POLENTON, Sicco
POLENTON, Sicco. – Figlio di Bartolomeo Ricci, detto Polenton, nacque a Levico, in Valsugana, nel 1375 o più probabilmente nel 1376. La famiglia era originaria di Padova e forse si era trasferita a Levico per incarichi amministrativi con il governo dei Carraresi.
Una sua presunta nascita padovana risulta erronea. Ebbe quattro fratelli, di cui uno, Francesco, notaio.
Terminata la vita militare, il padre riportò Sicco a Padova, dove iniziò la sua preparazione culturale anche alla scuola di Giovanni Conversini tra il 1393 e il 1403. Divenuto a vent’anni notaio, iniziò la professione il 2 settembre 1396 continuandola per ben trentacinque anni, come dimostrano i suoi rogiti conservati nell’Archivio di Stato di Padova. Tra il 1402 e il 1403 ottenne la cittadinanza di Padova e la successiva aggregazione al Collegio dei notai, e quindi la nomina a cancelliere del Comune: in tale ruolo si firmò per la prima volta nel 1404 in margine al testamento del cardinale Pileo da Prata. Conservò l’ufficio anche dopo la caduta dei Carraresi, nel 1405, e l’aggregazione di Padova a Venezia. Nel 1408 sposò Antonia Enselmini, appartenente a un’importante famiglia cittadina che vantava tra gli avi la beata Elena, clarissa francescana dei primi decenni del XIII secolo. Dal matrimonio Sicco Polenton ebbe undici figli; viveva nel palazzo in via San Pietro, passato poi al figlio Modesto, al quale fu molto legato e che continuò a dedicarsi a studi letterari.
Nel 1413 scrisse un commento a opere ciceroniane, gli Argumenta super aliquot orationibus et invectivis Ciceronis, dedicati al padovano Giacomo Algarotti, l’opera che ha avuto una discreta fortuna manoscritta (Biblioteca apostolica Vaticana, Palat. lat. 1478, 1494; Urb. lat. 317) e poi a stampa a partire dalla prima edizione (Venezia 1477), ed elaborata sull’esempio della Inquisitio super undecim orationibus Ciceronis di Antonio Loschi, per fornire un’analisi di carattere retorico a sedici orazioni di Cicerone alle quali sono aggiunte pure le invettive fra Cicerone e Sallustio, ritenute autentiche. L’opera si configura come un sussidio scolastico, privo di originalità, con un ampio spazio dedicato all’esposizione dei contenuti dei testi e delle fonti. A simili scopi doveva rivolgersi pure il De ratione studendi, non pervenuto, di cui dà notizia lo stesso Sicco Polenton e che, non ancora finito, inviò ad Antonio da Bergamo in data 23 maggio 1415.
In quegli anni asserì di aver scoperto le ossa di Tito Livio, ricavandone fama e onori. Nel 1419 scrisse la commedia Catinia, in prosa, suddivisa in scene, una delle prime prove del teatro umanistico, dedicata a Iacopo Badoer, che sarebbe divenuto nel 1439 arcivescovo di Spalato. Il testo – tramandato da cinque manoscritti, fra cui i Vat. lat. 5199 e 8533 della Biblioteca apostolica Vaticana e il Lat. XI, 61 (4357) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia – si presenta come un dialogo ambientato ad Anguillara, nella campagna padovana, a cui partecipano cinque personaggi: Catinio, venditore di catini, Bibio, oste del paese, Lanio, mercante di lana, Cezio, pescivendolo, Questio, frate mendicante. L’azione si svolge in un’osteria fra discussioni, mangiate e bevute, che contrappongono la vita dei singoli personaggi a quella dei letterati, dei militari, dei teologi. Non manca una forte impostazione comica e satirica, con ironia scanzonata che dà uno sfondo agile e originale al testo, che sbeffeggia con toni parodistici la vita accademica e la severità degli studi e dei rituali visti senza orpelli retorici. Il testo latino fu volgarizzato e poi stampato a Trento nel 1482; l’opera fu attribuita al figlio Modesto e presenta una contaminazione di latinismi, forme venete e toscane.
