SIBARI (XXXI, p. 629)
La ricerca archeologica di S. è stata ostacolata dai cambiamenti geo-morfologici intervenuti dall'antichità ad oggi, che hanno modificato il corso dei fiumi, fatto avanzare la linea di costa e rialzato il piano di campagna. Dopo che prospezioni geologiche e geo-magnetiche, oltre a coperture aereofotografiche a raggi infrarossi, hanno permesso di ricostruire le vicende naturali del comprensorio, si è proceduto, impiegando idonei mezzi di drenaggio delle acque sotterranee, allo scavo archeologico a una profondità media di −4 m dall'attuale piano di campagna. L'area occupata da resti archeologici, interamente vincolata per la tutela amministrativa, occupa circa 6 km in direzione nord-sud, a cavallo dell'attuale corso del fiume Crati (territori degli odierni comuni di Cassano Ionio e Corigliano Calabro), con una larghezza est-ovest di circa 3 km. Sono stati aperti cinque cantieri di scavo, in località diverse, con un'estensione superiore a due ettari e mezzo. La documentazione relativa a S., con quota media di −6 m dal piano di campagna, proviene dai cantieri degli Stombi, senza sovrapposizioni più recenti; dal Parco del Cavallo e dal Prolungamento Strada, con fitte sovrapposizioni; ancora sporadica è nel nuovo cantiere di Incrocio. Della città si sono accertati la data di fondazione, nell'ultimo quarto dell'8° secolo; il dialetto dorico e l'uso di alfabeto acheo; la data di distruzione, in seguito ad alluvioni, all'ultimo decennio del 6° secolo, con conseguente abbandono: la corrispondenza con quanto conosciuto dalle fonti letterarie circa S. è completa. La forma urbana è allungata in direzione nord-sud, impiantata su paleo-dune costiere sabbiose per difendersi dalle circostanti probabili paludi, delimitata ai due estremi dal corso dei fiumi Krathis e Sybaris (odierni Crati e Coscile); il progressivo ampliarsi verso il mare (est) è conseguente all'avanzamento della linea di costa, sensibile già nell'antichità. Della città sono noti principalmente edifici privati, a pianta rettangolare con vani interni e pozzi per acqua, costituiti da uno zoccolo di ciottoli di fiume uniti a secco; da un alzato in mattoni crudi con nervature di legno; da un tetto a doppio spiovente di tegole piane e coppi pentagonali, con rari elementi decorativi. Gli edifici si dispongono sia in direzione nord-sud, sia ortogonalmente, conservando un parallelismo piuttosto accurato e lasciando spazi pubblici di comunicazione. Degli edifici pubblici sono noti solamente resti della ricca decorazione a bassorilievo, sia architettonica (astragali; baccelli; rosette a doppio ordine) sia figurata (choros; flautista), su blocchi di calcare biancastro, da cava locale, con regolare anathyrosis, della seconda metà del 6° secolo. Tale materiale architettonico, d'indubbia destinazione templare, è stato reimpiegato in strutture di epoca romana le quali, pur stravolgendone la funzione, l'hanno conservato. Delle attività economiche è nota la produzione ceramica (fornaci; recipienti d'impasto decorati a fasce; coroplastica); l'agricoltura (falcetto; pithoi per conservazione di derrate); la pesca (ami); il commercio (produzioni greco-orientali dal 7° al 6° secolo; protocorinzie e corinzie dall'8° al 6° secolo; attiche dal 7° al 6° secolo; laconiche del 6° secolo; etrusche del 6° secolo). Dell'attività artistica rendono edotti i già citati bassorilievi e le abbondanti statuette fittili (per lo più figure femminili con attributi di culto); isolato, ma significativo, un pettorale in argento e oro, con decorazione a sbalzo, di fabbrica locale. Scarsa la documentazione di oggetti in bronzo. È accertata la presenza, in base ai reperti, di indigeni che costituivano evidentemente la manodopera. Dell'organizzazione sociale nulla è ancora noto: il carattere delle abitazioni scavate è omogeneo. All'alluvione che distrugge S. alla fine del 6° secolo segue un periodo di due generazioni con scarsissime documentazioni archeologiche, ma con chiaro, anche se esiguo, innalzamento di livello. Alla colonia panellenica di