ambedue. Anzi, è il Donà ad acquisire "honorevolezza" e "benevolentia",sotto la guida del C., alla corte spagnola. La Relazione, che il C. stende nel 1570, e legge il 28 febbr. 1571 in Collegio, non solo riprende i tratti della problematica dei dispacci, ma rivela un impianto innovatore proprio nell'analisi dei rapporti fra strutture statali e strutture religiose.
Accanto alla "macchina" statale, colta nei suoi gangli burocratici, ed al potere accentratore dei principi, sono le minoranze, le religioni, i costumi ad essere oggetto di studio. Ne scaturisce un prospetto etnologico della Spagna, ove i "popoli [sono] per natura e per la loro superbia facili ad ogni sollevazione. Hanno tutti naturalmente ingegno, ma non l'adoperano gran fatto né in scienze, né in agricoltura, né in arte meccanica, ma solamente, quando escono di casa, in quella della guerra". Se dei moreschi fuoriesce un ritratto che ne accentua gli elementi - stregoneschi, e diabolici, il C. non manca di riconoscere che può risultare pericoloso ad un "principe" usare durezza nella repressione, prima di verificare se può ottenere obbedienza in altre forme. La "moderazione" dovrebbe essere la guida per un "principe" che tende a raggiungere la "felicità" dei sudditi. Ecco, allora, che il punto emergente dell'analisi è comunque la centralità dell'ideale politico veneziano, e della sua "giustitia" esemplare, di fronte a tutti i modelli europei: la stessa proposta, non accolta, avanzata nel 1570,che Venezia aprisse trattative con Lisbona per riavere il monopolio delle spezie, si inseriva in una prospettiva che sogna di ricreare una dimensione del "mito" veneziano capace di commisurarsi con le pulsazioni economiche tradizionali, le spezie.
Sono temi che ritornano, eletto ambasciatore in Francia, dal 30 giugno 1571 al 30 maggio del 1574, nella Relazione di Francia del 1574, forse il suo capolavoro: il rapporto stringente fra giustizia e religione; il pericolo, per la monarchia, del venir meno nei cattolici della fede; la necessità "politica" della strage della notte di S. Bartolomeo, anche se ogni forma di potere dovrebbe prevenire, attraverso l'uso equilibrato della giustizia, come a Venezia, ogni decisione dura, "perché - afferma - questa risoluzione spaventò talmente ogni ugonotto... che ben si conobbe che detta esecuzione fusse risoluta all'improviso, e non di lunga mano, come ho sempre creduto".
Se la problematica politica denota un insieme uniforme di punti di riferimento, anche durante la missione ad ambasciatore presso l'imperatore, a Praga, a cui è eletto il 16 giugno 1576, quando ha l'incarico di ricercare un accordo nei riguardi di Segna (il 25 febbraio del 1579 tale accordo prevede la possibilità per il capitano veneziano e quello imperiale di operare insieme contro gli Uscocchi), dopo il 1570 s'intravvede nel C. un allargamento degli interessi verso le fortificazioni urbane, i problemi alimentari delle città, la loro organizzazione sociale. Già il 1º marzo 1571 aveva invitato, per la difesa di Zara, Paolo Vitelli a passare al servizio della Repubblica. Ma sono i legami che a Praga stringe con gli architetti del granduca di Toscana, fra cui Antonio Lupicini, ad aprirgli orizzonti urbani diversi dai precedenti interessi.
Così, pur restando senza seguito, il 25 marzo 1579, il Lupicini gli affida un "memoriale" da indirizzare alla Signoria: "havendo io visto et considerato il sito della mag.ca città di Vinezia, nella quale a me pare che si potessi comodamente condurre una palla di acqua dolce et chiara, d'ogni tempo e di tanta quantità che potria servire a molti comodi delli abitatori, et tutto si può fare con pochissima spesa" (Ibid., Dispacci amb. al Senato. Germania, filza 7). Del Lupicini segue con attenzione l'attività presso l'imperatore, inviandone un resoconto a Venezia, per "haver fatto dissegni, et posto in scrittura il suo parere intorno al far di nova piazza, et sopplir de manchamenti delle principiate",da aggiungere "alla Città et fortezza di Vienna"; ma costando il progetto 500.000 scudi annui desiste dai lavori e dalle proposte (ibid., filza 7). Tutti i progetti che mirano ad una ristrutturazione di Vienna interessano la Repubblica: "ha pigliato la pianta di un sito alto, non molto lontano, fuori delle mura; sopra il qual penseria farvi tre balovardi, et unirlo con doi cortine col resto della terra".