Nello stesso tempo Polenton ebbe l’incarico di redigere con altri cittadini i nuovi Statuti padovani e si occupò di quello dei notai. Nel 1420, in occasione dell’incendio del palazzo della Ragione, si prodigò per il salvataggio di non pochi documenti, mentre aveva da poco iniziato a scrivere i Scriptorum illustrium latinae linguae libri XVIII, la sua opera più impegnativa, considerata la prima, embrionale storia della letteratura latina, dedicata alla memoria del figlio Polidoro. Vi lavorò dal 1419 al 1433, con l’interruzione dal 1420 al 1426, dovuta al recupero dei documenti sfuggiti al rogo del palazzo della Ragione.
Esiste una prima redazione (ferma all’inizio del libro VII), tramandata dal ms. 121 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, mentre la stesura autografa definitiva si trova nel ms. Ottob. lat. 1918 della Biblioteca apostolica Vaticana confezionato dallo stesso Sicco nel 1437 (esistono anche una quindicina di altri manoscritti completi e un gruppo più ridotto di incompleti).
La letteratura latina è distinta in tre grandi periodi: classico, cristiano-medievale e, pur ridotto, contemporaneo (determinatosi dopo i ‘tempi bui’ medievali, durati mille anni, dalla morte di Giovenale ad Albertino Mussato: a quest’ultimo, nella prima redazione, attribuisce la riscoperta della poesia, poi, nella seconda, assegna tale ruolo a Dante), in base alla circolarità della ruota, che scandisce periodi positivi ed età negative.
Nella distribuzione della materia – centrata sulle biografie dei singoli autori, non più generici ‘uomini illustri’ ma ‘scrittori’ divenuti famosi per la loro produzione letteraria – Sicco segue canoni tradizionali. Dopo il libro I con la spiegazione dei temi trattati e un proemio sull’origine delle lettere e delle arti, i libri II-IV sono dedicati alle biografie dei poeti, da Livio Andronico a Petrarca, raggruppati a seconda dei generi o dell’importanza; i libri V-VIII sono indirizzati agli storici greci, romani dell’età repubblicana e poi imperiale, scrittori di epitomi, cronache, opere cosmografiche, fino a Boccaccio; i libri IX-XVIII sono concentrati sugli oratori: Catone, Varrone, Cicerone (libri X-XVI), Seneca (libro XVII, nel quale continua la confusione tra i due Seneca), Vitruvio, Asconio Pediano, Quintiliano, Apuleio, Boezio, Prisciano, Macrobio, Isidoro e altri.
Ciascun libro è introdotto da una prefazione e chiuso da una sintesi; la trattazione è desunta sia da fonti consuete (grammatici, biografi tra cui Donato, Probo, Servio e quindi Cornelio Nepote, Svetonio, Plutarco), sia dalla diretta lettura degli scrittori trattati. L’elenco delle opere dell’autore è sempre sintetizzato al massimo, anche se non mancano riferimenti specifici o chiarimenti particolari (come nel caso delle opere di Plauto o di Cesare). Recependo senza verifiche la tradizione medievale, Polenton accetta per autentici scritti apocrifi (ad esempio per Virgilio o Cicerone, le lettere di Seneca a s. Paolo, scambia Prisciano con Lattanzio Placido, ritiene autentiche le lettere di Lucano e Persio). Non manca però una capacità di lettura unita a una sensibilità complessiva nella definizione delle varie problematiche non priva di incertezze e ingenuità, con cui cerca di superare la dicotomia tra autori pagani e autori cristiani insistendo su aspetti di carattere morale, comuni a tutti. Significativa è la sua volontà di delineare, per primo, il quadro complessivo dell’evoluzione della letteratura latina, dalle più arcaiche espressioni fino al suo tempo, secondo una continuità di lingua in grado di unificare esperienze diverse, con un’impostazione enciclopedica sull’uso delle fonti non sempre profondo, spesso compilativo, e con scopi essenzialmente pedagogici per indurre i lettori al raggiungimento della virtù.
