SIEROTERAPIA
In medicina con questo termine si designa la cura con siero di sangue di animale immunizzato o eventualmente di convalescente di una data infezione, o anche con siero di soggetto normale, contenente dei costituenti fisiologici che difettano o mancano nel malato da curare. Il medico il quale pratica un' iniezione di siero si propone cioè d' introdurre nell'organismo del malato delle sostanze difensive o degli ormoni utili o indispensabili, appropriati al caso speciale, scelti opportunamente, tenendo presente che ogni sieroterapia è specifica, cioè basata sulla presenza nei sieri di sostanze attive su una sola tossina o sui germi di una sola specie microbica. La cosiddetta sieroterapia aspecifica si dovrebbe più opportunamente denominare proteinoterapia o semplicemente terapia aspecifica con siero. Rientra nella proteinoterapia, per lo meno nella grande maggioranza dei casi, l'autosieroterapia cioè l'iniezione di siero di sangue dello stesso paziente da curare.
Cenni storici. - La sieroterapia praticamente è stata creata dalla scoperta di E. Behring e S. Kitasato i quali riscontrarono che il sangue in toto o il siero di sangue di animali immunizzati con tossina difterica o tetanica è atto a neutralizzare le tossine usate per l'immunizzazione, tanto se viene direttamente aggiunto alle loro soluzioni, quanto se viene inoculato separatamente da esse ad animali da esperimento. Si denominarono antitossine le sostanze presenti nel siero che a esso conferiscono tale proprietà. P. E. Roux, scopritore della tossina difterica, subito dopo il Behring, perfezionò la preparazione del siero antidifterico e per primo introdusse nella pratica medica la sieroterapia, della quale il Behring aveva dimostrata la possihilità e la razionalità teorica. P. Ehrlich diede le norme, sostanzialmente seguite anche oggi, per dosare il valore dei sieri, e ottenne sieri attivi su due tossialbumine vegetali, l'abrina e la ricina, fatto di nessuna importanza pratica, ma di grande portata teorica. A. Calmette poco dopo preparò i sieri contro i veleni dei serpenti, il cui uso ha dato all'umanità un'arma preziosissima contro un flagello, grave soprattutto nelle regioni tropicali. Dopo questi, in breve volger d'anni, furono preparati molti altri sieri fra i quali è doveroso ricordare quelli antimicrobici, basati sulla scoperta di R. Pfeiffer del potere battericida (v. immunità) degl'immunsieri e quelli anticellulari, la cui conoscenza risale a E. Metschnikoff (Mečnikov) e, per i globuli rossi, a S. Belfanti e T. Carbone e a J. Bordet. Fra i sieri antimicrobici ricordiamo quello anticarbonchioso, preparato indipendentemente da F. Sanfelice e da A. Sclavo in Italia, seguiti da G. Sobernheim in Germania; il siero antistreptococcico; il siero antistafilococcico, che solo in questi ultimi anni, grazie ai progressi realizzati nello studio delle tossine dello stafilococco, ha acquistato molto in attività; il siero antiaftoso, ecc.
Forme della sieroterapia. - La sieroterapia può essere distinta in antitossica, antibatterica e anticellulare, integrativa.
Sieroterapia antitossica. - Si basa sull'introduzione di siero che si ricava dal sangue di animali immunizzati con tossine di origine microbica, vegetale, animale, contenente (come s'è detto) le cosiddette antitossine, atte a neutralizzare gli effetti delle tossine. Ogni antitossina è specifica, cioè è attiva solo contro la tossina con la quale l'animale sieroproduttore è stato preparato. La costituzione chimica delle antitossine, nonostante il lungo intervallo intercorso dalla loro scoperta a oggi, e ancora ignota: si ammette che siano di natura proteica, perché non si possono separare praticamente da proteine, perché non dializzano, sono distrutte dal calore se fatto agire a temperatura sufficiente a coagulare le proteine, dalla digestione triptica o peptica. Non sono solubili nei solventi dei lipoidi.
