sicurezza sociale
Insieme di prestazioni economiche e sociali erogate dal settore pubblico per tutelare i cittadini rispetto a 4 tipi di rischi sociali o stati di bisogno: vecchiaia e invalidità; infortunio sul lavoro; malattia e disoccupazione; povertà ed esclusione sociale. I soggetti protetti sono titolari di un diritto soggettivo alle prestazioni, diritto che rappresenta al tempo stesso un obbligo per gli enti erogatori di questi servizi. Ciò differenzia la s. s. da altre forme di assistenza volontarie come la beneficenza. I servizi offerti si distinguono in: prestazioni assistenziali, che assolvono a una generica funzione di tutela degli indigenti, al fine di garantire loro i mezzi per un’esistenza libera e dignitosa (indipendentemente dal verificarsi di eventi dannosi), e sono a totale carico della collettività (pensioni di guerra, assegno sociale, pensioni di invalidità civile); interventi socioassistenziali (asili nido, ricoveri per anziani ecc.), nel limite della disponibilità di risorse da parte dell’ente erogatore; prestazioni previdenziali, le quali assolvono alla funzione specifica di tutela dei lavoratori, e dei familiari a loro carico, contro i rischi relativi alla perdita, parziale o totale, della capacità lavorativa (di conseguenza, anche di un guadagno), realizzando un trasferimento di ricchezza sostitutivo del reddito da lavoro, temporaneamente o permanentemente perduto (pensioni di vecchiaia, di anzianità, di superstiti o di reversibilità, pensioni di invalidità, indennità di malattia e di maternità, assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, assegni familiari e interventi contro la disoccupazione).
Le motivazioni dell’intervento pubblico nel settore della s. s. sono di natura redistributiva (➔ ridistribuzione) e di solidarietà sociale nei confronti dei soggetti che non percepiscono reddito, di eguaglianza sostanziale e di efficienza economica e sono legate alla natura di bene meritorio (➔) delle prestazioni stesse. Queste ultime sono finanziate mediante la fiscalità generale, oppure attraverso contributi versati dai beneficiari seguendo due modalità: il sistema della capitalizzazione, se i contributi versati vengono accantonati e investiti, o invece il sistema della ripartizione, se ogni anno le prestazioni sono finanziate direttamente con le entrate senza alcuna accumulazione.
L’espressione s. s. fu ufficialmente usata per la prima volta nel 1935 dal presidente statunitense F.D. Roosevelt per tutelare quei lavoratori danneggiati dalla grande crisi economica (Social security act). Non era mai accaduto che un provvedimento a carattere sociale venisse utilizzato anche come strumento anticiclico e di sviluppo. Ma fu solo con il Piano Beveridge inglese, varato nel 1942 (Social insurance and allied services), che si avviò un processo generalizzato, con la nascita dello Stato sociale universalistico (rivolto a tutti i cittadini) e onnicomprensivo (che garantisce un reddito minimo nei confronti di qualsiasi evento avverso). Nel secondo dopoguerra, il sistema nazionale di assicurazione in molti Paesi fu esteso alla previdenza (➔) sanitaria.
In Italia, l’origine della s. s. è individuabile nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (1898), cui seguirono, 20 anni dopo, una parziale assicurazione contro la disoccupazione (1915-19) e l’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia (1919). Successivamente furono istituiti i 3 grandi enti chiamati a gestire il complesso del sistema sanitario e assicurativo nazionale: nel 1933 l’INAIL (➔), nel 1935 l’INPS (➔) e nel 1943 l’INAM (➔). Con l’introduzione delle pensioni di reversibilità ai superstiti (1939, ➔ pensione obbligatoria), la fissazione di un minimo pensionistico (1952), l’istituzione nel 1969 della pensione sociale (➔) e, nel 1978, l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale (➔ anche sanità), il sistema di s. s. si allargò a gran parte o a tutta la popolazione.
Le politiche sulla s. s. possono essere classificate sulla base della natura della prestazione erogata (trasferimenti in denaro o erogazione di servizi), delle regole di accesso (con accertamento, o meno, delle condizioni di bisogno del potenziale beneficiario), delle modalità di finanziamento adottate (mediante la fiscalità generale o tramite contributi sociali) e degli assetti organizzativo-gestionali. In base a tali elementi, la letteratura distingue 4 modelli di Stato sociale: il modello socialdemocratico (o scandinavo), il modello liberale (o anglosassone), il modello corporativo (o continentale) e il modello mediterraneo.
Il modello socialdemocratico è caratterizzato dalla tutela universalistica, dall’intervento preponderante dello Stato nell’offerta dei servizi, da un elevato livello di spesa per la s. s., finanziata tramite imposte; le prestazioni consistono in benefici in somma fissa, erogati automaticamente al verificarsi dei vari rischi. In aggiunta, i lavoratori occupati ricevono prestazioni integrative, mediante schemi professionali obbligatori.
Il modello anglosassone è basato su programmi di assistenza sociale e di sussidi, la cui erogazione è subordinata alla verifica delle condizioni di bisogno (means testing). Le modalità di finanziamento sono miste, in quanto, mentre la sanità è interamente fiscalizzata, le prestazioni in denaro sono generalmente finanziate tramite i contributi sociali.
Il modello corporativo si basa su programmi molto frammentati e diversificati per categorie, finanziati prevalentemente attraverso contributi sociali. Gli istituti sono strettamente collegati al mercato del lavoro; quindi si dà più al lavoratore che al cittadino.
Il modello mediterraneo presenta programmi altamente frammentati per categorie occupazionali, in cui è ancora più accentuato il ruolo di ammortizzatore sociale assegnato alla famiglia (obbligo di mantenere i figli anche quando questi sono adulti, in caso di bisogno). Sono poco sviluppati sia i programmi per la protezione minima di base o per l’assistenza sociale, sia le politiche attive del mercato del lavoro.