Una nota di Giovanni Gioviano Pontano, presente nel ms. Periz, IV, 21 della Biblioteca di Leida, c. 47v, accusava Polenton di aver posseduto parte delle Vite di Svetonio dedicate a oratori e poeti romani, di averla utilizzata e poi distrutta per evitare la possibilità di individuarne la dipendenza; ma l’accusa si è rivelata falsa ed è stata ripetutamente smentita. A fine secolo Paolo Cortesi, nel De hominibus doctis, riteneva l’opera di Polenton utile ma ormai quasi non più letta.
Nel 1430 lasciò l’attività di notaio e di cancelliere e iniziò quella forense, forse perché più remunerativa, mentre continuò gli studi letterari, con la stesura, fra il 1433 e il 1434, delle biografie dei più famosi santi e beati padovani: s. Antonio, il beato Antonio Pellegrino e la beata Elena Enselmini, conservate, per esempio, nel ms. 559 della Biblioteca Antoniana di Padova e nel Marc. Lat. IX, 182 (3293) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia.
La Sancti Antonii confessoris de Padua vita et miracula (edita a Padova nel 1476) è distinta in due parti: la prima è dedicata alla vita di s. Antonio, la seconda ai miracoli da lui compiuti. La Beati Antonii Peregrini vita et miracula, di poco successiva e con la medesima ripartizione e lo stesso schema, è rivolta al figlio Lazzaro; struttura e impostazione simili si ripetono anche nella Beatae Helenae monialis vita et miracula.
Tra il 1435 e il 1436 scrisse il trattato De confessione, in quattro libri, offerto al vescovo di Padova Pietro Donato (tramandato in sette manoscritti fra cui il 565 della Biblioteca Antoniana di Padova); Sicco espone, con grande prolissità, quanto ha a che fare con la confessione, attraverso un dialogo tra un sacerdote e un peccatore in una chiesa di Padova a fine carnevale.
In seguito, sulla base delle molte letture effettuate, raccolse, con intento didattico ed erudito, nel Liber exemplorum (autografo nel ms. 1833 della Biblioteca universitaria di Padova), dedicato al figlio Modesto, una serie di esempi e aneddoti per dilettare ed educare il lettore proponendo casi di storia antica, romana e sacra.
Si hanno di lui pure tre orazioni (per esempio, nel ms. B.P.1123 della Biblioteca civica di Padova) preparate in anni e in circostanze diverse: due per Niccolò Campolongo, notaio, eletto podestà di Trento nel 1418, una per l’ingresso del figlio Modesto nel Collegio dei notai di Padova nel 1435. La prima delle due orazioni per Campolongo è il testo da lui letto entrando in carica, con elogi per il principe vescovo di Trento, Giorgio di Liechtenstein, e con indicazioni generali sulla sua opera di governo. Nella seconda, indirizzata al duca Federico d’Austria per l’elezione del nuovo vescovo dopo la scomparsa del Liechtenstein (fu poi scelto Giovanni da Isny), alle lodi per il defunto si sostituiscono critiche spietate per i suoi metodi di governo tirannici. La terza si ferma su retoriche dichiarazioni di gratitudine per l’evento di cui beneficia il figlio Modesto. Sono esercizi letterari privi di originalità, ricchi di inutili espedienti stilistici.
Di Sicco sono rimaste ventidue lettere (per lo più nel manoscritto B.P.1223 della Biblioteca civica di Padova, nei Marciani lat. IX, 182, XIV, 174, nel Palat. 3160 della Biblioteca nazionale di Vienna) che dimostrano, con la varietà dei corrispondenti (Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni, Guarino Guarini, Michele Savonarola, Andrea Biglia e altre personalità padovane e veneziane), i suoi interessi. Sono per lo più scritti in cui chiede informazioni letterarie e documentarie o prestiti di libri, scambia giudizi su testi in lettura o in scrittura; ci sono anche lettere consolatorie. Così a Niccoli e a Bruni, parla della scoperta delle ossa di Livio, o di opere di Cicerone in una seconda lettera a Bruni, dell’incendio del palazzo della Ragione a Guarino.
