SIGILLO
Il s., da sigillum diminutivo di signum, corrispondente al greco: σϕραγίς (donde sfragistica la disciplina che li studia), ha origini antichissime ricollegandosi alla necessità pratica di "segnare" oggetti, o messaggi, o documenti, e pertanto grande diffusione specie nelle civiltà prive ancora di scrittura. La prima documentazione che se ne abbia, a partire dal IV millennio, compare in Oriente, senza che tuttavia questo termine stia ad indicare precisi limiti di tempo o una "invenzione" propria delle aviltà, orientali: l'uso di "segnare" infatti, è istintivo di ogni popolo e con esso è evidentemente collegata l'impronta ed il mezzo che la realizzò. È invece certo che la sua prima, larga applicazione si ebbe nel mondo mesopotamico il quale divenne centro di diffusione dei s., proprî di questa civiltà e contraddistinti dalla forma quasi esclusiva del cilindro (solo in epoca preistorica è largamente attestato il s.-timbro); il loro raggio di diffusione si estese però anche in Siria e in Palestina nonché in zone dove prevalgono altre forme di sigilli. Cilindri arcaici sono stati trovati in Egitto, mentre altri dei periodi più tardi sono stati rinvenuti (Ebert, in Reallex. Vorgeschichte, s. v. Glyptik) a Memfi (un gruppo del tempo di Hammurapi) e a Cipro; un cilindro del 700 circa a. C. è stato recuperato nel Prytaneìon di Olimpia, altri invece più antichi (fine III millennio) a Greta, e grande è l'importanza di tali rinvenimenti sia dal punto di vista della storia degli scambi sia come elemento cronologico.
La classificazione dei cilindri mesopotamici è stata già infatti sostanzialmente stabilita (v. glittica, grazie alla copiosa messe del materiale raccolto e Costituito dalle gemme direttamente o dalle tavolette, di piombo prima, e poi di argilla (queste ultime di uso corrente solo dal 2700 a. C.), su cui rotolando essi segnavano l'impronta.
I cilindri infatti, forati nel senso della lunghezza per infilarli a una collana di sospensione, venivano rotolati sul materiale da segnare in modo da lasciarvi la loro impronta. Di materia varia: conchiglia, marmo, aragonite, alabastro e più tardi pietre semipreziose: lapislazzuli, calcedonia, agata, diaspro, cristallo di rocca (quest'ultimo in età assira) ebbero lievi differenze anche nella forma: liscia oppure leggermente concava (prima) o convessa (poi). Le incisioni seguivano in diversità di stile (v. glittica) tutto il corpo del cilindro, segnando scene di contenuto vario, per lo più di carattere mitologico o religioso, accompagnate da iscrizioni con i segni rovesciati (dal IX sec. dritti), che nella maggior parte appaiono indipendenti dalla rappresentazione: esse hanno il nome del proprietario o contengono formule propiziatorie o di preghiera, talora la dedica a una persona di riguardo. Mutamenti di contenuto nelle iscrizioni o nelle scene, la posizione reciproca dei varî elementi, oltre che il mutare dello stile, hanno permesso la classificazione di tale tipo di S. che a partire dall'VIII sec. a. C., appare affiancato dal sigillo-punzone già in uso in altri ambienti: Asia Minore, Siria, Egitto. Questi ebbero una forma particolare, impropriamente detta "cono" ma in realtà costituita da un semi-ellissoide la cui altezza è circa doppia del diametro minore della base; quest'ultima, piatta o (più spesso) convessa e talora di forma irregolare, porta l'incisione, di solito di contenuto religioso, mentre in qualche caso uno o due oggetti appaiono anche sul fusto. Da qualche esemplare recuperato, sappiamo che le montature erano costituite da un anello metallico, che passava in un foro alla sommità della pietra parallelo all'asse mediano.
Mentre in Egitto predomina lo scarabeo (v.), grande importanza ebbe il S. nella civiltà cretese che ce ne lasciò ampia documentazione, diretta o indiretta, nelle "cretule" che sono state rinvenute a Creta in gran numero, in più località, così da far pensare ad archivi di documenti distrutti che esse stavano a segnare. Più di 450 tipi, infatti, se ne son trovati nel palazzo di Haghìa Triada e circa 500 in una piccola casa di Zakro, oltre che nei Palazzi di Festo e di Cnosso. La documentazione dei S. cretesi si inizia col primo Minoico II e si sviluppa pienamente col Medio Minoico I.
Le forme sono molto varie: prismi triangolari, forati al centro, con rappresentazioni diverse su ogni faccia (forme affini in Egitto), cilindri, che a differenza di quelli orientali hanno le impronte sulle facce piatte degli estremi invece che sul corpo curvo, s. con impugnatura a bottone o informa di animali; e varia anche è la materia: osso, avorio, steatite. Le impronte sono costituite o da motivi decorativi, linee, spirali, foglie e rami, più di rado animali, o da iscrizioni, prima pittografiche, poi, a partire dal Medio Minoico (prima metà II millennio), ideografiche, che vi compaiono insieme all'uso della ruota nella tecnica. In fase più avanzata del Medio Minoico la scrittura ideografica è sostituita da altra lineare e quindi scompare dai s. che hanno solo rappresentazioni o segni decorativi; via via si generalizza inoltre l'uso delle pietre semipreziose, in forma di lenti o di mandorle, e dell'oro in forma di anelli. È questo il periodo più interessante del s. cretese, sia per lo stile che per il contenuto delle impronte: la necessità infatti di s. individuali porta alla moltiplicazione delle immagini, ormai non più paghe delle sole forme naturali, ma costrette ad attingere nel puro campo (della fantasia. Nascono così immagini ibride dalla giustapposizione di elementi diversi, fenomeno che fece sorgere il quesito se talune forme mostruose (centauri, sfingi ecc.) non fossero sorte appunto da un tale uso. Accanto a questo repertorio i s. più ricchi portano scene figurate, talora complesse e elegantissime.
