SICCA Veneria (Sicca Veneria)
Città dell'Africa proconsolare, nel sito dell'odierna el Kef in Tunisia.
Centro indigeno, posto sul pendio ripido di un colle, in mezzo ad ampie pianure e all'incrocio di varie strade, era alla metà del sec. III a. C. in possesso dei Cartaginesi, che vi concentrarono dopo la prima guerra punica i mercenarî ribelli. Tra la seconda e la terza guerra punica passò, col territorio attiguo occupato da Massinissa, in dominio dei re numidi. Durante la guerra di Giugurta si arrese ai Romani dopo la battaglia del Muthul; Mario, andatovi ad approvvigionarvisi di grano, fu assalito da Giugurta mentre usciva dalla città. Ottaviano, prima del 27 a. C., vi dedusse una colonia di veterani: da allora portò il nome di Colonia Iulia Veneria Cirta Nova Sicca: che il titolo di Cirta Nova le venisse dall'aver fatto parte del territorio dato da Cesare a Sizio dopo la battaglia di Tapso non pare possibile. Quanto all'epiteto di Veneria esso derivò alla città dal culto antichissimo che vi si praticava di una divinità femminile che i Romani assimilarono a Venere. Solino afferma che la dea era la stessa che si adorava ad Erice in Sicilia, che anzi la città e il tempio erano stati fondati nell'Africa da alcuni Siculi, il che non sembra verosimile. I più inclinano a riconoscere nella dea l'Astarte fenicia, ma l'identificazione non è sicura; può essere si tratti di una divinità indigena. Valerio Massimo ci dice che nel tempio era in uso la prostituzione sacra. Nell'impero la città fu centro prospero per economia e per cultura: il suo territorio era sparso di numerosi castella, e dalle sue scuole uscirono Arnobio e lo scrittore di medicina Celio Aureliano. A mezzo il sec. III era sede episcopale. Giustiniano la recinse di nuove mura.
Vi furono messi in luce sepolcri punico-numidi del sec. II-I a. C.; i resti di una basilica, di età bizantina, e vaste cisterne ancora in uso sono oggi le testimonianze più notevoli dell'antichità.
Bibl.: St. Gsell, Hist. anc. Afrique du Nord, IV, Parigi 1920, p. 349; V, ivi 1927, p. 266; Atlas Arch. Tunisie, f° Le Kef, n. 145.