In tal modo, dell'Ungheria e dell'Austria, come di gran parte dell'Europa orientale, il C. traccia un profilo religioso ed urbanistico che non resta racchiuso nell'ambito del resoconto diplomatico, ma ha l'ambizione di arricchire di nuove capacità difensive, oltre che di fonti sicure di vettovagliamento, il tessuto sociale lagunare.
La stessa prospettiva religiosa denota un sensibile mutamento: la vita religiosa non è più vista in chiave missionaria, o di "crociata",ma con il senso politico di un'Europa divisa in zone di influenza sia politica che religiosa, accettando interamente il principio del cuius regio eius religio. Sottolinea, pertanto, l'esempio di Anversa, il 13 luglio 1579, ove "si oblighino di pagar ogni gravezza egualmente colli laici, siano deputate IX persone, tre catholici, tre calvinisti, et tre della Confession Augustana, per decider, et componer, ogni controversia, che di novo fosse nata" (ibid., filza 7).
Lo stesso testamento, steso a Praga il 20 ag. 1579, rispecchia una sensibilità "barocca",e che tende sempre più a far perno sulla religiosità dei gesuiti orientali. Dio appare in tutta la sua maestà, solenne e trionfalmente radiosa, nella quale un credente come il C. è "disposto ad acquietar[mi] alla sua santa volontà". Prima della morte, avvenuta dopo venticinque giorni "di flusso grandissimo di corpo",ed una febbre "continua, lenta",chiese per due volte di comunicarsi, per accentuare pure una religiosità eucaristica, oltre che porre in rilievo la centralità dei dogmi che contraddistinguono il "vero" credente dalle confessioni protestanti. Esecutrice testamentaria è la sorella, Caterina Malipiero, mentre, attraverso la rete dei piccoli debiti contratti al gioco, è possibile individuare un modo di vivere la "nobiltà" ormai più "visivo" che sperimentale: 100 talleri a Cesare Tuardo; a Pia degli Obizzi una somma non precisata; 30 scudi a Gabriele Capodilista; 8 ducati a "certi heredi" di Marco Antonio della Serena; 130 talleri a Zacharia Salamon; 300 ducati ai tre Savi sopra i Conti; 300 ducati ai Bembo; infine, "li livelli delli mille ducati che ho con Madonna Chiara Lippomano". Solo all'ospedale degli Incurabili di Venezia, ed a quello di SS. Giovanni e Paolo, "per discarico et compimento d'un voto" gli era possibile lasciare 500 scudi; alla "famiglia",restavano solo "veste lunghe..., tabarri, safi, vestiti et calze". Spettava, invece, al padre lettore del Collegio dei gesuiti la regolamentazione delle cerimonie del funerale.
Il C. morìa Praga, il 9 sett. 1579, fra "torzi et altre candele" e l'encomio di tutto il corpo diplomatico e dell'imperatore, mentre la Repubblica, il 3 ottobre, con una lettera al suo "segretario",lo rappresentava come "soggetto molto valoroso, et molto benemerito" (Ibid., Senato. Deliberazioni Secreta, reg. 82, c. 55rv).
