SIBELLINO da Bologna
SIBELLINO da Bologna (de Capraria). – Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo scultore bolognese, attivo fra l’Emilia e la Toscana nella seconda metà del Trecento.
La sua biografia è parzialmente ricostruibile grazie a un piccolo numero di documenti e iscrizioni che, nonostante le incertezze dovute a variazioni nella grafia del nome, sembrano doversi riferire a un unico personaggio. A favore di questo concorrono la rarità del nome stesso e l’indicazione di una provenienza da Bologna che accomuna tutti i testi considerati.
La più antica menzione del maestro si trovava a San Miniato (Pisa); un’iscrizione del 1344 (oggi perduta, ma riportata in una lapide del 1710 tuttora esistente, che definisce la più antica «pene corrosam») attestava l’esecuzione, da parte di un ‘Ghibellino’ di Guarniero da Bologna, del fonte battesimale della chiesa di S. Maria Assunta, l’attuale cattedrale: «GHIBELLINVS GVARNIERI BOLOGNIENSIS SCVLPTOR LAPIDVM FECIT ANNO MCCCXLIV» (Bitossi - Campigli, 2004, p. 111, nota 109). Dell’opera, che avrebbe subito diversi spostamenti (rimanendo per un certo periodo nella pieve dei Ss. Giusto e Clemente) e che era citata ancora, ma «in male stato» nel 1614 (pp. 81, 114), non sopravvivono frammenti. A corroborare l’identificazione di questo ‘Ghibellino’ con Sibellino è la menzione, da parte di Marcello Oretti (p. 114) e di Pietro Zani (1822, p. 218), dell’esistenza di uno scultore Sibellino «di Guarnieri» da Bologna, da loro detto attivo nel 1357.
Nel 1351 Sibellino lasciò il suo nome («SIBELLINVS‧DE‧CAPRARIA‧DE BONONIA‧ME‧FECIT‧MCCC‧LI‧COPLI»; Dietl, 2009, p. 722, che scioglie con dubbio l’ultima parola in «COMPLERI») nel monumento sepolcrale di Manfredo Pio, signore di Carpi (Modena), morto nel 1348 (su di lui: Ori, 2015, pp. 788 s.), conservato nella chiesa di S. Maria di Carpi, detta la Sagra.
L’opera, più volte spostata e non più nella posizione originaria (Ferrari, 1984, p. 106), si presenta come un sarcofago parietale pensile poggiante su quattro mensole. Nella parte superiore compare il gisant di Manfredo, affiancato dalle statue di due Angeli cerofori. Il frontale della cassa presenta, centralmente, la Madonna in trono col Bambino, con due Angeli che reggono posteriormente un drappo; nel riquadro di sinistra Manfredo è presentato alla Madonna dai ss. Giovanni Battista e Caterina, in quello di destra è S. Giorgio nell’atto di uccidere il drago in presenza della principessa (e non di s. Margherita come a volte indicato). I fianchi del monumento presentano a sinistra un santo cavaliere non identificato (forse s. Alessandro; a volte riconosciuto improbabilmente nello stesso Manfredo) e a destra Cristo in Croce fra la Madonna e s. Giovanni evangelista; agli angoli della cassa si trovano le piccole statue di S. Giacomo (forse il Maggiore) a sinistra e S. Possidonio a destra. Tra le mensole, tre riquadri con lo stemma dei Pio, l’aquila imperiale e un’iscrizione elogiativa di Manfredo, per la quale si è ipotizzata una stesura da parte di Francesco Petrarca (Previdi, 2014).
Scultore di non elevata qualità (Pietro Toesca, 1951, definiva «mediocre» il monumento carpigiano), Sibellino dimostra di possedere una cultura artistica più lombarda che emiliana. Di ascendenza campionese sono infatti la saldezza plastica delle figure, la rigidità dei panneggi, l’iconografia del riquadro con la presentazione del defunto. Diversi elementi sono desunti dalle opere eseguite a Milano, nel corso del quinto decennio del secolo, dal grande scultore pisano Giovanni di Balduccio. Il catafalco su cui poggia la figura giacente e i due angeli cerofori s’ispirano alla tomba di Lanfranco Settala nella chiesa di S. Marco, e il riquadro con la Madonna e il Bambino è desunto con poche varianti dal rilievo n. 829 del Museo del Castello Sforzesco, già parte centrale di un sepolcro visconteo nella chiesa di S. Eustorgio (Vergani, 2012).
