SHIM‛ŌN ben Yōḥay
Dottore ebreo del sec. II dell'era cristiana, uno dei più importanti tannaiti, discepolo di Yōsēph Aqībā (v.). Nella Mishnāh è citato più di 300 volte e dalla sua scuola uscirono alcuni dei più notevoli midrāshīm (v. midrāsh).
Come caratteristica di lui è riferita la massima: "vi sono tre corone: quella della legge, quella del sacerdozio, e quella della regalità; ma la corona del buon nome le supera tutte" (Mishnāh, Ābōt, IV, 13). Alcuni riferiscono col suo nome anche la massima che "meglio è per l'uomo gettarsi dentro una fornace ardente che fare arrossire il prossimo in pubblico" (Talmūd babil., Bĕrākōt, 43b). Si raccontava di lui che avendo espresso un giudizio sfavorevole sulla civiltà pagana, dovesse, per sfuggire alla morte a cui era stato condannato, tenersi nascosto per molti anni in una grotta, e che anche dopo il suo ritorno in mezzo alla società continuasse a condurre vita ascetica, dedicata solo allo studio della legge. Le leggende fiorirono intorno a questo periodo della vita sua; e si collegarono col suo nome scritti apocalittici e mistici. In particolare fu attribuita a lui la paternità del libro sacro della Qabbālāh, lo Zōhar.
Bibl.: H. L. Strack, Einleitung in Talmud und Midraš, Monaco 1921, p. 129, (con bibliografia); A. Kaminka, Die mystischen Ideen des R. Simon ben Joḥai, in Hebrew Union College Annual, X, Cincinnati, 1934, pag. 149-168.