I sieri antitossici principali usati nella pratica sono quelli preparati: 1. contro le tossine microbiche dei bacilli difterico, tetanico, botulinico, dei germi della cancrena gassosa, dello streptococco, dello stafilococco, di certi germi della dissenteria, ecc.; 2. contro i veleni animali (serpenti, scorpioni, ragni, ecc.). 3. contro il veleno di certi funghi (Amanita phalloides).
I sieri antitossici neutralizzano l'azione delle tossine: tale azione è sottoposta a leggi delle quali le più note sono le seguenti:
Legge I. - Se una quantità A di tossina è neutralizzata dalla quantità B di antitossina, nA di tossina richiede esattamente nB di antitossina per la neutralizzazione (legge dei multipli di Ehrlich).
Legge II. - Nelle miscele esattamente neutre di tossina e di antitossina si forma un precipitato che contiene le due sostanze (G. Lamb, L. Massol, W. Georgi, C. Nicolle, P. Ramon, ecc.).
Legge III. - Le tossine e le antitossine dopo la loro azione reciproca possono essere riottenute, e ancora attive, con opportuni procedimenti. Questo fatto di importanza fondamentale insegna che l'antitossina non scompagina l'architettura della tossina, come per es. fa la tripsina quando idrolizza una proteina, ma che semplicemente ne inibisce gli effetti tossici sull'organismo, così come un acido neutralizza una base.
In favore dell'idea che il legame fra tossina e antitossina sia di natura chimica (P. Ehrlich) condizionato dall'affinità fra queste due sostanze, sta anche la stretta specificità della neutralizzazione, che male si può spiegare con soli legami fisico-chimici o con affinità generiche come quelle fra la tripsina e le proteine che essa può attaccare.
Sieroterapia antibatterica e anticellulare. - Nel corso di malattie infettive spontanee o in seguito all'inoculazione di germi vivi o morti, o di estratti di essi, gli animali possono elaborare e riversare negli umori delle sostanze, denominate, come le antitossine, anticorpi, ad azione antimicrobica. Tali anticorpi in condizioni opportune o uccidono i germi (batteriolisine) o li rendono fagocitabili (opsonine, batteriotropine) o ne neutralizzano le aggressine, sostanze tossiche o no con le quali i germi paralizzano la difesa dell'ospite invaso. Oltre a questi anticorpi, o in altre parole a queste attività, i sieri immuni possono esplicare anche altre azioni antimicrobiche, sulle quali però non c'è né chiarezza di vedute, né accordo fra i varî studiosi.
S'è affermato che certi sieri riescono terapeuticamente utili in quanto impediscono ai germi di elaborare la capsula, corazza che li rende resistenti al potere battericida e alla fagocitosi; altri ha affermato che negli immunsieri sono presenti degli anticorpi che neutralizzano i fermenti dei germi, così che questi non possono assimilare le sostanze dell'ospite e perciò non riescono piò a moltiplicarsi. Ambedue le supposte difese sono state comprese sotto la designazione di immunità atreptica. Si ammette che certi immunsieri possano conferire all'animale al quale vengono inoculati uno stato allergico, cioè una vera ipersensibilità verso i germi, per effetto della quale rapidamente l'organismo risente la presenza dei germi anche se in piccola quantità e reagisce vivacemente. La reazione è rappresentata da un processo flogistico (infiammazione) nel quale sono mobilitate tutte le difese, di natura sia cellulare e sia umorale, delle quali è capace l'organismo normale. Per questa rapida reazione, contrastante con la scarsità e la lentezza della reazione dell'animale normale, non trattato con siero, i microrganismi sono distrutti rapidamente dopo la loro penetrazione nei tessuti.
I principali sieri antimicrobici noti sono: i sieri anticarbonchioso, antitifico, antimeningococcico, antigonococcico, anticolerico, antipestoso, ecc., tutti indirizzati contro i rispettivi germi. Parecchi sieri antimicrobici, non diversamente dai sieri antitossici, propriamente detti, contengono anche delle antitossine, e perciò esplicano attività non soltanto antibatterica, ma anche antitossica nel vero senso della parola.