Il 15 ottobre 1365, a Pisa, Sibellino «de Bononia» ricevette dall’operaio Bernardo da Campiglia la commissione di «unum frontespitium» da porre sul battistero di quella città, sul modello di uno già eseguito dallo stesso scultore (Bacci, 1919, p. 22). Il frontespizio già realizzato da Sibellino fu indicato espressamente come modello anche per il «frontespitium et ciborium» commissionato nello stesso giorno a Puccio di Landuccio (Novello, 2016) e, implicitamente, per quelli richiesti a Cellino di Nese e, due giorni dopo, a Biagio di Pardo detto Culetto. Dei 100 fiorini concordati per il suo lavoro, Sibellino ne ricevette 10 il 13 novembre successivo e altri 10 il 10 dicembre (Bacci, 1919, pp. 21-26; Caleca, 1991, pp. 207 s.). Questi manufatti sono solitamente identificati con le edicolette ad abbaino poste sulla cornice della cupola dell’edificio (Caleca, 1991, pp. 192 s.).
Non si conoscono notizie di Sibellino posteriori al 1365.
Allo scultore è stata attribuita, sulla base di un confronto stilistico con la tomba Pio (che non appare probante), l’arca sepolcrale di Pietro della Rocca (morto nel 1362; sull’arca compare però la data 1360), conservata nel Museo lapidario Estense di Modena (Paolozzi Strozzi, 2005).
Fonti e Bibl.: P. Zani, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti. Parte prima, X, Parma 1822, p. 218; XVII, 1823, p. 244; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli stati estensi, Modena 1855, pp. 118 s.; A. Sammarini, L’antica Pieve di Carpi. Memorie storico-artistiche, Carpi 1886, pp. 75-77; P. Bacci, Per la istoria del battistero di Pisa. M.° Zibellino da Bologna e il coronamento marmoreo della cupola, Pisa 1919; P. Toesca, Storia dell’arte italiana, II, Il Trecento, Torino 1951, p. 428; C. Smith, The Baptistery of Pisa, New York-London 1978, pp. 81, 249-252; A. Garuti, La pieve di S. Maria in Castello, detta la «Sagra», in Carpi, la chiesa della Sagra (catal., Carpi), Modena 1984, pp. 22-51; C. Ferrari, L’interno della chiesa, ibid., pp. 99-111; A. Caleca, La Dotta Mano. Il battistero di Pisa, Bergamo 1991, pp. 190, 192 s., 207 s.; B. Bitossi - M. Campigli, Per frammenti rimasti. Pittura e scultura in cattedrale dalle origini al XVII secolo, in La Cattedrale di San Miniato, Ospedaletto 2004, pp. 81-124 (in partic. pp. 111-114); G. Paolozzi Strozzi, In merito ad alcune arche presenti nella sezione medievale-moderna, in Il Museo lapidario Estense. Catalogo generale, a cura di N. Giordani - G. Paolozzi Strozzi, Venezia 2005, pp. 39-49; Ead., Scheda R EST 31, ibid., pp. 337-341; A. Dietl, Die Sprache der Signatur, II, Berlin-München 2009, pp. 720-723; D. Ferriani, L’arte del tardogotico, in Storia di Carpi, II, La città e il territorio dai Pio agli Estensi (secc. XIV-XVIII), a cura di M. Cattini - A.M. Ori, Modena 2009, pp. 317-334 (in partic. pp. 319 s.); G.A. Vergani, Scheda 304, in Museo d’arte antica del Castello Sforzesco. Scultura lapidea, I, Milano 2012, pp. 304-306; T. Previdi, «Non è il mondan romore altro ch’un fiato». Carpi e Petrarca, in Trionfi. Il segno di Petrarca nella corte dei Pio a Carpi (catal.), a cura di S. Cavicchioli - M. Rossi, Carpi 2014, pp. 23-27; A.M. Ori, Pio, in Dizionario biografico degli italiani, LXXXIII, Roma 2015, pp. 788-794 (in partic. pp. 788 s.); R.P. Novello, Puccio di Landuccio, ibid., LXXXV, Roma 2016, pp. 608-610.