Thurii appartengono le strutture recuperate databili dalla seconda metà del 5° secolo all'inizio del 2° secolo: queste ricoprono quasi interamente l'area che fu di S., ma con disposizione diversa. Meno estesa è Thurii in direzione nord-sud e più espansa invece verso est, così come si era nel frattempo arretrato il mare. Dell'impianto urbanistico ippodameo sono state conosciute tre plateiai (due nord-sud; una est-ovest) e cinque stenopoi (est-ovest). Il modulo est-ovest dell'isolato è di 295 m (1000 piedi attici); l'intervallo tra gli stenopoi, ancorché variabile, è rapportabile a 120 piedi: le plateiai sono larghe 13 e 6,50 m; gli stenopoi tra 3 e 4 metri. Gli edifici privati continuano a usare la tecnica già descritta; a quelli pubblici sono probabilmente pertinenti blocchi in calcare e breccia, oltre a capitelli dorici e ionici in calcare, generalmente anch'essi reimpiegati in costruzioni romane. Dei reperti sono da ricordare prodotti ceramici a figure rosse italiote (ma senza che sia possibile stabilire se qui s'impiantarono figuli attici); numerose terrecotte figurate; gran quantità di prodotti per uso quotidiano (ceramiche a vernice nera; recipienti d'impasto; anfore rodie con bollo). Ancora ignote sono iscrizioni pubbliche o private d'interesse, esclusi graffiti. La frequentazione più recente, dall'inizio del 2° secolo a. C. al 5°-6° secolo d. C., s'imposta senza fratture su quella ellenistica: è stata identificata con la colonia latina di Copia, come ipotesi di lavoro. L'assetto urbanistico thurino è conservato, con parziali chiusure delle plateiai in seguito sia alla costruzione di edifici pubblici (emiciclo della metà del 1° secolo a. C., trasformato in teatro un secolo più tardi) sia a probabili deviazioni del corso del fiume Crati (braccio sud della grande plateia nel cantiere del Parco del Cavallo). La maggior parte delle strutture note è costituita da edifici privati, composti da un gran numero di vani (alcuni con mosaici e affreschi) disposti intorno a un cortile centrale, comunicante con le strade. Oltre al già ricordato emiciclo-teatro sono state oggetto di primi scavi le terme nel cantiere del Parco del Cavallo. Solo dell'abitato di epoca romana sono conosciute parti della necropoli (incinerazioni di 1° secolo a. C. e inizio del successivo; inumazioni in fosse a cappuccina del 3° secolo d. C.) e della cinta muraria (struttura in calcestruzzo con fodera esterna di blocchi di reimpiego) costruita tra 2° e 3° secolo d. Cristo. L'abbandono, nell'epoca indicata, è pianificato, come indica l'asportazione di oggetti ancora funzionali, e probabilmente conseguente all'impaludamento, e sopraelevamento, della zona, che ha impedito frequentazioni stabili fino alla recente bonifica. Dei reperti recuperati è prevista l'esposizione in un apposito Museo, in fase di progetto; dell'area archeologica è in corso la sistemazione a parco. Vedi tav. f. t.
Bibl.: La bibliografia fino a tutto il 1971 è raccolta in Not. Scavi, 1972, suppl. (1974) (relazione preliminare della campagna di scavo 1971), pp. 448-50; di essa si segnalano: C. M. Lerici, F. Rainey, The Search for Sybaris 1960-1965, Roma 1967 (situazione geo-morfologica; prospezioni preliminari); Autori vari, in Not. Scavi, 1969, 1° suppl. (relazione preliminare della campagna di scavo 1969); G. Pugliese Carratelli, in Almanacco Calabrese, 1969, pp. 43-51; F. Rainey, in Amer. Jour. Arch., 73 (1969), pp. 261-73; G. Foti, Sibari ieri ed oggi, Napoli 1971. Successivamente sono da ricordare: F. Castagnoli, in La Parola del passato, 26 (1971), pp. 301-07; P. Zancani Montuoro, in Rendic. Acc. Lincei Sc. Morali, 1973, pp. 1-12; G. Foti, in Almanacco Calabrese, 1972-73, pp. 17-23; F. Castagnoli, in La Parola del passato, 28 (1973), pp. 220-22; P. G. Guzzo, ibid., pp. 278-314; id., in Boll. Arte, 173, pp. 65-74; Autori vari, in Not. Scavi, 1970, 3° suppl. (1973), (relazione preliminare della campagna di scavo 1970); G. Alvisi, in Atti CeSDIR, 1973-74, pp. 105-11; Autori vari, in Atti Mem. Soc. M. Grecia, n. s., 13-14, 1972-73 (1974).