Sieroterapia integrativa. - Si basa sull'introduzione nel corpo di un animale di principî, non isolabili diversamente, contenuti nel sangue di un animale normale, ma scarsamente elaborati nell'organismo che si vuole curare. La conoscenza di questo gruppo di sieri non è basata su ricerche così vaste e così sicure come quella dei sieri antitossici o antimicrobici più sopra ricordati, ma pur tuttavia ha applicazioni pratiche non trascurabili.
I principî attivi da introdurre nel malato da curare sono per lo più ormoni, cioè i prodotti dell'attività delle ghiandole endocrine. Tali ormoni, presenti in piccola quantità nel sangue circolante, raggiungono il massimo della concentrazione nella vena emulgente dell'organo a secrezione interna. Le vene tiroidee sono più ricche di ormoni tiroidei che non quelle di qualsiasi altra parte del corpo, e così dicasi delle vene della surrenale, dell'ipofisi, ecc. In tempi recenti ha destato l'attenzione degli studiosi il tentativo di curare l'indebolimento della vecchiaia con l'iniezione di siero di sangue delle vene della ghiandola sessuale maschile, ma il tentativo non s'è imposto nella pratica, né ha dato per ora prove sufficienti di attività. Da anni si usa vantaggiosamente la sieroterapia emopoietica, atta a stimolare la formazione di globuli rossi, basata sull'uso di siero di sangue di cavalli giovani ripetutamente salassati e in piena rigenerazione globulare: l'antinefritica (siero di sangue della vena emulgente del rene), l'antitiroidea (siero di cavalli stiroidati). Oltre a queste forme di sieroterapia, se ne affacciano all'orizzonte altre sulle quali sarebbe prematuro dare un giudizio. Secondo qualche ricercatore è possibile elaborare sieri contenenti anticorpi litici attivi contro determinati gruppi di cellule dell'organismo, e meno attivi o anche del tutto inattivi su tutte le altre. Le cellule contro le quali si sferra l'attacco con i sieri devono differenziarsi da quelle normali e rappresentare un pericolo per il loro portatore: rientrano in questa categoria le cellule dei tumori. L'avvenire dirà se questa via, ora appena aperta, porterà o no alla meta.
Modalità di applicazione della sieroterapia. - La modalità di introduzione nel corpo dei sieri preventivi o curativi si basa sullo scopo da raggiungere e sulla peculiarità del processo morboso da combattere. Le vie seguite sono: 1. l'applicazione locale sul focolaio morboso, se esso è direttamente aggredibile (istillazione nel sacco congiuntivale, o in cavità naturali con processi infettivi localizzati alla mucosa); 2. ingestione o applicazione per clistere; 3. iniezione nella sede o intorno al focolaio morboso; rientra in questa modalità l'introduzione del siero nello speco vertebrale o nei ventricoli cerebrali nel caso di meningite cerebrospinale, o nel cavo peritoneale nella peritonite; 4. iniezione nel sottocutaneo o nelle masse muscolari; 5. iniezione endovenosa. La quantità di siero inoculata varia a seconda dell'attività del siero, della gravità dello stato morboso da combattere, potendo oscillare da pochi decimi di cmc. a oltre 1000 cmc., convenientemente ripartiti.
Scopi della sieroterapia. - La sieroterapia ha due scopi fondamentali, nettamente distinti fra di loro: rendere un organismo sano più resistente per un dato tempo a un'infezione della quale si teme l'insorgenza; curare un organismo già infetto. In altre parole essa ha uso profilattico e uso curativo, sia contro le tossine microbiche, sia contro i germi.
La più comune applicazione profilattica dei sieri è quella antitetanica. Si sa che il bacillo del tetano è straordinariamente diffuso nel mondo ambiente e che esso può venire veicolato nelle ferite da terra, brandelli d'abito, schegge di legno, strumenti di ferro sudici e rugginosi, spine di vegetali, ecc. Nei tessuti il bacillo del tetano difficilmente trova le condizioni per svilupparsi, e perciò, anche indipendentemente da interventi terapeutici appropriati, non arriva a dare malattia: ma in una certa percentuale di casi riesce a proliferare e a produrre la tossina atta a ledere profondamente i centri nervosi. La pratica ha insegnato che si riesce con quasi assoluta certezza a evitare l'insorgenza del tetano, inoculando nel più breve tempo possibile dopo la ferita una conveniente quantità di siero antitetanico. Con questa pratica, estesa durante la guerra mondiale a tutti i feriti, s'è visto scomparire il tetano negli eserciti belligeranti. La trascuranza dell'iniezione preventiva di siero antitetanico è considerata ora come un grave errore, e quasi come un crimine.