Risale al 3 novembre 1445 la stesura del testamento. Sicco Polenton morì alla fine del 1446 o l’anno successivo: venne sepolto nella chiesa di S. Leonardo, in seguito scomparsa, nella tomba fatta costruire anche per il fratello Francesco, morto nel 1464. Nel 1778 il Collegio dei notai gli eresse un monumento in prato della Valle, tuttora esistente.
Opere. Dissertatio de Xiccone Polentone […] praeside Iohanne Erhardo Kappio…, Lipsiae 1733; La Catinia, le orazioni e le epistole, a cura di A. Segarizzi, Bergamo 1899 (per le edizioni precedenti, pp. LXXXII-LXXXVII), con Supplemento critico e bibliografico, Bergamo 1901; C. Battisti, La traduzione dialettale della ‘Catinia’ di S. P.: ricerca sull’antico trentino, in Archivio trentino, XIX-XXI (1904-06) (estratto); Scriptorum illustrium latinae linguae libri XVIII, a cura di B.L. Ullman, Rome 1928 (per le edizioni precedenti, pp. XXXIX s.); La “Sancti Antonii Confessoris de Padua vita” di S. Ricci Polenton (1435), a cura di V. Gambroso, in Il Santo, XI (1971), pp. 199-283. Vedi inoltre le edizioni della Catinia a cura di G. Padoan, Venezia 1969, e di P. Baldan, Anguillara Veneta [1996].
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Padova, Archivio notarile, Sicco Polenton, 1-4 (Abbreviazioni e Istrumenti, 1396-1429, utili anche per la ricostruzione di vicende biografiche, come quelle del fratello Francesco); ibid., Istrumenti di G. Marescalchi, 129 (per l’acquisto di case e beni); ibid., Istrumenti di Z. de’ Calvi, 9, c. 25r (per la presenza in cancelleria); ibid., Abbreviazioni di Z. Tergolina (per il testamento, edito da Segarizzi, pp. LXXIX-LXXXI); Archivio Antico dell’Università di Padova, 785; Archivio del Museo civico di Padova, B.P., 339, 928, 1349, E.1056, Registro, C.D. 71, Libro Rosso.
G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 2, Modena 1776, pp. 102 s.; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, III, Padova 1836, pp. 119-123; F. Ritschl, Parerga zu Plautus und Terenz, I, Leipzig 1845, p. 613; A. Reifferscheid, Suetoni reliquiae, Leipzig 1860, p. 364; G. Voigt, Il risorgimento dell’età classica, ovvero il primo secolo dell’Umanesimo, I, Firenze 1888 (rist. anast. 1968), pp. 432-435; F. Ambrosi, Scrittori e artisti trentini, Trento 1894, p. 14; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, I, Firenze 1904 (rist. anast. 1967), p. 184; A. Solerti, Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al secolo decimosettimo, Milano 1904, pp. 154 s., 320-328, 694; C. Trabalza, La critica letteraria, Milano 1915, p. 34; F.M. Delorme, A propos de S. P., biographe de S. Antoine, in Archivum franciscanum historicum, XIII (1920), pp. 289-291; R. Sabbadini, Il metodo degli Umanisti, Firenze 1920, p. 36; Id., Siccone P. (A proposito dei suoi «Scriptorum illustrium latinae linguae libri»), in Giornale storico della letteratura italiana, XCIII (1929), pp. 313-320; D.M. Robathan, A fifteenth century history of latine literature, in Speculum, VII (1932), pp. 239-248; G. Toffanin, Storia dell’Umanesimo, Napoli 1933 (Bologna 1943), pp. 90-94; C. Angeleri, Un umanista fiorentino del Quattrocento: Pietro Crinito, in Atti della Società Colombaria, XIII (1933-34), pp. 