BETTI, Sigismondo
Fiorentino, visse fra il 1720 e il 1765- Molto operoso, è certamente una personalità di poco rilievo nella già languente vita pittorica fiorentina. Scarse le notizie biografiche, ad eccezione degli spostamenti di sede quali si possono frammentariamente ricostruire attraverso la cronologia delle sue opere. Gli si attribuiscono a Firenze gli affreschi della galleria di palazzo Mancini (1735). A Genova nella chiesa di S. Maria Maddalena dei padri somaschi eseguì entro il 1747 due affreschi sulle pareti laterali del transetto, raffiguranti scene della Vita di s. Gerolamo Emiliani.Poi, ancora a Firenze, dipinse la Gloria di Maria con i ss. Paolo e Carlo Borromeo nel soffitto della chiesa, oggi sconsacrata, di S. Carlo Borromeo (dove sono evidenti i richiami a M. Bonecchi); nel 1752 affrescò tutto il coro (prospettive architettoniche di P. Anderlini) e lo sfondo della volta della chiesa di S - Giuseppe dei minimi; nello stesso periodo lavorò alla cupola deIrantichissima chiesa di S. Pancrazio, ricostruita dai monaci vallombrosani, rappresentandovi nei peducci: S. Gregorio papa, S. Giovanni Gualberto, S. Arnaldo martire e il B. Migliore (perduti). Fu poi chiamato a Savona dai padri della Compagnia di Gesù a decorare tutta la nuova chiesa di S. Ignazio (ora S. Andrea) con scene della vita e della glorificazione del santo. Di quest'opera, certamente la più impegnativa dei B., i gesuiti apprezzarono soltanto una complicata allegoria della vocazione e della spiritualità ignaziana raffigurata in una delle due medaglie sulla volta della navata centrale; ad essa fanno corona le scene dell'abside, delle quattro cappelle e quella sulla porta principale che reca la firma dell'autore- Infine nel 1765 nella cappella XXIV del Sacro Monte di Varallo, costruita nel 1737, dipinse, oltre allo sfondo, diciotto statue di terracotta di C. A. Tantardini ed una del Bernero.
Non si conosce con sicurezza il maestro del B.; alcuni lo dicono allievo di Antonio Puglieschi, un seguace dei Dandini passato poi a Roma alla scuola di Ciro Ferri; altri di Matteo Bonecchi, che apprese a sua volta l'arte dal Sagrestani, uno dei pochi pittori di un qualche rilievo che in Firenze reagirono agli irnitatori del Cortona. Tale incertezza dimostra non tanto l'ambiguità, quanto l'impersonalità dello stile dei Betti. Negli affreschi si trova sia la correttezza un po' monotona della composizione, che è il suo tributo alla tradizione secentesca, sia la fretta e la maniera della scuola dandinesca, così che la cupola di S. Pancrazio suscitò la "soddisfazione degli intendenti", mentre i gesuiti di S. Ignazio a Savona giudicarono i suoi affreschi vistosi ma di maniera, ispirati dalla fretta e quanto mai contrari all'ideale di compostezza della scuola fiorentina.
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