La sieroterapia preventiva ha una efficacia circoscritta nel tempo, perché l'antitossina o le sostanze microbicide inoculate sono in parte distrutte e in parte eliminate con rapidità varia nei varî individui: nella migliore delle ipotesi la persistenza degli anticorpi inoculati non supera di molto i 15 giorni, ma non di rado non sorpassa 3-4 giornate. I germi (o le tossine) restano neutralizzati fino a quando gli anticorpi persistono, ma si possono sviluppare dopo l'eliminazione del siero. Da ciò la necessità di ripetere l'iniezione di siero antitetanico preventiva soprattutto nei casi di gravi ferite largamente infette e nei pazienti nei quali si sospetti una rapida eliminazione dei principî attivi. Tale eliminazione è rapida soprattutto nei malati anafilattizzati, i quali presentino un attacco precoce di malattia da siero o un ictus anafilattico.
La sieroterapia preventiva è usata nella pratica per proteggere contro la difterite, la cancrena gassosa, le infezioni pneumococciche, soprattutto dopo atti operativi gravi, ecc.
Condizioni di efficacia della sieroterapia. - Dobbiamo distinguere le condizioni di attività dei sieri antitossici da quelle dei sieri antimicrobici. I sieri antitossici in vitro neutralizzano rapidamente le tossine contro le quali sono preparati, se vengono mescolati con esse. In vivo possono neutralizzarle se esse sono disciolte negli umori nei quali può penetrare l'antitossina. Se le tossine si sono già fissate agli elementi cellulari, o se vengono rapidamente assorbite in tessuti nei quali l'antitossina non può penetrare, non è possibile la loro neutralizzazione e quindi il siero riesce inefficace. Pretendere di curare con la sieroterapia le lesioni subite dalle cellule per opera delle tossine, sarebbe come volere riparare i danni dell'incendio di una casa inondandola di getti d'acqua (E. Roux). La sieroterapia antitossica deve perciò essere più precoce che sia possibile; e in casi d'urgenza, quando l'intossicazione è già grave, si deve scegliere la via di somministrazione che meglio permetta la ripartizione dell'antitossina in tutti i tessuti, il che s'ottiene nel migliore dei modi con l'inoculazione endovenosa. Maggiore è la quantità di tossina introdotta e più rapida è l'azione di essa sull'organismo, tanto più rapida e intensa dev'essere la sieroterapia. La cura con siero del morso di vipera può dare effetti utili anche se fatta qualche ora dopo; quella del morso di altri rettili più velenosi dev'essere immediata, dato che la morte del soggetto morsicato può avverarsi in pochi minuti. In animali nei quali si inocula prima tossina tetanica, si riesce a impedire la morte con la stessa quantità di antitossina che neutralizza la tossina in miscela diretta; se però questa viene inoculata solo dopo 4 minuti. Se l'intervallo fra le due iniezioni è di un'ora, occorrono dosi di antitossina 40 volte superiori: se l'intervallo è di 5 ore, benché non siano ancora insorti al momento dell'inoculazione curativa sintomi di tetano negli animali, non bastano quantità 100 volte superiori di antitossina a impedirne l'insorgenza e a scongiurare la morte.
