SICHEO (Sychaeus)
Personaggio mitico, appartenente alla leggenda punica delle origini di Cartagine. Il nome fu latinizzato così per ragioni metriche, in luogo dell'originario Sicharbas (Serv., Ad Aen., I, 343) o Sicherbas (Iustin., XVIII, 4-6: codd. Acherbas). Fratello di Muttone, re di Tiro, S. è rappresentato come sacerdote di Eracle - vale a dire, del fenicio Melqart - e come possessore di ricchezze favolose. Quando il re muore lasciando due figli, Pigmalione ed Elissa, egli sposa Elissa; ma Pigmalione, avido d'impadronirsi delle sue ricchezze, lo trae in agguato e lo uccide. Elissa, a cui è apparso lo spirito dello sposo ucciso, fugge segretamente per mare con un gruppo di concittadini, portando seco gli oggetti sacri e il tesoro nascosto. Dopo lunghe peregrinazioni essa approda in Libia, fonda Cartagine, assume il nuovo nome di Didone. E si mantiene fedele alla memoria di Sicheo. Infatti, quando sarebbe sul punto di cedere a Iarba, re indigeno, che vuole la sua mano, essa accende un rogo e si getta nelle fiamme.
Tale la leggenda punica che si trasformò su terreno romano - anteriormente a Virgilio, certo già in Nevio - per l'inserzione di Enea, il quale prima di giungere nel Lazio veniva fatto approdare a Cartagine. La venuta di Enea e l'amore ch'egli ispira inducono Elissa-Didone a mancar di fede al cenere di Sicheo, e soltanto dopo aver mancato di fede, e dopo essere stata tradita essa stessa da Enea, la regina si getta sul rogo.
Bibl.: O. Meltzer, Geschichte der Karthager, I, Berlino 1879, p. 465 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1916, pp. 20-25, 83-85; H. Lamer, in Roscher, Lexicon der griechischen und römischen Mythologie, IV, coll. 1613-16; W. Schur, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV A, coll. 1012-1015.