247-267; R. Sabbadini, P. S., in Enciclopedia Italiana, XXVII, Roma 1935, p. 619; G. Funaioli, Studi di letteratura antica, I, 2, Bologna 1946, p. 280; E.R. Curtius, S. P., in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, XI (1949), pp. 219-221; A. Dalmaso, Note sull’attività letteraria dell’umanista S. P., in Studi trentini di Scienze Storiche, XXXIV (1955), 1, pp. 3-27, ibid., XXXV (1956), 1, pp. 236-264, ibid., 2, pp. 22-48; C. Angeleri, Il Poliziano e il Crinito, in Il Poliziano e il suo tempo, Firenze 1957, p. 126; U. Pizzani, S. P. e la Vita Tibulli del Codice Vaticano Ottoboniano latino 2857, in Atene e Roma, n.s., III (1958), pp. 149-158; B.L. Ullman, Pontano’s handwriting and the Leiden manuscript of Tacitus and Suetonius, in Italia medievale e umanistica, II (1959), pp. 310 s., 315, 327; E. Franceschini, Discorso breve sull’Umanesimo nel Trentino, in Aevum, XXXV (1961), pp. 249 s.; F. Simone, Storia della storiografia letteraria francese, Torino 1969, pp. 37, 79-91, 107; G. Ferraù, P. S., in Enciclopedia Dantesca, IV, Roma 1973, pp. 581 s.; P. Viti, Aspetti della tecnica compositiva nei “Scriptorum illustrium latinae linguae libri” di S. P., in Studi trentini di scienze storiche, LV (1976), pp. 249-275; Id., Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina nell’interpretazione dell’umanista S. P., in Atene e Roma, n.s., XXI (1976), pp. 148-168; Id., Per la storia della fortuna del Boccaccio nel Quattrocento: S. P., in Esperienze letterarie, I (1976), pp. 86-96; Id., Le biografie dantesche di S. P., in Studi danteschi, LI (1978), pp. 409-425; G. Billanovich, Antichità padovane in nuove testimonianze autografe di S. P., in Medioevo e Rinascimento veneto con altri studi in onore di Lino Lazzarini, I, Padova 1979, pp. 293-318; P. Cortesi, De hominibus doctis, a cura di G. Ferraù, Messina 1979, p. 126; U. Pizzani, Le vite umanistiche di Tibullo, in Studi umanistici piceni, V (1982), pp. 253-267; G. Martellotti, Scritti petrarcheschi, Padova 1983, pp. 375-376; R. Fabbri, Un esempio della tecnica compositiva del P.: la “Vita Senecae”, in Res publica litterarum, X (1987), pp. 85-92; G. Billanovich - G. Billanovich, Il codice Malatestiano S. XII. 6 da Petrarca a S. P., in Libraria Domini. I manoscritti della Biblioteca Malatestiana, a cura di F. Lollini - P. Lucchi, Bologna 1995, pp. 339-349; D. Coppini, P. S., in Lexikon des Mittelalters, VII, München-Zurich 1995, pp. 59 s.; G. Billanovich, Petrarca e il primo umanesimo, Padova 1996, pp. 37, 201, 331 s., 494; U. Pizzani, Le vite umanistiche di Properzio, in Assisi e gli Umbri nell’antichità, a cura di G. Bonamente - F. Coarelli, Assisi 1996, pp. 493-516; P. Viti, P. S., in Enciclopedia Oraziana, III, Roma 1998, pp. 434 s.; G. Solaro, Lucrezio. Biografie umanistiche, Bari 2000, pp. 7-9; A. Calore, La famiglia Rizzi Polenton e il suo palazzo in contrada S. Leonardo ‘intra’ a Padova, Padova 2005; A. Tilatti, Quattrocento agiografico tra scritture e riscritture. L’opera di S. P., in Cultura, arte, committenza al Santo nel Quattrocento, a cura di L. Bertazzo - G. Baldissin Molli, Padova 2010, pp. 269-282; L. Ruggio, Repertorio bibliografico del teatro umanistico, Firenze 2011, pp. 9-11.