Problema di grande importanza è di sapere se nell'uomo o negli animali nelle condizioni proprie delle infezioni naturali (ben diverse dalle intossicazioni prodotte dall'inoculazione di una dose mortale di tossina) l'antitossina può distaccare la tossina già fissata alle cellule. Una soluzione sicura non è ancora stata portata; si crede che le antitossine non possano penetrare nelle cellule: potrebbero solo agire sulle tossine fissate sull'ectoplasma. Altri ammettono che il legame tossina-cellula sia reversibile e che continuamente la tossina si distacchi dalle cellule e si diffonda nel fluido ambiente, e viceversa, a seconda della sua concentrazione, della solubilità, della diffusibilità nei fluidi organici e nelle cellule. Se negli umori è presente antitossina, questa fissa la tossina e ne impedisce l'ulteriore fissazione agli elementi cellulari, che restano praticamente disintossicati. Complessivamente, benché le opinioni dei varî studiosi non siano concordi, si ritiene che, anche se usate a scopo curativo, le antitossine agiscano soltanto profilatticamente, impedendo agli elementi cellulari di continuare a intossicarsi in quanto fissano le tossine di nuova produzione, e quelle che si distaccano dalle cellule. Il distacco della tossina sembra più facile se la fissazione alle cellule è avvenuta da poco tempo.
I sieri contro il veleno dei serpenti sono essenzialmente sieri antitossici; essi però non neutralizzano un veleno, ma un enzima, o meglio una serie di enzimi, i quali provocano la formazione di sostanze tossiche e son causa di un complesso di modificazioni patologiche. S. Belfanti pone in luce il dato di fatto registrato già da diversi osservatori che l'inoculazione di siero antivelenoso con rapidità estrema può determinare un ritorno dell'uomo o dell'animale morso da un serpente da uno stato morboso grave a condizioni quasi normali. In tali soggetti intossicati il complesso dei cosiddetti veleni iniettati col morso persiste discretamente a lungo, per lo meno con qualche suo costituente, e provoca successioni morbose in distretti dell'organismo, dove può essere raggiunto dall'antitossina. Non è possibile dire dove avvenga l'incontro e la neutralizzazione del veleno e dell'antiveleno.
I sieri antimicrobici agiscono, non diversamente da quelli antitossici, tanto meglio quanto più precocemente sono inoculati; anzi in alcune condizioni, come per es. nella polmonite, se i sieri terapeutici vengono iniettati dopo il 5° giorno di malattia, provocano un aggravamento del male.
I sieri antimicrobici a differenza di quelli antitossici, non sono attivi di per sé sui microrganismi, ma debbono essere integrati dalla cooperazione di fattori umorali e cellulari del soggetto inoculato. Le batteriolisine, p. es., sono attive solo se trovano una sufficiente quantità di complemento libero e se l'incontro fra germi, batteriolisine e complemento avviene in ambiente adatto; la presenza di cellule necrosate ostacola il prodursi della batteriolisi. Le opsonine, le batteriotropine, gli anticorpi atti a conferire un'allergia passiva, richiedono l'attività di leucociti e di altri tipi di cellule, una sensibilità e reagibilità del sistema nervoso. Il risultato ottenibile con sieri antibatterici sui germi è subordinato a rapporti quantitativi fra germi, anticorpi, complemento in vivo come in vitro: vi sono cioè rapporti quantitativi necessarî perché i fatti si svolgano o no in una direzione utile.
Un'altra difficoltà di azione dei sieri antibatterici è data dalla eventuale presenza in essi di particolari anticorpi, che ostacolano il prodursi della batteriolisi, ma soprattutto dal fatto che i germi sono esseri viventi, dotati di un'alta capacità di adattamento a condizioni sfavorevoli, per effetto della quale possono acquisire una resistenza assoluta agli anticorpi che l'organismo può loro contrapporre. Si aggiunga a queste condizioni sfavorevoli all'azione terapeutica l'esistenza nella stessa specie microbica di una indefinita varietà di ceppi, diversi fra di loro per qualche proprietà, e perciò diversamente atti a risentire l'azione di un dato anticorpo. Si cerca di ovviare a questo inconveniente preparando dei sieri polivalenti, cioè ottenuti usando nell'immunizzazione molti ceppi di germi della stessa specie, diversi fra loro per provenienza e caratteri.