Fonti e Bibl.: I dati biogr. del C. in Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Nascite, reg. LII (marzo 1529-febbraio 1547), c. 126r; Ibid., Testamenti. Cesare Ziliol, b. 1261 (n. 929); Ibid., Testamenti. Atti Secco, b. 1191 (n. 260); Ibid., Costantinopoli. Dispacci ambasciatori al Senato, filza 2b, c. 194v; Ibid., Secreta. Archivi Propri Schulemburg, 33D;Ibid., Segretario alle voci. Elezioni dei Pregadi, regg. 3, 4; Ibid., Senato Secreta III. Spagna, filza 6 (20 apr. 1566-25 febbr. 1569); Ibid., Archivio Proprio Spagna. Dispacci ambasciatori al Senato, filza 7 (1° marzo 1569-9 sett. 1570); Ibid., Archivio Proprio Roma. Dispacci ambasciatori al Senato, filza 7 (Madrid, 25 luglio 1569); Ibid., Secreta. Archivi Propri Spagna, bb. 2-4; Ibid., Archivio Proprio Francia, filza 7 (25 ott. 1571-24 febbr. 1572); filza 8 (4 marzo 1573-15 luglio 1574); Ibid., Germania. Dispacci ambasciatori al Senato, filza 7 (31 genn. 1579-15 sett. 1579); Ibid., Lettere di condottieri di gente d'armi. Capi del Consiglio dei Dieci, b. 308 (Parma, 1º marzo 1571); Ibid., Senato. Deliberazioni Secreta, reg. 82, c. 55rv; Ibid., Miscell. Codd. Storia veneta, 18: M. Barbaro, Arbori de' patriti veneti, p. 333; Padova, Museo civico, ms. n. 348 (4 aprile 1589-6 maggio 1589). Sulla tradizione manoscritta delle Relazioni: Relazione della corte di Savoia di S. C. anno 1564, in Relazione degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, s. 2, II, Firenze 1841, pp. 27-56 (vedine copia in Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, Mss. It., cl. VII,codice 510); il diario di viaggio del 1567, Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII,cod. 2089; la relazione di Spagna in Relaz. di S. C. 1570, in Le Relazioni...,a cura di E. Albèri, s. 1, V, Firenze 1861, pp. 163-194 (vedi pure Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII,cod. 2803); Relazione di Francia di S. C. tornato da quella legazione nel 1574, ibid.,IV, Firenze 1840, pp. 313-342; per la Corrispond. ufficiale tenuta fra l'Ecc.mo Sig. S. de' C., ambasciatore veneto presso la R. Corte di Madrid, ed il Serenissimo Principe della Repubblica di Venezia fino all'epoca del 6 febbr. 1569... e con P. Loredan:Mss. 33-B-22.5 della Bibl. civica di Bassano del Grappa, vedi A. Sorbelli, Inv. dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, I, Firenze 1931, p. 180. Per i dati biografici vedi anche Venezia, CivicoMuseo Correr, Mss. It. 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 139r; anche Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 925 (= 8594), c. 236r.; E. A. Cicogna, Delle Inscr. venez.,IV, Venezia 1834, p. 56; VI, 2, ibid. 1853, pp. 99, 865; S. Romanin, Storia documen. di Venezia, VI, Venezia 1857, p. 319; M. Gachard, Don Carlos et Philippe II, Paris 1867, pp. 480-481; Calendar of State Papers and Manuscripts relating to English Affairs existing in the Archives and Collections of Venice, VII,a cura di R. Brown, London 1890, pp. 423-426, 478-505, 505-516; N. Baumgarten, Nachtrag zur Gesch. der Bartholomäusnacht, München -Leipzig 1883, pp. 393 ss.; W. Andreas, Staatskunst und Diplom. der Venez. im Spiegel ihrer Gesandtenberichte, Leipzig s.d., pp. 102 e passim;Id., Die venezian. Relaz. und ihr Verhältnis zur Kultur der Renaissance, Leipzig 1908, p. 13 e passim;C. H. Hirschauer, La politique de St. Pie V en France (1566-1572), Paris 1922, p. 83 e passim;L. von Pastor, Storia dei Papi, IX, Roma 1925, p. 400; A. Norsa, Il fattore econ. nella grandezza e nella decad. della Rep. di Venezia, in Nuova Riv. stor., I (1924), p. 165; M. Cavalli il Vecchio, Informatione dell'offitio dell'ambasc., a cura di T. Bertelè, Firenze 1935, pp. 34-36, 99, 102; La corrispond. da Madrid dell'ambasciatore L. Donà, I, a cura di M. Brunetti-E. Vitale, Venezia-Roma 1963, pp. XXIII, 6, 19-27, 31-33, 42-44; II, pp. 484, 751-752, 763, 777; F. Seneca, Il doge L. Donà. La sua vita e la sua preparaz. politica prima del dogado, Padova 1959, p. 43 e passim (per l'elenco dei dispacci da Vienna del 1577).