Per quanto in Omero non si faccia menzione di s., pure l'uso di essi risale a periodo molto antico anche nella Grecia continentale, dove le necropoli preistoriche di Dimmi e Sesklo in Tessaglia ci hanno reso pietre incise con linee asimmetriche, o parallele, o disposte vagamente a raggi esse erano munite di una specie di orecchietta, donde passava un filo di sospensione. In età storica il s. è ancora più che mai in uso lo si adopera non solo come elemento di controllo nella chiusura dei.documenti legati da un filo e suggellati con cera, ma anche come segno di proprietà.
Il s. dello Stato, importante negli atti legali e per le operazioni del tesoro, era spesso custodito dal tesoriere e sui documenti risulta talora affiancato da una o più impronte di sigilli privati; questi ultimi contrassegnavano anche di solito i contratti e i testamenti.
In quanto alle forme, si diffondono soprattutto in Grecia le gemme ovali con incisione, incassate in un anello che vale come impugnatura, è stato notato che mentre negli inventari del Partenone sono ricordati "s. con anelli di impugnatura" o senza, negli inventari di età ellenistica di Delo si hanno invece "anelli con pietre", il che fa stabilire al IV sec. a. C. la diffusione dell'uso dell'anello sigillare. La materia può esser varia, pietra, o paste vitree negli esemplari più poveri, spesso, soprattutto prima di Alessandro, abbiamo però anelli metallici col s. uguale: e ne conserviamo di oro e di elettro; più raramente di argento e bronzo per la loro facile deteriorabilità.
Il repertorio decorativo ci è noto oltre che dai s., dalle impronte talora raccolte, come a Creta, in depositi di molti esemplari; se ne sono rinvenute a Selinunte ad esempio (Not. Scavi, 1883, pp, 288-314, tavv. vii-xv) in un complesso databile dal 350 al 249 circa con tipi semplici provenienti forse da s. in bronzo, a Tharros in Sardegna interessanti per l'ambiente fenicio, ed a Cirene. Più che le immagini di oggetto o di animali o le scene figurate tratte da soggetti mitologici interessa tra le impronte sigillari l'affermarsi dell'uso del ritratto: la particolarità che l'impronta è destinata ad individuare il proprietario facilita infatti la penetrazione del ritratto nel repertorio figurato sigillare e se non dimostrabile sembra l'ipotesi dello Evans che appunto nella glittica, seguita ben presto dall'arte monetale, sia nato l'uso del ritratto individuale, è tuttavia sicuro che uno dei più antichi esempî di ritratto, che si possa indicare nel mondo greco, è dato appunto dalla gemma firmata da Dexamenos (v.).
Comunque, nell'ellenismo il ritratto si generalizza, per affermarsi decisamente nei s. di età romana; mentre infatti la glittica etrusca lo ignora, pur possedendo una larga diffusione (e questo è un particolare interessante per il problema del ritratto in Etruria), Roma lo adotta largamente sin da età repubblicana. Gli anelli romani inizialmente usati non ornatus sed signandi causa (Macrob., Sat., vii; 13, 12) sono spesso di ferro e talora non da portare al dito, ma da usare esclusivamente pel s.: Pompei ci ha dato infatti anelli in cui il s. è costituito da una tavoletta rettangolare o tonda, sproporzionata all'anello stesso, con le lettere tracciate in rilievo alla rovescia e talora accompagnate da piccoli motivi figurati che riproducono il nome del proprietario.
Pompei stessa ci ha conservato nelle tavolette cerate, che riproducono gli atti di L. Cecilio Giocondo, le impronte sigillari di testimoni accanto alle loro firme.
Una larga classe di impronte sigillari non è data tuttavia dagli anelli, ma dai timbri di cui conserviamo traccia nelle più varie cose: ricordiamo tra esse i timbri ben noti della ceramica aretina con i nomi delle fabbriche, i timbri sui mattoni e sulle tegole (v. bolli laterizi) che riescono spesso di tanta utilità nello studio delle strutture murarie differenti, e timbri usati a chiusura delle anfore che invece con il loro raggio di diffusione possono darci elementi preziosi per la storia del commercio. Un discreto numero di verghe in oro e argento del III-IV sec. d. C., ritrovate qua e là nel territorio dell' Impero, ci conserva inoltre i timbri degli impiegati della zecca responsabili della coniazione: dotati del nome del funzionario e in qualche caso anche del suo ritratto sommario, essi ci forniscono utili dati per lo studio dell'organizzazione del controllo monetale.
Bibl.: Oltre alla bibl. generale s. v. Glittica: Chapot, in Dict. Ant., IV, p. 1325-36, s. v. Signum; Kubitschek, in Pauly-Wissowa, II A, 1923, c. 2361-2455, s. v. Signum. Per i varî tipi di timbri su classi di monumenti differenti: E. Walters, History of Ancient Pottery, Londra 1905, II, pp. 474-87; H. Bloch, I bolli laterizi e la storia edilizia romana, Roma 1947; per la bibl. dei timbri di magistrati monetali nel tardo Impero: L. Breglia, in Boll. del Circolo Num. Napoletano, 1939, p. 5 dell'estratto.