Titolazione dei sieri. - I sieri ottenuti in animali della stessa specie con lo stesso procedimento e più se di specie diverse (cavallo, bue, capra, pecora, cammello, ecc.) non hanno tutti lo stesso valore, perché contengono quantità assai disuguali di antitossina o di anticorpi antibatterici. Per conoscere il valore dei sieri occorre misurare la quantità di principî attivi in essi contenuti. Più facile e meglio controllabile perché dà risultati presso a poco costanti, è la titolazione dei sieri antitossici; meno sicura è la determinazione del valore dei sieri antibatterici.
Cominciamo dalla titolazione dei sieri antitossici. Occorre stabilire un'unità di misura, convenzionale, come lo sono le altre. Essa deve essere stabile, costante, di facile maneggio, di costo modesto. P. Ehrlich (al quale spetta il merito di avere elaborato questa metodica) ha constatato che i sieri antitossici essiccati con determinate norme e conservati dopo accurata polverizzazione nel vuoto e a bassa temperatura, mantengono per assai lungo periodo inalterata la loro attività antitossica. Una data quantità del siero campione (per es., antidifterico) essiccato costituisce l'unità di misura. Praticamente però il siero testo viene disciolto in acqua glicerinata nella quale conserva per qualche mese, soprattutto se mantenuto a bassa temperatura, inalterato il titolo antitossico. In tale confezione si usa come campione per la titolazione dei sieri. La soluzione campione alla quale si ricorre praticamente contiene 10 unità antitossiche (U A) per cmc. È comodo avere anche una tossina testo, ma non è indispensabile, e basta disporre di tossine stabilizzate, cioè che abbiano un'attività relativamente costante. Si diluisce in soluzione fisiologica il siero testo uno a dieci: ogni cmc. contiene così I U A. Si distribuisce in una serie di tubi 1 cmc. della diluizione (I U A) e si aggiunge tossina in quantità scalari. Si lascia la miscela a temperatura di 15°-20° per 30′ e poi, diluendo con un po' di soluzione fisiologica e curando di non perdere alcuna parte del liquido, s'inocula il contenuto dei tubi della serie nel sottocutaneo di altrettante cavie del peso di 250 gr. Fra le miscele allestite se ne trova una che uccide la cavia in 4 giorni: quella miscela costituita da un'unità antitossica e da tossina forma la quantità + (limes mortalis). Volendo ora titolare un siero lo si diluisce variamente e a 1 cmc. delle varie diluizioni si aggiunge la quantità di tossina occorrente per dare L+: le miscele si inoculano a cavie dopo 30′ di contatto. Quella miscela che uccide l'animale in 4 giorni esattamente come L+ contiene l'unità antitossica. Per l'uso pratico si dice che contiene l'unità antitossica la diluizione più alta di siero in esame che unita alla quantità di tossina occorrente per dare L+ permette all'animale di sopravvivere 4 giorni. L'unità pratica è cioè un po' maggiore dell'unità teorica. Volendo titolare dei sieri antidifterici contenenti piccole quantità di antitossina, si ricorre al metodo di Romer o a quello di Jensen per la cui descrizione si rimanda ai trattati di immunologia.
Analoga è la titolazione degli altri sieri antitossici; ma i sieri contro il veleno dei serpenti non si prestano a dosaggi così precisi.
Si possono anche titolare i sieri antidifterici secondo P. Ramon, cercando di trarre profitto dal dato di fatto già ricordato che in miscele perfettamente neutre di tossina e di antitossina, i due costituenti flocculano, mentre in miscele ancora tossiche cioè contenenti un eccesso di tossina, o iperneutre, la flocculazione manca o è tardiva.
Fino ad ora non è stata trovata una metodica di valore universalmente riconosciuto per dosare i sieri antibatterici. I procedimenti seguiti si basano sulla determinazione della quantità d' immunsiero occorrente per salvare un animale che s'inocula con una data quantità di germi, rappresentante un multiplo della dose minima letale. Le difficoltà del procedimento consistono nell'impossibilità di mantenere costante la virulenza dei germi, e di disporre di animali egualmente resistenti a una data infezione; queste cause di oscillazione rendono non sicuri i risultati. Le difficoltà aumentano se in paesi diversi i ricercatori devono dosare lo stesso siero.
