SHAMI
Località montuosa facente parte del distretto di Mālamir, nell'attuale Khūzistān. La regione corrisponde in linea generale all'antica Elymais e fu perciò - soprattutto in epoca elamitica - un centro non marginale di cultura iranica.
Entro le gole delle montagne che delimitano a N-E la pianura si trovano varî rilievi rupestri, accompagnati da iscrizioni, opere in gran parte eseguite in onore di un principe neo-elamita di nome Khanni. Altrove saggi di scavo hanno condotto al ritrovamento di molte tavolette cuneiformi, redatte in lingua accadica.
Lo sviluppo culturale ed economico della zona fu legato per secoli alla grande via carovaniera che conduceva da Susa ad Isfahān, attraverso i centri di Shūshtar e Mālamīr.
Nel 1934 a S. furono rinvenute casualmente alcune sculture in bronzo, per lo più ridotte allo stato di frammenti. Gli scavi che fecero immediatamente seguito a tale scoperta, non soltanto rivelarono l'esistenza di ulteriori frammenti scultorei in marmo e in bronzo, ma portarono alla luce le sostruzioni di un tempio rettangolare (23 m per 14) d'epoca parthica. Al centro dell'edificio, la cui pianta sembra essere di derivazione ellenistica, si elevava un altare in mattoni crudi, intorno al quale rimangono sei piedistalli in pietra lavorata. Sopra di essi, verosimilmente, si trovavano statue di bronzo. Il tempio subì un violento saccheggio e fu quindi distrutto dal fuoco; le sue rovine vennero in seguito livellate per far posto ad una nuova costruzione di cui non è rimasta traccia.
Una soltanto delle statue è giunta fino a noi in uno stato di sufficiente conservazione. Si tratta di un personaggio maschile, stante, rigidamente frontale, alto un poco più del vero (m 1,94). Esso indossa un costume nordiranico e porta folti capelli, barbetta a punta e baffi spioventi secondo la caratteristica moda parthica. Le braccia, in frammenti, sono state restaurate più tardi.
La testa, che ha assunto col tempo una patina brunonerastra, è un po' troppo piccola rispetto al corpo e fu sicuramente eseguita a parte. Essa tradisce influenze ellenistiche nel modellato del volto in cui emergono alcune precise annotazioni naturalistiche. Al suo dominante carattere iranico ci riconducono invece la precisione narrativa dei dettagli, la fissità dello sguardo, la resa stilizzata dei capelli, della barbetta, delle sopracciglia. È interessante notare, infine, come la pesante definizione dei volumi facciali avvicini la testa di S. ad alcune opere dell'arte del Gandhara, particolarmente vicine allo spirito greco-iranico.
La testa probabilmente fu eseguita in qualche grosso centro artistico della Susiana e venne in seguito portata tra i monti di S. per esser collocata sul pesante corpo preparato sul posto. Tale corpo infatti, pur essendo di fattura tutt'altro che grossolana, è ben lontano dal raggiungere il livello stilistico e tecnico della testa. Esso è composto da un' anima di legno coperta di bitume, sopra alla quale sono applicate, mediante piccoli chiodi, foglie di bronzo cesellato. Il vestito indossato dall'ignoto personaggio sembra essere una versione semplificata del costume parthico tradizionale, quale lo vediamo ad Assur, Hatra, Palmira. Esso consiste in un corto kaftano a bande incrociate, stretto alla vita e privo di ogni ricamo ornamentale e in un paio di ampi gambali che ricoprono le corte gambe ricadendo in fitte pieghe semicircolari sui due piedi divaricati. Al disotto le cosce e il tronco appaiono nudi.
L'armamento, simile a quello dei notabili palmireni, è ridotto a due pugnali fissati alla tunica e alla coscia mediante due grossi bottoni.
La linea di congiunzione della testa col corpo (oggi sottolineata dalle diverse patine) era un tempo mascherata da una collana, simile, nella sua forma generale, allo streptòs degli Achemènidi.
Oltre a questa statua monumentale (la quale può essere considerata come uno dei capisaldi della nostra conoscenza della scultura parthica) la collezione comprende ancora una statuetta in bronzo, togata e con pantaloni a sbuffo, priva della testa; una testa frammentaria in bronzo, di tipo ellenistico, per la quale è stato suggerito il nome di Antioco IV; alcune braccia e mani, sempre in bronzo, di differenti grandezze; ed infine due teste in marmo che rappresentano, la prima il tipo ben noto del principe arsacide con barba a punta e capelli gonfi sulle orecchie; la seconda una figura femminile di tipo ellenistico.
Il tempio e le statue si datano tra il II ed il I sec. a. C. Non è da escludersi che la violenta distruzione del monumento sia da collegarsi con la riconquista dell'Elymais compiuta da Mitridate I dopo la disfatta di Demetrio II (139 a. C.).
Ad E del tempio giacciono i resti di mura massicce, edificate con grandi pietre. Presso di esse si sono trovate molte tombe parthiche per lo più aperte e depredate.
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