Inconvenienti della sieroterapia. - Nella grandissima maggioranza l'inoculazione di siero eterologo (per lo più di cavallo) all'uomo non provoca nessun disturbo; solo in pochissimi casi dà reazioni immediate o quasi, anche molto gravi, caratterizzate da intensa caduta della pressione sanguigna, vomito, diarrea, dispnea, ambascia respiratoria e persino edema polmonare, cui può seguire la morte. Altre volte i sintomi morbosi sono meno gravi e si limitano a prurito, orticaria, turbe intestinali, tosse stizzosa, febbre; essi rapidamente insorgono ma anche rapidamente scompaiono in poche ore. Tali fatti (fortunatamente assai rari) sì osservano in uomini in apparenza normali, ma soprattutto in sofferenti di asma bronchiale, febbre da fieno o con manifestazioni allergiche a sostanze alimentari o a medicamenti. Anche questa forma d'ipersensibilità al siero si denomina, non diversamente dalle altre forme del gruppo, idiosincrasia: essa ha strettissima affinità con l'anafilassi con la quale viene dai più identificata.
Assai più frequente di questo complesso di fenomeni tumultuosamente insorgenti è la cosiddetta malattia da siero descritta per la prima volta e profondamente studiata da C. v. Pirquet e da B. Schick.
In percentuale relativamente alta (nel 15% all'inizio della sieroterapia, anche nel 30-50% ora) dopo 8-14 giorni dall'inoculazione di siero insorge febbre, prurito, orticaria più o meno estesa o eritema polimorfo di Marfan, dolorabilità articolare, tumefazione delle linfoghiandole, edema, arrossamento e senso gravativo al punto dove fu iniettato il siero, ecc. Tale complesso di fenomeni di solito è fugace, ma può persistere anche diversi giorni, scomparire o ricomparire più volte, o presentare fasi di esacerbazione separate da intervalli di relativo benessere. Durante la malattia da siero si nota abnorme fragilità vasale, e un insieme di modificazioni del sangue (caduta del numero dei globuli rossi e delle piastrine, eosinofilia). Non sono rare le manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale e periferico.
Tali fenomeni si riscontrano più frequentemente e in forma più grave nei soggetti più volte sieroterapizzati, nei quali insorgono più rapidamente che nei pazienti sottoposti per la prima volta alla sieroterapia; essi possono assumere la precocità e la gravità descritta nell'idiosincrasia alla prima iniezione di siero, ricordando perfettamente i fenomeni dell'anafilassi sperimentale. La conoscenza di questi fatti induce il medico a procedere con la maggiore prudenza se deve inoculare pazienti che presentano qualche manifestazione di idiosincrasia, o si trovano in istato di anafilassi, perché sono già stati inoculati con siero e hanno già presentato fenomeni più o meno gravi alla precedente iniezione. La prudenza dev'essere soprattutto notevole se l'inoculazione viene praticata nelle vene o nello speco vertebrale. Per stabilire se il paziente è ipersensibile si fa l'intradermoreazione con il siero da inoculare: s'inocula cioè nello spessore del derma 1/10 di cmc. del siero diluito 1/10, cioè 1/100 di cmc. di siero. Nel caso d'idiosincrasia o di anafilassi in pochi minuti si produce una flogosi più o meno intensa nel punto d'innesto, mentre non si presenta alcuna reazione nei soggetti non allergici. Tale procedimento risponde bene nella grande maggioranza dei casi: però si osservano soggetti a reazione cutanea normale, che vanno incontro a shock grave per l'iniezione endovenosa.
Si tenta di desensibilizzare gl'ipersensibili con un procedimento introdotto da A. Besredka e variamente modificato. S'inoculano cioè, a 20-30 minuti di intervallo, dosi crescenti del siero (1/10, 2/10, 5/10, 1 cmc., 2 cmc., 5 cmc.), diluito in soluzione fisiologica, e si ripetono poi le stesse iniezioni per via endovenosa. Se il paziente le ha tollerate bene è preparato a ricevere dosi assai maggiori di siero senza inconvenienti.
Se scoppiano i fenomeni di shock si combattono con iniezioni di adrenalina, efedrina, sali di calcio, ecc.
Sieri anallergici. - Per evitare la sensibilizzazione dell'uomo al siero di cavallo con iniezioni antitossiche profilattiche, A. Ascoli ha introdotto nella pratica i cosiddetti sieri anallergici, cioè di specie diverse da quella equina. L'inoculazione di un siero di capra o di bue non sensibilizza il paziente all'iniezione successiva di siero di cavallo, o viceversa. Anche nei pazienti che abbiano presentato fenomeni di anafilassi a un siero è bene, dovendo ripetere la cura, ricorrere a un siero anallergico, tutte le volte che se ne presenta la possibilità tecnica.
Purificazione dei sieri. - Nel siero di sangue si trovano principalmente tre qualità di proteine: le euglobuline, le pseudoglobuline, le sierine. Queste tre qualità di proteine sono diverse dal punto di vista antigeno; e inoculate negli animali promuovono l'insorgenza di stati d'ipersensibilità specifici, o meglio prevalenti verso la proteina inoculata. Ne segue che l'inoculazione di un siero può dare origine a tre attacchi di malattia da siero, ognuno dei quali rappresenta la reazione a uno dei tipi di proteine. Se i tre attacchi sono contemporanei, si sommano, ma se si succedono nel tempo (e la cosa è possibile perché la sensibilità dell'organismo alle tre proteine è diversa) possono seguire l'uno all'altro e perciò vengono differenziati.
Se si preparano le proteine di un immunsiero si riscontra che gli anticorpi, come dimostrarono molto brillantemente S. Belfanti e T. Carbone, non sono egualmente distribuiti nelle tre parti, ma si trovano prevalentemente o in totalità nella frazione pseudoglobulinica; il che fa pensare che gli anticorpi o sono pseudoglobuline speciali, o aderiscono o si combinano con le pseudoglobuline. Volendo inoculare dei sieri antitossici, è più opportuno introdurre la sola parte veramente attiva, cioè la frazione pseudoglobulinica contenente gli anticorpi. Si ha così una sola reazione anafilattica, e quindi gravità e durata minori dello stato morboso.
Si è anche cercato, e molti scienziati attualmente lavorano a questo scopo, di rendere il siero meno atto a dare fenomeni di anafilassi. Da anni si è constatato che la lunga conservazione dei sieri e il riscaldamento di essi per un'ora a 55° diminuiscono la loro attitudine a scatenare fenomeni anafilattici. I sieri a uso terapeutico sono tutti riscaldati e lasciati invecchiare, benché tali procedimenti diano solo risultati parziali e non siano forse senza influenza sull'attività curativa.
Terapeuticamente i migliori risultati si possono ottenere con l'inoculazione di immunsieri omologhi, cioè preparati da animali della stessa specie di quelli che si debbono inoculare; si evitano così interamente o si riducono moltissimo i fenomeni della malattia da siero e dell'anafilassi e s'introducono anticorpi omologhi i quali persistono nell'organismo più a lungo di quelli eterologhi, e si trovano in condizione di agire meglio, perché rispondono perfettamente ai fattori che ne completano l'azione. Tale rispondenza è facile ad ottenersi (almeno per certe esigenze) negli animali da esperimento, è di difficile attuazione e limitata ad alcuni casi nell'uomo, dato che non è possibile iperimmunizzarlo per stimolare la produzione di anticorpi, né salassarlo abbondantemente. Gli anticorpi che si formano durante una malattia e ne promuovono la guarigione, di rado raggiungono la concentrazione propria degl'immunsieri.
Bibl.: La bibliografia ricchissima della questione è tutta raccolta nel trattato di A. Wolff-Eisner, Handbuch der exper. Therapie Serum- u. Chemotherapie, Monaco 1926. Si vedano anche in: W. Kolle, R. Kraus, P. Uhlenhulth, Handbuch der pathogenen Mikroorganismen, Jena-Berlino-Vienna 1931, i capitoli: Überblick über die geschichtliche Entwicklung der Lehre von der Infektion, Immunität und Prophylaxe; Die Grundlagen der Lehre von der erworbenen aktiven (allgemeinen und lokalen) und passiven Immunität.